A volte, quando stelle molto vecchie terminano la loro vita, collassano su loro stesse. In questi casi, la materia di cui sono fatte si comprime sempre di più, fino a rimanere concentrata in un punto piccolissimo: si è creato un buco nero. Ma noi possiamo attraversarne l’orizzonte? E vedere cosa c’è dentro? E arrivare da qualche altra parte?
In “Buchi bianchi. Dentro l’orizzonte“, edito da Adelphi Edizioni, il fisico teorico Carlo Rovelli prova a rispondere a queste domande. Accompagnando il lettore per mano, senza mai perdere il suo incalzare coinvolgente e la sua ironia, l’autore percorre un vero e proprio viaggio alla scoperta di cosa c’è (o meglio, ci potrebbe essere) oltre l’orizzonte di un buco nero.
Nel corso di tre macro-sezioni, organizzate in diversi capitoli, Rovelli crea un vero e proprio racconto, intervallato da brevi divagazioni in cui parla al lettore dei suoi ragionamenti, dubbi e timori. L’autore permette di immergersi nella sua ricerca irresistibile, affascinante ma anche spaventosa. Stravolge completamente il modo intuitivo dell’essere umano di riconoscere concetti a cui, dopo tanto tempo, è affezionato.
Tempo, spazio, casualità, equilibrio diventano un miscuglio di cause e conseguenze, di tentativi di spiegarsi razionalmente qualcosa che razionale non sembra affatto. E proprio in questo, e nel tentare di descriverlo matematicamente, sta forse la sua bellezza più autentica.
Attraversare l’orizzonte di un buco nero
Sì, dentro l’orizzonte di un buco nero si può andare, risponde Rovelli. Il problema vero è che chiunque ci osservi dall’esterno, ci vedrà congelati sul bordo del mostro celeste, perché da lontano il tempo che noi impieghiamo a cadere oltre l’orizzonte sembra infinito.
Per noi, però, non lo è. E dentro c’è uno spazio profondissimo, una sorta di imbuto: più la stella originale era massiccia, più questa buca nello spaziotempo è profonda.
Alla fine del lunghissimo imbuto c’è proprio la stella che, collassando su se stessa, ha generato il buco nero. Sì, è proprio lei, ancora quasi intatta, perché più sprofondiamo nelle profondità del buco nero, e più il tempo va lentamente, a causa dell’enorme forza di gravità.
Tutto ciò è previsto dalle soluzioni alle equazioni di Einstein della relatività generale, racconta Rovelli, perciò fino a qui tutti i fisici teorici concordano con quanto detto. Il problema vero viene dopo. Quando, cioè, le condizioni diventano così estreme da far cadere la validità delle equazioni di Einstein e far entrare in gioco la meccanica quantistica.
Proprio allora, per un fenomeno quantistico detto “effetto tunnel“, ci sarebbe la possibilità di passare dall’imbuto profondissimo del buco nero a quello che viene definito un “buco bianco”. E a dire cosa sia, questo buco bianco, Rovelli ci prova:
Un buco bianco è la stessa soluzione delle equazioni di Einstein che descrive un buco nero, ma scritta con il segno del tempo ribaltato. La stessa soluzione, vista come se fosse proiettata all’indietro nel tempo. Un buco bianco è il modo in cui apparirebbe un buco nero se potessimo filmarlo e progettare il film al contrario.
Invertire la direzione del tempo
Qui sorge il problema. Come possiamo pensare al tempo ribaltato? Da dove viene la direzione del tempo? Rovelli spiega: “Viene dal fatto che viviamo in una delle tante possibili soluzioni delle equazioni fondamentali, e in questa soluzione, almeno dalla nostra prospettiva, il passato appare speciale“.
La differenza fra passato e futuro, cioè, non è dovuta al fatto che essi siano intrinsecamente differenti, ma solo al fatto che nel loro intorno, alle cose accade di essere arrangiate in modo diverso. Si tratta di una logica molto difficile per noi, e che Rovelli tenta di sviscerare nel profondo, toccando alcuni concetti potenti: quello di passaggio d’informazione, di disequilibrio, di irreversibilità.
Un vero e proprio viaggio alla scoperta dei buchi bianchi
Lo stile di Rovelli è sempre molto pulito e preciso, il suo tono tanto scientifico quanto poetico. Spesso utilizza la “Divina commedia” di Dante Alighieri per similitudini e metafore, accompagnando il lettore tra concetti astratti e meravigliosi che sembrano appartenere alla fantascienza, mentre sono teorie ipotizzate (e matematicamente giustificate) per il nostro Universo.
“Buchi bianchi” è un’avventura scientifica puntuale e dettagliata, da leggere tutta d’un fiato. Ciba la mente, mantiene attento anche il lettore che ne sa meno grazie agli intramezzi storici e all’utilizzo di un linguaggio alla portata di tutti. Peccato solo che l’avventura sia così rapida e breve, tanto da arrivare alla fine con la speranza di poter leggere ancora, invece di dover chiudere il libro.
Concludo con una delle frasi che ho apprezzato di più in questo saggio. “Anche quando cerchiamo di capire i buchi bianchi, non siamo pure ragione, non siamo parte di un mondo diverso dagli oggetti che cerchiamo di capire. Siamo processi guidati dalle stesse stelle.”
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