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47 anni dal lancio di Voyager 1, il primo oggetto costruito dall’uomo a entrare nello spazio interstellare

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Il 5 settembre 1977 partiva da Cape Canaveral la missione Voyager 1 della NASA, che insieme alla gemella Voyager 2, lanciata due settimane prima, rappresenta uno dei capisaldi nella storia dell’esplorazione spaziale.

Voyager 1, che come la sorella era stata progettata per l’esplorazione dei pianeti esterni, è riuscita a raggiungere traguardi senza precedenti. Attualmente si trova a circa 24 miliardi di chilometri dalla Terra, ben oltre i confini dell’eliosfera, il campo di influenza del Sole.

Nel 2012 è divenuta il primo oggetto costruito dall’uomo a entrare nello spazio interstellare, una regione del cosmo che si estende al di fuori dell’influenza gravitazionale diretta del Sole. Un risultato che rappresenta non solo un traguardo tecnologico ma anche una grande conquista scientifica, perché ci sta offrendo una visione unica e diretta delle condizioni oltre il Sistema Solare.

Il viaggio di Voyager 1 ha permesso agli scienziati di raccogliere dati senza precedenti sull’ambiente spaziale, i giganti gassosi, le loro lune, e le regioni più esterne, ai confini e oltre i confini del nostro sistema planetario. Attraverso misurazioni di particelle, campi magnetici e radiazioni cosmiche, Voyager 1, insieme alla gemella, sta dando un contributo fondamentale alla nostra comprensione della casa in cui viviamo, e del cosmo di cui fa parte.

Il programma Voyager

Il programma Voyager, avviato nei primi anni ’60, rappresenta uno dei capitoli più ambiziosi e innovativi della storia dell’esplorazione spaziale. Le sonde Voyager 1 e Voyager 2 furono progettate appositamente per l’esplorazione ravvicinata dei pianeti esterni: Giove, Saturno, Urano e Nettuno.

Per garantire il successo delle due missioni, furono incorporate a ciascuna delle due sonde, perfettamente identiche, una serie di tecnologie avanzate per l’epoca, tra cui strumenti per la raccolta di dati fotografici e spettroscopici, e una potente trasmittente radio capace di inviare dati a distanze enormi.

Illustrazione della sonda voyager 1 della NASA che mostra le antenne del sottosistema Plasma Wave e altre componenti. Credits: NASA/JPL-Caltech

Le Voyager sono equipaggiate con un sistema di energia a radioisotopi, essenziale per il funzionamento a lungo termine nello spazio profondo, dove la luce solare è insufficiente per i pannelli solari. Ogni sonda dispone di una suite di strumenti scientifici progettati per studiare i pianeti e le loro lune, ma anche i campi magnetici e i campi di particelle.

Il lancio di Voyager 1, a due settimane dalla gemella

Il lancio di Voyager 1 del 5 settembre 1977 avvenne con un ritardo di circa 16 giorni rispetto alla gemella Voyager 2. Questo intervallo temporale era stato pianificato appositamente, per via della traiettoria seguita dalle due sonde e dalle opportunità di raccolta dati previste.

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Voyager 1 era infatti diretta verso Giove e Saturno, mentre Voyager 2 ha seguito una traiettoria che le ha consentito di visitare anche Urano e Nettuno, ed è attualmente l’unica missione esplorativa umana ad averli sorvolati.

Il lancio di Voyager 1 avvenne a bordo di un razzo Titan in configurazione Centaur dalla base spaziale di Cape Canaveral, in Florida, come per Voyager 2. Il successo dei lanci di entrambe le sonde e la loro partenza segnarono l’inizio di due delle missioni più fruttuose nella storia dell’esplorazione spaziale.

Quel pallido puntino blu

Voyager 1 ha seguito un lungo viaggio verso il confine del Sistema Solare, sorvolando il pianeta Giove nel 1979 e Saturno nel 1980. Durante queste due visite, la sonda ha catturato immagini spettacolari dei giganti gassosi del nostro Sistema Solare e ha raccolto dati cruciali, rivelando dettagli sorprendenti su questi pianeti e le loro lune.

Nel 1990, quando Voyager 1 si trovava a circa 6 miliardi di chilometri dalla Terra, oltre l’orbita di Nettuno, l’astronomo e divulgatore scientifico Carl Sagan suggerì di utilizzare la sonda per scattare una serie di fotografie del Sistema Solare, inclusa una della Terra.

L’ immagine “Pale Blue Dot”, che mostra la Terra da 6 miliardi di chilometri di distanza come un piccolo puntino luminoso (a circa metà della banda luminosa a destra) nell’oscurità dello spazio profondo. Credits: NASA/Voyager 1

Da tale distanza, il nostro pianeta appariva come un piccolo puntino luminoso. Questa immagine, passata alla storia con il nome The Pale Blue Dot, è diventata una delle fotografie più emblematiche della storia della scienza. Ritrae la Terra come un minuscolo punto blu sospeso nello spazio, visibile attraverso un debole raggio di sole.

The Pale Blue Dot, letteralmente “quel pallido puntino blu”, non è solo un simbolo della fragilità e della solitudine del nostro pianeta, ma anche un potente promemoria dell’importanza di preservare la nostra casa nel vasto Universo. Attraverso la lente di Voyager 1, la Terra è apparsa come un punto insignificante in un vasto mare cosmico, offrendo una prospettiva unica sulla nostra esistenza.

Verso lo spazio interstellare

Il 17 febbraio 1998, la Voyager 1 ha raggiunto una distanza di 69 Unità Astronomiche (1 UA è la distanza Terra-Sole, circa 150 milioni di km) ovvero circa 10.3 miliardi di km dal Sole, e superò la Pioneer 10, allora la sonda più distante dalla Terra.

Mentre si dirigeva verso lo spazio interstellare, gli strumenti di Voyager 1 continuavano a studiare l’ambiente ai confini del Sistema Solare. In particolare, gli scienziati del JPL hanno utilizzato gli esperimenti sulle onde di plasma a bordo della sonda per cercare l’eliopausa, definita come il confine in cui il vento solare si trasforma nel mezzo interstellare.

Il 25 agosto 2012, a una distanza di 121 UA o 18.1 miliardi di km dal Sole, la sonda ha attraversato ufficialmente il confine dell’eliosfera, entrando nello spazio interstellare. Voyager 1 è stata quindi il primo oggetto costruito dall’uomo in assoluto ad uscire dal Sistema Solare, o se non altro dai confini da noi definiti, un’impresa che ha rappresentato un’importantissimo risultato nella storia dell’esplorazione spaziale.

Dirigendosi in una direzione diversa, la gemella Voyager 2 ha attraversato un’altra parte dell’eliopausa successivamente, nel novembre 2018.

Questa illustrazione mostra la posizione delle sonde Voyager 1 e Voyager 2 della NASA, al di fuori dell’eliosfera, una bolla protettiva creata dal Sole che si estende ben oltre l’orbita di Plutone. La Voyager 1 ha attraversato l’eliopausa, o il bordo dell’eliosfera, nell’agosto 2012. Credits: NASA/JPL-Caltech

L’eredità di Voyager 1

Voyager 1 ora si trova in una regione dello spazio in cui le condizioni sono radicalmente diverse rispetto a quelle del Sistema Solare interno. La sonda è esposta a un ambiente interstellare caratterizzato da una bassa densità di particelle e da campi magnetici più complessi, che hanno un impatto significativo sulla sua strumentazione e sui segnali inviati alla Terra.

La missione continua a svolgere un ruolo cruciale nella ricerca scientifica, anche dopo quasi mezzo secolo dal suo lancio. Le misurazioni effettuate dalla sonda hanno fornito e stanno fornendo dati fondamentali sull’ambiente interstellare, contribuendo a una comprensione più profonda delle interazioni tra il vento solare e il mezzo interstellare.

Le osservazioni di Voyager 1 hanno permesso di studiare la struttura e la composizione del plasma interstellare, nonché di monitorare i cambiamenti nei raggi cosmici e nei campi magnetici. E prima ancora, di avere una vista senza precedenti sui giganti gassosi del Sistema Solare e sulle loro peculiarità.

L’eredità scientifica di Voyager 1 si estende anche al campo delle tecnologie spaziali e delle comunicazioni. La sonda ha dimostrato la capacità di trasmettere dati attraverso distanze enormi, una realizzazione che continua a influenzare le missioni spaziali odierne. I risultati ottenuti hanno fornito una base solida per future esplorazioni e studi sullo spazio profondo.

Voyager 1 quindi non solo ha ampliato i confini della nostra conoscenza, ma continua a essere una fonte di dati preziosi. E contribuisce a plasmare la nostra comprensione dell’Universo e a ispirare ulteriori, semprep più affascinanti scoperte.

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