Il 28 maggio la Startup Revolv Space ha annunciato la chiusura di un round di finanziamento da 2.6 milioni di Euro. Il round è guidato dal fondo di investimento specializzato nello spazio Primo Space e da Takeoff, il programma di accelerazione per Startup space con sede a Torino.
Revolv Space è una startup space con l’obbiettivo di produrre dispositivi per satelliti di piccole dimensioni (meno di 500 kg), che siano ad alta affidabilità e qualità, e il tutto è iniziato con SARA, un dispositivo per il dispiegamento e la gestione dei pannelli solari.
In occasione della chiusura di questo round abbiamo raggiunto due dei fondatori dell’azienda per porre loro qualche domanda. Revolv è stata fondata nei Paesi Bassi da quattro ragazzi: Marco Sala (CEO), Filippo Oggionni (CCO), Aleksander Fiuk (COO), Michał Grendysz (CTO). Dopo un anno nei Paesi Bassi, e un processo di incubazione nell’European Incubation Center (BIC) dell’ESA Revolv è diventata anche una startup con sede in Italia, precisamente a Torino.
Buongiorno Filippo, buongiorno Marco. Per prima cosa vi chiedo di raccontarci un po’ come è nata Revolv? Perché, e come ora si sta dividendo fra l’Italia e i Paesi Bassi?
Revolv è nata nel 2022, mentre io [Filippo nrd], Marco e gli altri due co-founder, Aleksander e Michal, stavamo studiando alla TU Delft. Quindi, quando abbiamo fondato l’azienda eravamo appena usciti dall’Università, o eravamo ancora studenti.
Durante uno degli ultimi corsi che abbiamo fatto, abbiamo notato che un certo tipo di tecnologia disponibile per grandi satelliti non era comune nei satelliti più piccoli. Allora ci siamo chiesti perché, abbiamo cominciato a fare un po’ di ricerca e abbiamo pensato ok, questa cosa non va bene, dobbiamo cambiarla. Quindi abbiamo iniziato a lavorare sul primo prototipo.
Essendo noi nei Paesi Bass, abbiamo aperto un’azienda olandese, e siamo stati selezionati per il programma di incubazione dell’ESA, che è stata la prima grande milestone di Revolv, un paio d’anni fa. Lì abbiamo mosso i primi passi, accompagnati dalla guida tecnica di ESA e dal supporto dall’incubatore. In quel periodo, come Revolv, ci siamo dedicati moltissimo allo sviluppo del prodotto e alla costruzione del nostro business plan come azienda che fornisce componenti.
Poi, e qui arriva la parte italiana, abbiamo partecipato nell’acceleratore Takeoff e in quella occasione abbiamo deciso di aprire un’azienda italiana, anche perché io e Marco siamo italiani e nessuno nel gruppo dei co-founder era olandese, quindi avere un’azienda in Olanda senza nessuno che parlasse olandese o che fosse olandese era anche, per certi aspetti, complicato. Quindi, visto l’ecosistema italiano nello spazio e torinese soprattutto, abbiamo scelto Torino, abbiamo aperto la sede italiana e questo, diciamo, è quello che è successo fino all’inizio del 2023. Poi, in seguito all’investimento di Primo Space, abbiamo deciso di ricollocarci parzialmente in Italia e sfruttare la vicinanza alle grandi aziende spaziali, che in Olanda avevamo un po’ di meno, e anche visto che il round di finanziamento è tutto italiano tra Primo Space e Takeoff.
Al momento l’Olanda rimane un centro di ricerca e sviluppo per noi. Abbiamo dei progetti in corso e facciamo ricerca, quindi non sviluppo prodotto, non produzione. Questo perché l’Olanda ha dei chiari vantaggi: ha ESTEC, il centro di ESA, lì vicino, ha TU Delft, che è un’università molto solida. Ed è un paese molto internazionale, più dell’Italia, e anche ben connesso, quindi le persone che vengono dall’estero si trasferiscono tendenzialmente più facilmente in Olanda che in Italia.
La chiusura di questo round da 2.6 milioni di euro, una cifra importante per una startup, anche nel settore space, cosa vi permetterà di costruire, e come cambierà i prossimi passi di Revolv nel breve termine?
Per noi è sicuramente una milestone molto importante, perché permette di accelerare tutti quelli che erano i nostri piani di sviluppo. In un’azienda spaziale ci sono dei requisiti e dei tempi di sviluppo ovviamente lunghi da raggiungere, nel momento in cui hai delle disponibilità finanziarie più importanti puoi permetterti di accelerare questa fase.
Per un’azienda che costruisce hardware ottenere la dimostrazione che il sistema funzioni in volo è uno dei passi più importanti per ottenere la fiducia del mercato. Quindi finanziare questo tipo di missioni per noi è la priorità, ed è appunto una cosa che cambierà la faccia di Revolv.
L’obbiettivo di Revolv è quello di fare produzione hardware per satelliti, ci potete raccontare SARA, che è uno dei vostri primi prodotti giusto?
All’inizio siamo partiti proprio osservando la mancanza di questo specifico prodotto per i piccoli satelliti. Poi esplorando il mercato, facendo un po’ di ricerca, parlando con le principali aziende del settore abbiamo capito che i piccoli satelliti sono qui per restare.
Vediamo infatti che i piccoli satelliti vengono usati per una varietà di missioni molto ampia, ma con questo si accompagna anche una richiesta di performance più elevate, e quindi c’è un’industria che secondo noi sta trovando la soluzione tra i grandi satelliti tradizionali e i cubesat da poche decine di kg. Stiamo arrivando a qualcosa nel mezzo, quindi macchine che stanno tra i 200-500 kg. Però qui la performance diventa importante, e la performance si può garantire solo con delle tecnologie più avanzate.
Ed è qui che entriamo in gioco noi, cioè noi vogliamo supportare chi costruisce satelliti con dei componenti avanzati che un integratore non sviluppa in casa. Tipicamente ci sono un numero limitato di componenti per cui le aziende non vogliono sporcarsi le mani, perché sono troppo complessi: noi entriamo in gioco qui. L’expertise della nostra azienda è sui meccanismi, e al momento stiamo applicando questa expertise al sistema di generazione di energia dei satelliti perché vediamo che la mancanza di energia è il primo problema che limita la performance dei satelliti.
Ce ne sono altri, che andremo a toccare più avanti nello sviluppo di Revolv. Per esempio i sistemi per scaricare i dati a terra, o la parte termica del satellite. Al momento ci viene detto che la parte di potenza sarà più importante, ed è per quello che siamo partiti da qui. Il nostro primo prodotto si chiama SARA ed è un attuatore per pannelli solari: è un sistema che ruota i pannelli solari orientandoli verso il Sole in modo autonomo e in modo fail safe, quindi con una alta affidabilità, e questo ci permette di raddoppiare l’energia che viene prodotta da un piccolo satellite a parità di superficie di celle solari. Questo è il modo in cui garantiamo più energia per alcuni integratori: è molto importante abbassare i costi e avere un sistema più efficiente.
Utilizzare SARA permette anche di comprare meno pannelli solari e avere meno celle, quindi abbassare notevolmente i costi della piattaforma. Oltre a SARA stiamo costruendo anche i pannelli solari. Vogliamo essere fornitori di pannelli solari a performance elevate, quindi sistemi più complessi di quelli realizzati al momento sfruttando le attuali tecnologie.
Al momento abbiamo due clienti per cui stiamo sviluppando dei pannelli solari più tradizionali, ma ci stiamo anche muovendo per valutare nuove tecnologie. Diversi tipi di celle, diversi tipi di strutture per generare energia. E pensiamo che fornire entrambi i prodotti insieme sia la direzione giusta.
Puntiamo allo scalare la produzione e ovviamente a soddisfare chi sviluppa costellazioni, quindi avrà bisogno di un prodotto che possiamo produrre in grandi quantità.
Con l’abbassamento dei costi di lancio, che potrebbe diventare dirompente con Starship, si inizia a non considerare più così stringente il limite di massa dei satelliti. Credete che questo possa cambiare il paradigma di come si costruiscono i satelliti? Magari costruendo in serie satelliti meno affidabili ma molto meno costosi?
Dal nostro punto di vista siamo d’accordo, nel senso che pensiamo che i limiti di massa e di volume già ora sono meno importanti. Vediamo già delle aziende che si focalizzano su satelliti con delle dimensioni e delle masse dedicate a Starship, e quella probabilmente è la direzione in cui andremo, dato che costerà meno lanciare un satellite grande rispetto ad un cubesat.
Non è detto però che succederà così velocemente, ma noi ci stiamo muovendo già un po’ in questa direzione. Abbiamo già iniziato a sviluppare il fratello maggiore di SARA, cioè il prodotto più grande che coprirà range di potenza superiori, parliamo di 2-3 kilowatt di trasferimento di potenza, che è un’altra scala.
Quello di costruire satelliti più economici, che possono essere lanciati a una cadenza più rapida è un altro modello. Non è un modello che è nostro di Revolv però, perché noi puntiamo molto sull’affidabilità e su componenti ad alte prestazioni, quindi per noi sarebbe controproducente scommettere su dei prodotti che durano poco, che funzionano per poco tempo.
Non è il nostro modello perché anche se li puoi rimpiazzare velocemente, comunque il satellite quando è in orbita deve garantire una certa generazione di potenza tramite i nostri sistemi, e questi sistemi devono essere affidabili. In più pensiamo anche che in passato il trend di prendere troppe scorciatoie abbia in qualche modo intaccato la fiducia in alcuni fornitori, in alcune aziende, quindi per noi l’affidabilità è il marchio di fabbrica che vogliamo coltivare per Revolv.
Lo stiamo facendo attraverso test, attraverso la dimostrazione in orbita, attraverso la trasparenza con cui comunichiamo queste informazioni ai nostri clienti e potenziali clienti. Quindi questo è un po’ più lontano dalla nostra visione, è ovviamente difficile fare previsioni per eventi grandi come per Starship, e quando entrerà nel mercato. Però il trend di piccoli satelliti che sono poco costosi e che vengono lanciati in grandissime quantità non è un trend nuovo, lo abbiamo già visto con l’avvento dei CubeSats. Quello che notiamo è che i requisiti sono cambiati, e rispetto a un primo momento dove bastava che il satellite funzionasse per poco tempo perché ne avevi parecchi, stiamo andando verso una direzione dove invece il satellite deve essere più performante, deve lavorare più a lungo, perché è sostanzialmente il modello di business sta un po’ cambiando.
Se prima l’avvento dei CubeSats era un po’ una scommessa di questi piccoli satelliti, ora sono delle compagnie che stanno davvero generando dei numeri importanti a livello di fatturato, hanno dei business case concreti. Noi vorremmo lavorare verso un futuro che va nella direzione opposta rispetto ad avere molti satelliti e poco performanti, anche per una questione di sostenibilità tecnica; non ci piacerebbe vedere un futuro dove bisogna lanciare 100 satelliti quando ne basterebbero per esempio 10…
Puoi guardare per esempio l’esempio di Starlink che è il modo migliore per guardare nel futuro, perché sono 3-4 passi avanti rispetto a tutti gli altri: loro sulla parte dell’economia di scala ci hanno giocato molto, infatti a loro costa meno probabilmente lanciare un satellite in più piuttosto che spendere 6 mesi a sviluppare chissà quali caratteristiche di affidabilità. Però se guardi la performance dalla generazione 1 alla generazione successiva vedi che la massa è aumentata di quasi un ordine di grandezza, il volume e la potenza sono aumentate.
Quello che vediamo quindi, è che le prestazioni sono sempre più importanti, poi è chiaro che per alcuni modelli di business sia migliore o sia addirittura necessario puntare su un numero elevato di satelliti, però questo non vuol dire che il satellite singolo sia meno potente e meno affidabile.
Avete delle posizioni aperte adesso? Cercate nuovi membri del team?
Revolv con questi fondi deve fare dei passi importanti, e ovviamente questo non è possibile senza delle persone di grande talento all’interno del team, e questo ci permette ovviamente di aprire delle posizioni che sono chiave.
In questo momento ci sono due posizioni aperte e altre saranno aperte entro la fine dell’anno. Stiamo cercando un ingegnere meccanico e un ingegnere elettronico, ovviamente posizioni core all’interno di Revolv perché tutto il know-how di Revolv è all’interno dei meccanismi e dell’elettronica. Entrambe due posizioni aperte a Torino. Ora ci stiamo concentrando sull’effetto ingegneristico, verso la fine dell’anno ci saranno altre posizioni aperte sull’ambito business.
Noi abbiamo un team fantastico, per ora siamo stati fortunati ma forse anche bravi a selezionare le persone giuste. Cerchiamo ovviamente delle persone che siano molto motivate, perché a Revolv c’è un sacco da fare. La cosa bella che secondo me offre una startup delle nostre dimensioni è che ci sono un sacco di cose che cambiano, un sacco di cose che si trasformano, e riesci ad essere parte al 100% di questo viaggio. Secondo me è un valore aggiunto. Cerchiamo delle persone che siano proattive, indipendenti, che sappiano prendere delle responsabilità anche se giovani o alle prime esperienze, che diciamo è la stessa cosa che abbiamo fatto noi.
La maggior parte delle nostre operazioni in questo momento è in Italia, dove siamo in 12 persone, nella sede in Olanda rimangono in questo momento solo 3 persone. Stiamo valutando di espanderci un po’ anche lì, ma è una cosa che arriverà (se arriverà) in futuro.
Grazie a Marco Sala e Filippo Oggionni per l’intervista.