Il 25 settembre 2024 è stato pubblicato “Fotografia astronomica”, il primo libro di Luca Fornaciari, astrofotografo e divulgatore scientifico italiano, dedicato all’astrofotografia. Un’opera che si propone di rendere questa affascinante disciplina accessibile a un pubblico ampio, guidando i lettori alla scoperta delle tecniche e degli strumenti necessari per immortalare le meraviglie del cielo notturno.
Luca Fornaciari è una figura conosciuta nel mondo dell’astrofotografia, noto non solo per le sue immagini spettacolari, ma anche per il suo impegno nell’insegnamento di quella che, a tutti gli effetti, è un’”arte”. Con una lunga esperienza nel campo e un’attenzione particolare all’evoluzione tecnologica, Fornaciari combina l’amore per la fotografia con la passione per l’astronomia, riuscendo a ispirare e coinvolgere sia principianti che esperti.
Abbiamo avuto il piacere di parlare con lui del suo percorso, dei cambiamenti che hanno trasformato l’astrofotografia negli anni e dell’importanza della divulgazione scientifica per avvicinare il grande pubblico alle meraviglie del cosmo.
Sì, penso che, come per molti, l’interesse per l’astronomia si sia innescato durante l’infanzia. La mia è una storia piuttosto classica e diffusa: ho ricevuto in regalo da parte dello zio un telescopio giocattolo. Era di plastica, con un diametro di 50-60 mm e due oculari che sembravano fondi di bottiglia.
Ho questo ricordo vivido della prima volta in cui sono riuscito a distinguere gli anelli di Saturno. Non sono sicuro se fosse davvero possibile vederli con quel tipo di strumento, ma senz’altro è stato il momento in cui ho osservato la Luna per la prima volta. Vedevo i monti, i mari, le valli, tutte le cose molto riconoscibili. È stato un vero innamoramento, tanto che mi promisi di avere, un giorno, un telescopio più grande. Per quei due o tre anni, finché non l’ho consumato completamente, ho continuato a guardare il cielo. Ero ancora un bambino, non ricordo esattamente quanti anni avessi, ma ero piccolo.
Da lì, è nata una passione per la fantascienza e l’astronomia, anche se inizialmente in modo generale, senza particolari approfondimenti. Mio padre è fotografo, quindi ho assimilato la parte fotografica in modo naturale, quasi inevitabile. Col tempo, ho scoperto di poter unire queste due passioni. All’inizio non avevo nemmeno idea che la fotografia astronomica fosse accessibile a tutti. Quando ho iniziato, i social non erano così diffusi; Facebook probabilmente non lo avevo nemmeno. Questo mi ha portato a scoprire, più tardi nella vita, che la fotografia astronomica era fattibile e ho capito che doveva diventare parte della mia vita.
Per me, la trasformazione più significativa è stata soprattutto nell’accessibilità, più che nella facilità di ottenere risultati migliori. Oggi ci concentriamo molto sull’evoluzione del software e sull’integrazione dell’intelligenza artificiale, ma credo che il vero cambiamento sia venuto dall’evoluzione hardware, in particolare dai sensori.
Quando ho iniziato a fare fotografia astronomica, tardi rispetto a molti, già si usava il digitale, quindi non ho mai lavorato con la pellicola per la fotografia notturna, anche se l’ho usata nella fotografia tradizionale. All’inizio, le strumentazioni erano generalmente più costose di oggi, soprattutto quelle di alta qualità. C’era un grande divario tra le camere CCD, perfette per l’astronomia anche a livello scientifico grazie alla loro linearità, e le fotocamere tradizionali, molto meno sensibili rispetto a quelle odierne. Le CCD, però, erano strumenti costosi e non alla portata di tutti. Così, chi non poteva permettersi queste attrezzature si accontentava di fotocamere che, per l’epoca, avevano prestazioni piuttosto limitate.
Ricordo che si tentava di migliorare le prestazioni delle fotocamere raffreddandole con sistemi autocostruiti, proprio per cercare di ottenere risultati migliori. La vera svolta è arrivata con l‘introduzione dei sensori CMOS per l’astrofotografia, che hanno rappresentato una via di mezzo tra le CCD e le fotocamere tradizionali. Pur avendo meno applicazioni in ambito scientifico, hanno permesso di ottenere risultati fotografici straordinari a costi più accessibili, cambiando radicalmente il panorama.
Un altro aspetto fondamentale è stato lo sviluppo di software più accessibili e gratuiti, che hanno reso possibile automatizzare molte operazioni. Oggi, ad esempio, si può mettere a fuoco automaticamente con dispositivi elettronici, cosa impensabile fino a qualche anno fa. Questi strumenti sono diventati più compatibili ed economici, permettendo a qualsiasi astrofotografo di utilizzarli.
Anche se rimane comunque un hobby che richiede investimenti, simile all’acquisto di strumenti musicali di qualità o attrezzature sportive, oggi è possibile ottenere risultati eccellenti con costi relativamente contenuti. Inoltre, la diffusione di contenuti online e la crescita di comunità sui social hanno amplificato la condivisione di esperienze e conoscenze, rendendo il tutto più accessibile e comprensibile.
Questo cambiamento moderno è stato reso possibile non solo dall’evoluzione delle attrezzature, ma anche dalla condivisione di esperienze, dalla crescita di gruppi di discussione, dalla produzione di contenuti online, che hanno decuplicato le opportunità di confronto e apprendimento.
Penso che sia un automatismo comune pensare che, parlando di fotografia astronomica, si faccia riferimento esclusivamente all’uso del telescopio, e quindi ci si aspetti, da principianti, costi elevati. In realtà, e spero che questa mia opinione trovi consenso, nel mio libro ho volutamente incluso tutti i tipi di fotografia notturna, chiamandoli astronomici. Secondo me, tutto ciò che riproduce fotograficamente i fenomeni del cielo notturno rientra a pieno titolo nella categoria della fotografia astronomica.
Per iniziare oggi, basta una fotocamera qualsiasi. Con una semplice fotocamera su un treppiede si possono già fare fotografie notturne, come gli startrail, senza spendere nulla se si dispone già dell’attrezzatura di base.
Se si vuole fare un piccolo investimento, il primo accessorio da prendere è un astroinseguitore, che permette di fotografare con maggiore precisione, ad esempio, la Via Lattea. Da lì, si può decidere di progredire verso attrezzature più sofisticate, come telescopi e montature, che consentono di ottenere immagini ad alta risoluzione di oggetti come la Luna, i pianeti, le nebulose o le galassie. Questo tipo di fotografia richiede strumenti più avanzati, ma per chi vuole iniziare, è possibile fare molto anche con attrezzature più semplici.
Oggi trovo particolarmente interessante il rapporto qualità-prezzo degli astroinseguitori medi, che, se sfruttati al massimo delle loro capacità, permettono di avvicinarsi alla fotografia deep sky. Pur non trattandosi di strumentazione avanzata come quella necessaria per l’astrofotografia ad alta risoluzione, consentono comunque di iniziare a vedere i primi dettagli di nebulose e galassie. Inoltre, molti astroinseguitori moderni offrono anche funzioni di inseguimento lunare e solare, permettendo di fotografare eclissi, la Luna o il Sole con un semplice obiettivo.
Con un piccolo investimento iniziale, magari puntando su un astroinseguitore, è possibile esplorare diverse varietà di fotografia astronomica. Poi, col tempo, si può decidere di specializzarsi e investire in attrezzature sempre più specifiche.
Le condizioni del cielo in generale, che possiamo ridurre all’inquinamento luminoso ma anche all’umidità e ad altri disturbi atmosferici, variano molto in base al tipo di fotografia che si intende fare. Ad esempio, la fotografia planetaria, che riguarda immagini ad alta risoluzione della Luna e dei pianeti, risente meno dell’inquinamento luminoso artificiale, ma è estremamente sensibile alla turbolenza atmosferica. All’estremo opposto, la fotografia paesaggistica notturna richiede cieli estremamente puliti e la necessità di recarsi in luoghi remoti, lontani da fonti di inquinamento luminoso, per ottenere scatti a lunga esposizione.
Il Deep Sky, invece, si colloca in una sorta di via di mezzo. È un genere più permissivo, perché può essere praticato in diverse condizioni. Ad esempio, io lavoro spesso da una campagna suburbana a Maranello, dove l’inquinamento luminoso è presente, ma non troppo limitante. Poi per migliorare la qualità delle mie immagini, mi sposto verso l’Appennino, a circa un’ora da casa, e, per la fotografia paesaggistica notturna, cerco i deserti più remoti nel mondo, dove le condizioni del cielo sono ideali.
Bisogna quindi adattarsi al genere di fotografia che si vuole praticare. Oltre a ciò, ci sono dispositivi tecnologici come i filtri, che aiutano a gestire meglio l’inquinamento luminoso. Naturalmente, è essenziale consultare le previsioni del cielo e del meteo, e armarsi di tanta pazienza per le sere in cui non si può scattare nulla. La chiave per me è stata variare e praticare tanti tipi diversi di fotografia notturna. Alternare sessioni in cui mi sposto molto a quelle in cui posso farlo meno mi permette, in base alle energie e alle condizioni del cielo, di trovare sempre qualcosa da fare.
Questo approccio è ciò che mi ha permesso di continuare a lungo. Se riesci a tornare a casa soddisfatto anche solo con uno scatto di star trail, puoi continuare a goderti la fotografia notturna astronomica senza scoraggiarti troppo a causa delle condizioni atmosferiche avverse o delle difficoltà logistiche legate a un singolo tipo di fotografia.
È un argomento sempre delicato, perché credo che l’astrofotografia abbia la capacità sia di emozionare che di educare. L’aspetto scientifico di questo genere fotografico lo vedo soprattutto come un potenziale educativo, capace di far comprendere qualcosa in più dell’astronomia anche a chi non è un astronomo, ma un fotografo. Questo è il potere del linguaggio fotografico: attraverso le immagini possiamo veicolare messaggi.
È importante ricordare che le nostre fotografie offrono una visione più simile a quella del sensore fotografico che ai nostri occhi. Il sensore, infatti, riesce a catturare lunghezze d’onda e colori che il nostro occhio fatica a percepire. Quindi, anche quando prepariamo immagini di eccellenza, dobbiamo tenere presente che stiamo mostrando una visione che non è quella che vedremmo a occhio nudo. C’è una differenza intrinseca tra la realtà e ciò che il sensore cattura.
Credo che il potere delle immagini sia fondamentale per diffondere l’astronomia tra il grande pubblico, in particolare tra chi non se ne occupa quotidianamente. Ecco perché dobbiamo cercare un equilibrio tra gli aspetti più artistici e quelli scientifici nelle nostre fotografie. Utilizziamo strumenti che ci aiutano a rendere i colori più realistici, anche se sempre dal punto di vista del sensore. Col tempo, l’esperienza ci insegna a evitare artefatti e forzature, un errore che spesso fanno i principianti, utilizzando strumenti che li portano lontano dalla realtà dell’oggetto astronomico.
Inoltre, cerchiamo di rimanere entro certi limiti condivisi dalla comunità degli astrofotografi. Un altro aiuto può arrivare dal non allontanarsi troppo dal modo in cui le immagini vengono presentate da enti come la NASA, o altri. Questo può aiutarci a mantenere una certa coerenza.
L’aspetto scientifico è presente, anche se la nostra fotografia ha un forte elemento estetico e, quindi, licenze artistiche, come la saturazione dei colori. Tuttavia, non dobbiamo necessariamente rompere il legame con la realtà dell’oggetto. Personalmente, cerco sempre di trovare un equilibrio. Non mi piace allontanarmi troppo dai modi consolidati di presentare un oggetto, poiché l’immagine deve comunque raccontare qualcosa di verosimile sull’oggetto fotografato. Se si sceglie di fare diversamente, è importante che lo scopo sia dichiarato, come fa la NASA quando presenta immagini volutamente modificate per ragioni specifiche.
La divulgazione per me è sempre stata il motore principale che mi ha spinto a proseguire negli anni. La soddisfazione che provo nella fotografia è prima di tutto personale. Non sono mai stato troppo incline a condividere premi o riconoscimenti pubblicamente: la gioia che provo nel fotografare è una questione privata, non legata al bisogno di mostrare agli altri ciò che faccio.
La divulgazione, invece, è l’esatto opposto. È un atto rivolto agli altri, per ispirarli, aiutarli o renderli più felici. Nel corso degli anni, ho visto come i tutorial, i contenuti formativi e i feedback dal vivo possano avere un impatto positivo sulle persone, e questo mi spinge a continuare.
Anche se trovo sempre più difficile mantenere una presenza costante sui social, la divulgazione in presenza – tra conferenze e attività – mi dà energia. Queste esperienze creano stupore e curiosità nel pubblico, portandoli a scoprire di più sull’astronomia attraverso le immagini che condivido. È questo che mi convince a non mollare mai, perché sento di poter trasmettere qualcosa di significativo e contribuire alla diffusione della conoscenza astronomica.
Con assoluta sincerità, io non avrei mai scritto un libro di mia iniziativa, perché non mi sarei mai sentito abbastanza pronto. Questo non vuol dire che non avessi qualcosa da raccontare, anzi, potrei scriverne altri in futuro. La verità è che tutto è iniziato grazie all’invito della casa editrice che mi ha proposto di partecipare a questo progetto. È stata Apogeo, di Feltrinelli, a contattarmi, e il libro si inserisce in una serie di pubblicazioni che avevano già prodotto anni fa su altri generi fotografici. Si tratta di una collana di manuali semplici, comprensibili e adatti a tutti, in questo caso pensati per avvicinare le persone alla fotografia astronomica. Ero già legato a queste pubblicazioni, quindi mi sono sentito a mio agio nel contesto, ed è stato un doppio piacere partecipare. Era una proposta che non potevo rifiutare, e l’ho accettata con grande felicità.
Per me è stata un’esperienza formativa incredibile, davvero intensa, perché è stata una novità su tutti i fronti e completamente fuori dalla mia quotidianità. È stata quindi un’esperienza molto educativa. L’idea di scrivere qualcosa del genere era sempre stata presente, da un certo punto in poi, ma forse non avrei mai iniziato senza l’invito di questa casa editrice, che mi ha pazientemente supportato e con cui abbiamo lavorato tanto in questi mesi. Questo ci ha portato fin qui, e vedremo cosa riserva il futuro.
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L’episodio più significativo, che ho citato anche nel libro, è stato l’eclissi totale di Sole di quest’anno negli Stati Uniti, per quanto riguarda fenomeni naturali. Ha superato qualsiasi altro evento. Non c’è aurora boreale, cielo stellato o altro che regga il confronto con un fenomeno di questa portata. Ho dedicato un po’ di tempo a documentarlo, perché anche in questo caso si può realizzare tutto con una macchina fotografica, un teleobiettivo e un astroinseguitore con inseguimento solare. Strumentazione basilare, tradizionale e non necessariamente economica, ma comune nella fotografia. È stata l’esperienza naturalistica più straordinaria che abbia vissuto, e non ha richiesto telescopi costosi o attrezzature sofisticate.
Dal vivo è stato spettacolare. Era la mia prima eclissi totale: non ero all’estero per le precedenti, avevo visto solo quella parziale in Italia da ragazzo. Ma finché non vedi sparire l’ultimo spicchio di sole, non hai vissuto una totale. È stato pazzesco. Ora ci aspettano altre due eclissi nei prossimi anni, e per quelle organizzerò sicuramente viaggi fotografici. Questa l’ho vissuta in modo personale, ma per le prossime farò dei viaggi appositi. Non vedo l’ora: adesso che so quanto sono straordinarie, non voglio più perderne una se sarà possibile.
I luoghi dove ambientare fotografie della Via Lattea sono infiniti, perché anche se l’arco celeste è sempre quello, ciò che cambia è il paesaggio terrestre sottostante. L’idea di fotografarla in posti come il baobab o l’albero del drago di Socotra è uno dei miei grandi obiettivi.
Poi, ci sono tanti posti e oggetti che vorrei fotografare. Per esempio, una lente gravitazionale. È un’impresa fattibile a livello amatoriale, anche se complicata dalle condizioni atmosferiche del luogo in cui vivo. Non cerco il primato, ma mi affascina l’idea di poter vedere e immortalare qualcosa di così straordinario con il mio equipaggiamento, senza ricorrere a telescopi remoti o attrezzature costose.
In passato ho già tentato alcune imprese del genere, dal mio osservatorio fisso, ma la turbolenza atmosferica ha reso i risultati deludenti. Non ho mai pubblicato niente perché non erano all’altezza. Con condizioni migliori però, potrei riprovare in futuro. Oggetti come le nebulose planetarie e quasar mi hanno sempre appassionato, ma richiedono tanta pazienza e un’attrezzatura adeguata. Fotografare una lente gravitazionale, anche solo accennarla, sarebbe straordinario. Certo, con un telescopio da due metri nel deserto sarebbe più semplice, ma vorrei riuscirci con il mio strumento, sotto il mio cielo, senza spendere cifre esorbitanti per attrezzature avanzate. Vedremo cosa porterà il futuro.
Ringraziamo Luca Fornaciari per la disponibilità (e per le bellissime foto di questa intervista). Qui il suo sito internet per conoscere tutte le sue attività.
Leggi la recensione completa del libro “Fotografia astronomica” qui –> Un manuale di tecniche e strumenti per ritrarre le meraviglie del cosmo, di Luca Fornaciari