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| On 3 settimane ago

L’EHT ha raggiunto la più alta risoluzione di sempre per osservazioni astronomiche da Terra

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La collaborazione Event Horizon Telescope (EHT), nota per aver prodotto le prime immagini di buchi neri supermassicci M87* (nel 2019) e Sgr A* (nel 2022) collegando diversi osservatori radio su tutto il pianeta, ha recentemente eseguito un esperimento che ha raggiunto un progresso notevole nella capacità di osservazione ad alta risoluzione dalla superficie terrestre.

Ha condotto alcune osservazioni di prova con la tecnica dell’interferometria a base molto lunga (Very Long Baseline Interferometry, VLBI) a una lunghezza d’onda mai raggiunta prima per questo tipo di osservazioni: 0.87 mm, corrispondente a una frequenza di circa 345 GHz.

Nell’esperimento sono state coinvolte diverse strutture terrestri: ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) e APEX (Atacama Pathfinder EXperiment) in Cile, il telescopio IRAM da 30 metri in Spagna, NOEMA (NOrthern Extended Millimeter Array) in Francia, il Greenland Telescope e il Submillimeter Array alle Hawaii.

Questo approccio ha permesso di ottenere una risoluzione angolare eccezionale di 19 microarcosecondi, la più alta mai raggiunta dalla superficie terrestre. Un risultato che promette di migliorare significativamente la nostra capacità di studiare oggetti sfuggenti come i buchi neri.

A una risoluzione mai raggiunta

Per ottenere immagini ad alta risoluzione, gli astronomi in genere si affidano a telescopi più grandi. Oppure a una maggiore separazione tra gli osservatori che lavorano come parte di un interferometro. Ma poiché l’EHT aveva già le dimensioni di tutta la Terra, aumentare la risoluzione delle osservazioni terrestri richiedeva un approccio diverso: osservare la luce di una lunghezza d’onda più corta.

Le osservazioni di prova si sono concentrate su galassie distanti e luminose, utilizzando due sotto-sezioni più piccole dell’EHT, entrambe comprendenti ALMA e APEX. Questo approccio ha permesso di testare la fattibilità delle osservazioni a 0.87 mm, una lunghezza d’onda che offre potenzialmente una maggiore nitidezza e dettaglio nelle immagini dei buchi neri.

Sebbene l’esperimento non abbia ancora prodotto immagini complete, ha dimostrato la capacità di rilevare segnali a questa lunghezza d’onda più corta: per la prima volta, la tecnica VLBI è stata applicata con successo alla lunghezza d’onda di 0.87 mm, e raggiungendo una risoluzione mai ottenuta prima per osservazioni terrestri, di ben 19 microarcosecondi.

Queste immagini simulate al computer mostrano l’emissione vicino all’orizzonte degli eventi di un buco nero che assomiglia a Sgr A* a una lunghezza d’onda di osservazione di 1.3 mm (sinistra) e 0.87 mm (destra). Evidenziano quanti più dettagli si possono vedere quando si osserva un buco nero a lunghezze d’onda più corte. La barra orizzontale denota una scala angolare di 40 microarcosecondi. Credits:
Christian M. Fromm, Università Julius-Maximilian, Würzburg

Perché non era mai stato fatto prima?

Anche se in passato era già possibile osservare il cielo notturno a questa lunghezza d’onda, l’uso del VLBI a 0.87 mm ha sempre incontrato ostacoli che hanno richiesto tempo e avanzamenti tecnologici per essere superati.

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Ad esempio, il vapore acqueo nell’atmosfera assorbe molto di più le onde luminose a 0.87 mm rispetto a quelle a 1.3 mm, lunghezza d’onda utilizzata per ottenere le prime immagini dei buchi neri. Questo complica la ricezione dei segnali dei buchi neri, da parte dei radiotelescopi.

Inoltre, le turbolenze atmosferiche, il rumore più elevato e la variabilità delle condizioni meteorologiche globali durante le osservazioni hanno reso lento il progresso del VLBI verso lunghezze d’onda più corte, specialmente quelle nel regime submillimetrico.

Per superare queste difficoltà, i ricercatori hanno utilizzato una combinazione strategica di osservatori posti ad alta quota, come ALMA e APEX nel deserto di Atacama, dove l’atmosfera è più secca e stabile. L’integrazione di diversi telescopi in diverse parti del mondo ha permesso di mitigare gli effetti delle condizioni atmosferiche locali e di ottenere una sensibilità sufficiente per rilevare i deboli segnali provenienti da galassie distanti.

In questa mappa i punti gialli indicano la posizione delle antenne e degli array che hanno partecipato all’esperimento condotto dall’Event Horizon Telescope (EHT) Collaboration. Credits: ESO/M. Kornmesser

Questo test tecnico apre così una nuova finestra per studiare i buchi neri: con l’intera schiera di radiotelescopi parte del progetto, l’EHT potrebbe vedere dettagli piccoli fino a 13 microarcosecondi, equivalenti a vedere dalla Terra un tappo di bottiglia sulla Luna. Ciò significa che, a 0.87 mm, si potranno ottenere immagini con una risoluzione circa il 50% superiore rispetto a quella delle immagini di M87* e SgrA* da 1.3 mm pubblicate in precedenza.

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