La Dark Energy Camera ha catturato un’immagine senza precedenti e ricchissima di dettagli, che non mostra singole stelle, ma un vasto ammasso di galassie: l’ammasso della Chioma. Questo ammasso prende il nome dalla costellazione in cui si trova, la Chioma di Berenice: tra le 88 costellazioni, è l’unica dedicata a una figura storica, la regina Berenice II d’Egitto.
La Dark Energy Camera è una fotocamera da 570 megapixel montata sul telescopio Víctor M. Blanco, gestito dalla US National Science Foundation presso l’Osservatorio interamericano di Cerro Tololo. La fotocamera è stata sviluppata per il progetto Dark Energy Survey (DES), che tra il 2013 e il 2019 ha dedicato 758 notti a osservare porzioni precise di cielo.
Il DES mirava a comprendere meglio la natura dell’energia oscura, una forza misteriosa che, secondo le teorie attuali, sta accelerando l’espansione dell’Universo. E l’ammasso della Chioma è strettamente legato alla controparte enigmatica dell’energia oscura: la materia oscura.
L’ammasso della Chioma e la materia oscura
Nel 1937, l’astronomo svizzero Fritz Zwicky osservò diverse galassie all’interno dell’ammasso della Chioma, e calcolò la sua massa basandosi sulle strutture visibili. Tuttavia, i suoi calcoli rivelarono qualcosa di insolito: sembrava mancare una grande quantità di massa. Le galassie si comportavano come se la massa totale dell’ammasso fosse 400 volte superiore a quanto stimato.
Zwicky arrivò a questa conclusione studiando la velocità delle galassie. Sappiamo che tutti gli oggetti dotati di massa nel cosmo attraggono altri oggetti gravitazionalmente. Più massicci sono, più è forte questa attrazione. Ma se un oggetto si muove abbastanza rapidamente, può vincere l’attrazione gravitazionale di altri oggetti.
Basandosi su questo principio, Zwicky dedusse che nell’ammasso della Chioma sembrava mancare della materia. Notò infatti che le galassie si muovevano così velocemente che sarebbero dovute sfuggire all’ammasso, se fosse stato mantenuto insieme solo dalla massa osservabile. Questo lo portò a ipotizzare l’esistenza di grandi quantità di materia non visibile, una teoria inizialmente accolta con scetticismo dalla comunità astronomica.
Dallo scetticismo alla conferma
Fino agli anni ’80, la maggior parte degli astronomi rimase scettica sull’esistenza della materia oscura. Tuttavia, il consenso cambiò quando diversi studi riportarono la stessa discrepanza di massa osservata da Zwicky, ma questa volta su scala delle singole galassie anziché degli interi ammassi.
Uno di questi studi, condotto nel 1970 dagli astronomi statunitensi Kent Ford e Vera C. Rubin, rilevò prove di materia invisibile nella galassia di Andromeda. Nel 1979, gli astronomi Sandra Faber e John Gallagher condussero un’analisi dettagliata del rapporto massa-luce in oltre 50 galassie a spirale ed ellittiche, arrivando alla conclusione che “il caso della massa invisibile nell’Universo è molto solido e diventa sempre più convincente”.
Oggi, l’esistenza della materia oscura e dell’energia oscura è largamente accettata, e comprenderne la natura sfuggente è uno degli obiettivi principali dell’astrofisica moderna. Una maggiore comprensione potrebbe essere all’orizzonte grazie al prossimo Legacy Survey of Space and Time, un progetto decennale condotto dall’Osservatorio Vera C. Rubin dell’NSF-DOE. Così come grazie al telescopio spaziale Euclid dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), lanciato nel luglio 2023 proprio per investigare la natura di queste miseriose componenti dell’Universo.