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25 anni dal fallimento della missione Mars Climate Orbiter

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Il 23 settembre 1999, la missione Mars Climate Orbiter della NASA si concluse in un drammatico fallimento che segnò una delle pagine più discusse nella storia dell’esplorazione spaziale.

Dopo un viaggio di quasi 10 mesi, il Mars Climate Orbiter, progettato per studiare l’atmosfera marziana e fornire supporto alla missione Mars Polar Lander, perse contatto con la Terra a causa di un errore che causò l’ingresso della sonda in un’orbita troppo bassa, facendola disintegrare nell’atmosfera marziana.

L’evento scatenò una serie di interrogativi sull’affidabilità dei processi di controllo della missione e portò a una revisione approfondita delle procedure ingegneristiche. Nonostante fosse una sonda scientifica ambiziosa, con l’obiettivo di rivoluzionare la nostra comprensione del clima di Marte, il Mars Climate Orbiter divenne tristemente noto come un esempio emblematico di errore umano nella gestione dei progetti spaziali.

Questo incidente non solo rallentò il programma di esplorazione marziana della NASA, ma mise in luce la fragilità delle missioni interplanetarie, dove anche il minimo errore può portare a conseguenze catastrofiche.

Gli obiettivi di Mars Climate Orbiter

Lanciato l’11 dicembre 1998, il Mars Climate Orbiter faceva parte di una nuova generazione di sonde interplanetarie progettate per esplorare il clima di Marte. Il principale obiettivo della missione era quello di studiare il bilancio energetico dell’atmosfera marziana, la distribuzione della polvere e dell’acqua, e il ciclo del carbonio.

Render del Mars Climate Orbiter.

La sonda avrebbe anche dovuto fungere da stazione di ripetizione per le comunicazioni tra la Terra e il Mars Polar Lander, che sarebbe atterrato vicino al polo sud di Marte. Le informazioni raccolte avrebbero migliorato la comprensione del clima marziano e fornito dati fondamentali per pianificare future missioni con equipaggio verso il Pianeta Rosso.

Il lancio e il viaggio verso Marte

Il lancio del Mars Climate Orbiter dal Kennedy Space Center avvenne a mezzo del vettore Delta II, che portò la sonda su una traiettoria interplanetaria verso Marte. Il viaggio di quasi 10 mesi fu relativamente di successo, con la sonda che eseguiva correzioni di rotta periodiche per assicurarsi di mantenere la traiettoria corretta per l’inserimento in orbita attorno a Marte.

Le comunicazioni con il veicolo rimasero costanti e la NASA era ottimista riguardo al successo della missione. Tuttavia, durante questo periodo, si verificò un piccolo ma significativo problema: la discrepanza tra il sistema metrico, utilizzato dagli ingegneri della NASA, e il sistema imperiale, utilizzato da uno dei contractor, Lockheed Martin. Questo errore, sebbene non immediatamente evidente, avrebbe portato a gravi conseguenze durante la fase di inserimento orbitale.

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L’arrivo previsto e il tragico errore

Il 23 settembre 1999, il programma prevedeva che l’orbiter accendesse il proprio propulsore principale tra le 2:01 e le 2:17 del mattino (ora della California). Per quasi l’intera durata della manovra, la sonda si sarebbe trovata dietro il Pianeta Rosso rispetto alla Terra, dunque nessuno avrebbe potuto monitorare la telemetria in tempo reale. In particolare, si prevedeva di perdere i contatti radio alle 2.05 per riprenderli alle 2.27 AM.

Questa manovra era necessaria perché l’orbiter si inserisse in un’orbita ellittica attorno a Marte. Tuttavia, l’errore nei calcoli di navigazione portò la sonda a entrare molto più vicino al pianeta, a un’altitudine di circa 57 kilometri.

Confronto fra l’ultima parte di orbita pianificata e quella effettivamente eseguita dal Mars Climate Orbiter.

A tale altezza, la densità dell’atmosfera marziana fu sufficiente a causare la distruzione del veicolo, che perse immediatamente il contatto con la Terra. La conferma che qualcosa non era andato come previsto si ebbe quando, alle 2:27, le antenne del Deep Space Network si misero in ascolto senza ricevere alcun segnale. Anche i numerosi tentativi successivi non diedero mai risposta: il Mars Climate Orbiter era scomparso dietro Marte per non riapparire più.

Il motivo e le conseguenze del fallimento

Il fallimento del Mars Climate Orbiter portò la NASA a condurre un’analisi approfondita per comprendere le cause. L’errore fu individuato in un sistema a Terra utilizzato per ricalcolare la traiettoria della sonda, basato su dati provenienti dai thruster della sonda stessa.

Mentre la Lockheed Martin, che aveva costruito la sonda e alcuni strumenti usati dai tecnici a Terra, utilizzava il sistema di misura in pound per secondo, la NASA utilizzava Newton per secondo, secondo la documentazione di riferimento che richiedeva che i dati venissero scambiati in unità del Sistema Internazionale.

Questa discrepanza non venne rilevata, e provocò uno scarto di 4.45 volte nei calcoli dell’impulso totale, ovvero del prodotto tra la spinta applicata e il tempo di applicazione. Questo aveva influenzato tutte le correzioni di rotta e le AMD con accensione dei thruster durante i mesi di viaggio, ma era comunque basso, a malapena apprezzabile.

Il problema divenne evidente solo dopo l’ultima correzione, quando si stimò che la sonda avrebbe sorvolato Marte a 150 km, invece dei 226 km previsti. Ulteriori calcoli abbassarono la stima a soli 57 km, un’altitudine pericolosamente vicina all’atmosfera marziana, che portò alla distruzione della sonda.

Nonostante alcuni tecnici avessero rilevato le discrepanze, la burocrazia interna rallentò le azioni correttive, cancellando la quinta manovra di correzione che avrebbe potuto salvare la missione. Con ogni probabilità, il Mars Climate Orbiter entrò nell’atmosfera marziana ad una velocità di circa 4 km/s, e venne vaporizzato dalle forze aerotermodinamiche.

Il fallimento del Mars Climate Orbiter ebbe conseguenze significative per la NASA, che rivisitò i propri processi di gestione delle missioni, standardizzando le unità di misura e intensificando i test. Tuttavia, anche il Mars Polar Lander, che avrebbe dovuto ricevere supporto dall’Orbiter, fallì poco dopo, aumentando la pressione sull’agenzia per evitare ulteriori insuccessi.

Gli orbiter seguiti al Mars Climate Orbiter

Al settembre 2024, Marte è circondato da numerosi orbiter attivi, frutto di decenni di missioni di successo che hanno seguito il disastro del Mars Climate Orbiter.

In particolare, la maggior parte degli obbiettivi scientifici della missione fallita sono stati portati a termine con un’altra missione NASA lanciata nel 2005, il Mars Reconnaissance Orbiter (MRO). MRO è uno degli orbiter più longevi ed è utilizzato per fotografare la superficie marziana ad alta risoluzione e per studiare la geologia, l’atmosfera e le condizioni meteorologiche su Marte. Tra gli altri orbiter, ricordiamo:

  • Il Mars Atmosphere and Volatile EvolutioN (MAVEN), sempre della NASA, lanciato nel 2013. MAVEN è focalizzato sull’atmosfera superiore di Marte, studiando la sua evoluzione e come il pianeta abbia perso la sua atmosfera e l’acqua nel tempo.
  • Il Trace Gas Orbiter (TGO) dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), lanciato nel 2016 e parte della missione ExoMars. TGO è progettato principalmente per studiare i gas nell’atmosfera marziana, come il metano, che potrebbe indicare attività geologica o biologica. Fornisce anche supporto per le comunicazioni.
  • Il Mars Express dell’ESA, lanciato nel 2003. È uno degli orbiter marziani più longevi e continua a fornire dati preziosi sul pianeta, studiando la superficie marziana, la sua atmosfera e la sua ionosfera. Tra i contributi più importanti della missione ci sono la scoperta di ghiaccio d’acqua al polo sud di Marte e l’individuazione di segnali di acqua liquida sotto la superficie.
  • Tianwen-1 dell’Agenzia Spaziale Cinese CNSA, lanciato nel 2020. Parte della prima missione interplanetaria cinese, Tianwen-1 includeva sia un lander con un rover che un orbiter. L’orbiter è ancora attivo e sta fornendo immagini ad alta risoluzione e dati scientifici sulla superficie di Marte. Il rover Zhurong non è più attivo.

Dal lancio del 2013 fino all’autunno 2022 è stato attivo anche il Mars Orbiter Mission (MOM) dell’Agenzia Spaziale Indiana ISRO, chiamato anche Mangalyaan. MOM è stato il primo orbiter indiano su Marte ed era principalmente una missione dimostrativa, ma ha raccolto dati sull’atmosfera, la superficie e le tempeste di polvere marziane.

Questi orbiter rappresentano gli sforzi internazionali per comprendere meglio il Pianeta Rosso e preparare future missioni, anche con equipaggio. Su un pianeta che, nonostante i fallimenti, rimane uno degli obiettivi principali per l’esplorazione spaziale.

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