Durante una campagna osservativa del 1964 furono scoperte otto potenti sorgenti a raggi X, tra le quali il sistema Cygnus X-1 nella costellazione del Cigno. Al tempo l’oggetto compatto al suo interno che emetteva un’intensa radiazione generò una scommessa tra i fisici Stephen Hawking e Kip Thorne. Il primo scommise che la sorgente non fosse originata da un buco nero, nonostante avesse speso tutta la sua vita per dimostrarne l’esistenza. Per una volta, Hawking non aveva ragione. Solo qualche anno dopo la scommessa si era già certi che si trattasse di un buco nero.
Uno studio recente condotto da un team internazionale di ricercatori ha dimostrato che in effetti in Cygnus X-1 c’è un buco nero massiccio 21 volte il nostro Sole. Una stima più forte del 50% rispetto alle precedenti. Esso sta ruotando a una velocità prossima a quella della luce mentre orbita in un sistema binario a raggi X insieme a una supergigante blu. Lo fa in 5,6 giorni, a una distanza dall’altra stella che è circa un quinto di quella tra la Terra e il Sole. Inoltre il gigantesco buco nero si sta cibando del materiale proveniente dalla compagna binaria tramite il vento stellare, che fa diminuire progressivamente la massa della supergigante per rigettarla tra le fauci del buco nero.
Una tecnica collaudata
I risultati sono stati ottenuti grazie all’utilizzo del Very Long Baseline Array, potente radiotelescopio negli USA, e di una tecnica osservativa per misurare le distanze nello spazio che non sfrutta le onde gravitazionali. Questo ha permesso agli astronomi di dare una stima precisa della massa dell’oggetto compatto in Cygnus X-1.
Tuttavia la scoperta porta a dover rivedere le teorie sulla formazione dei buchi neri: quest’oggetto è troppo giovane per essersi ingrossato così tanto solo grazie alla sua compagna binaria. Il professor Ilya Mandel della Monash University, co-autore della pubblicazione, spiega: “Le stelle diminuiscono la loro massa tramite il vento stellare che si genera dalla loro superficie, gettando il materiale nell’ambiente circostante. Ma per rendere un buco nero così pesante dobbiamo capire meglio quanta massa effettivamente perdono”.
Cygnus-X-1: la mostruosa bellezza delle binarie a raggi X
I sistemi di binarie a raggi X sono così chiamati perché le stelle che orbitano in coppia dentro di essi emettono enormi quantità di radiazione nella lunghezza d’onda dei raggi X. Queste emissioni sono generate dalla caduta del materiale di una delle due stelle verso la compagna binaria, che spesso è un oggetto compatto come un buco nero o una nana bianca. A mano a mano che la prima stella diminuisce la sua massa per cibare la sorella, si genera il vento stellare. Esso è in parte catturato dall’oggetto compatto, che produce raggi X mentre ricade su di esso.
Nelle binarie a raggi X di grande massa, in cui la stella che viene fagocitata è una supergigante, questo fenomeno è facilmente rilevabile. Il sistema di binarie X più famoso è proprio Cygnus X-1: in esso una supergigante blu sta cibando un grosso oggetto compatto che fu il primo buco nero riconosciuto come tale dalla comunità scientifica. Il vento emesso dalla stella spiraleggia attorno al buco nero alimentando un disco di materiale, nelle cui regioni più interne ha origine l’emissione di raggi X osservata dalla Terra. Perpendicolarmente a questo disco escono due potenti getti di gas ionizzato che rigettano nello spazio interstellare una parte del materiale di cui il buco nero si sta cibando.
Secondo le stime recenti, il buco nero di Cygnus X-1 ha solo qualche milione di anni. Inoltre sembra essersi formato a partire da una stella di circa 60 masse solari che è collassata in sé stessa senza esplodere in supernova. Infatti, se questo fosse accaduto, l’esplosione avrebbe determinato l’espulsione del buco nero e la disgregazione del sistema.
Una tecnica innovativa per misurare le distanze
I ricercatori hanno utilizzato il più grande radiotelescopio interferometrico esistente al mondo, il VLBA (Very Long Baseline Array) composto da 10 antenne del diametro di 25 metri sparse nel territorio degli USA. Hanno poi sfruttato una tecnica molto peculiare per misurare la distanza del buco nero di Cygnus X-1.
“Se possiamo vedere lo stesso oggetto da posti diversi, possiamo calcolarne la distanza rispetto a noi misurando quanto veloce l’oggetto sembra muoversi relativamente al background” spiega il professor James Miller-Jones della Curtin University e dell’ICRAR (International Centre for Radio Astronomy Research), autore principale della ricerca. E’ lo stesso principio di cui possiamo fare esperienza se teniamo un dito davanti agli occhi e lo guardiamo prima con un occhio e poi con l’altro: si nota il dito saltare da una posizione all’altra, anche se in realtà non si è mai spostato.
In questo modo, gli astronomi hanno osservato il sistema Cygnus X-1 con le antenne del VLBA da diverse angolazioni, sfruttando l’orbitare della Terra attorno al Sole per misurare il movimento percepito del sistema in relazione alle stelle di sfondo. Questo ha permesso di definire accuratamente la sua distanza rispetto a noi. “In poco meno di sei giorni abbiamo osservato un’orbita completa del buco nero” dice il professor Miller-Jones. “Questo metodo e le nuove misurazioni hanno mostrato che il sistema è più lontano di quanto pensato inizialmente, e che il buco nero è decisamente più massiccio”. Il mostro celeste in Cygnus X-1 è risultato avere una massa ben 21 volte quella del Sole e ruotare a una velocità prossima a quella della luce. Tutte queste caratteristiche lo rendono un candidato perfetto per mettere ancora una volta in discussione le teorie di formazione dei buchi neri.
Buchi neri e venti stellari: Cygnus X-1 è un’eccezione o la regola?
Come può un buco nero grande più di venti volte il nostro Sole essersi ingrossato così tanto in così poco tempo? E’ tutta opera del vento stellare proveniente dalla supergigante blu sua compagna, o c’è qualcosa che ancora sfugge?
I risultati delle misurazioni effettuate con il VLBA indicano che l’oggetto compatto in Cygnus X-1 è decisamente fuori da ogni regola. Esso sembra portare una grossa eccezione alle teorie di formazione dei buchi neri. Si tratterà di un caso isolato, oppure no? Sicuramente questo è un ottimo punto di partenza per studi futuri volti a spiegare l’evoluzione di questi mostruosi giganti celesti. Ora che ha perso la sua scommessa con Thorne, se Hawking fosse ancora con noi non vedrebbe l’ora di accettare la nuova sfida.
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