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| On 4 settimane ago

Modellata l’evoluzione del sistema planetario TRAPPIST-1

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L’esplorazione dei sistemi planetari extrasolari continua a rivelare scoperte che sfidano la nostra comprensione della formazione planetaria. Ora un nuovo studio getta nuova luce sull’evoluzione del sistema planetario TRAPPIST-1, uno dei più intriganti conosciuti al di fuori del nostro Sistema Solare.

A circa 40 anni luce dalla Terra, TRAPPIST-1 ospita sette pianeti e si distingue per la sua configurazione orbitale unica.

Questa ricerca, condotta da un team internazionale guidato da Gabriele Pichierri, ricercatore in scienze planetarie al Caltech, offre una nuova prospettiva su come questo sistema si sia formato e sia evoluto nel tempo. Utilizzando sofisticati modelli computazionali, infatti, gli scienziati hanno proposto una nuova teoria per spiegare l’attuale disposizione dei pianeti di TRAPPIST-1.

Il sistema TRAPPIST-1

Il sistema TRAPPIST-1 fu scoperto inizialmente nel 2016 utilizzando il telescopio TRAPPIST (TRAnsiting Planets and PlanetesImals Small Telescope) in Cile. Questa scoperta rappresentò un momento cruciale nella nostra storia di esplorazione degli esopianeti: con osservazioni successive, si comprese che si trattava di un sistema compatto con sette pianeti di dimensioni simili alla Terra, orbitanti attorno a una nana ultrafredda.

TRAPPIST-1 si trova nella costellazione dell’Acquario, e i suoi pianeti sono tutti rocciosi, denominati da TRAPPIST-1b a TRAPPIST-1h. Ciò che rende questo sistema particolarmente interessante è la sua configurazione orbitale: i pianeti sono disposti in quello che gli astronomi chiamano una catena di risonanza, dove i periodi orbitali dei pianeti adiacenti formano rapporti di numeri interi semplici.

Tuttavia, mentre i pianeti esterni seguono le risonanze più comuni, come il rapporto 3:2 tra i loro periodi orbitali, i pianeti interni mostrano risonanze più complesse. Ad esempio, il rapporto tra le orbite dei pianeti b e c è 8:5, mentre tra c e d è 5:3. Questa discrepanza nelle risonanze orbitali ha intrigato gli scienziati e ha imposto domande fondamentali sulla formazione e l’evoluzione del sistema.

Il modello a due fasi

La ricerca condotta da Pichierri e colleghi si basa su un innovativo modello a due fasi, che spiega l’attuale configurazione del sistema TRAPPIST-1. Questo modello propone una sequenza di eventi che hanno plasmato il sistema nel corso di milioni di anni.

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Nella prima fase, il modello suggerisce che i quattro pianeti interni si siano formati e abbiano evoluto inizialmente da soli, stabilendosi in una catena di risonanza 3:2. Questo tipo di configurazione è considerato comune nei sistemi planetari giovani, dove i pianeti migrano verso l’interno attraverso il disco protoplanetario che circonda la stella nascente.

La seconda fase del modello introduce un elemento chiave: l’espansione del bordo interno del disco protoplanetario. Man mano che questo bordo si spostava verso l’esterno, ha influenzato le orbite dei pianeti interni. Questo processo ha permesso alle orbite di “rilassarsi”, passando dalla stretta catena di risonanza 3:2 alla configurazione più complessa che osserviamo oggi.

Un aspetto particolarmente interessante di questo modello è il ruolo del quarto pianeta. Inizialmente posizionato sul bordo interno del disco, questo pianeta si è spostato verso l’esterno con l’espansione del disco. Tuttavia, in una fase successiva, è stato spinto nuovamente verso l’interno, quando tre pianeti aggiuntivi si sono uniti al sistema.

Tutti e sette i pianeti scoperti in orbita attorno alla stella nana rossa TRAPPIST-1 potrebbero facilmente entrare nell’orbita di Mercurio, il pianeta più interno del nostro Sistema Solare. Credits: NASA/JPL-Caltech/R. Hurt, T. Pyle (IPAC)

Implicazioni

La ricerca ha implicazioni significative che si estendono ben oltre questo singolo sistema. In primo luogo, dimostra l’importanza di considerare processi evolutivi complessi nella formazione dei sistemi planetari. Il modello proposto suggerisce infatti che le configurazioni planetarie che osserviamo oggi potrebbero essere il risultato di una lunga storia di interazioni dinamiche, piuttosto che semplici residui della formazione iniziale.

Inoltre, evidenzia il valore dei sistemi planetari “pristini” come TRAPPIST-1 per testare le teorie sulla formazione planetaria. A differenza di molti altri sistemi che hanno subito instabilità significative nel corso della loro vita, TRAPPIST-1 sembra aver mantenuto gran parte della sua configurazione originale. Questo lo rende un laboratorio naturale ideale per studiare i processi di formazione planetaria.

La ricerca apre anche nuove strade per future indagini. Ad esempio, solleva domande su come le caratteristiche uniche di TRAPPIST-1 possano influenzare la potenziale abitabilità dei suoi pianeti. La stabilità a lungo termine del sistema potrebbe aver fornito condizioni favorevoli per lo sviluppo di atmosfere complesse. Se non addirittura di forme di vita.

Lo studio, pubblicato su Nature Astronomy, è reperibile qui in versione pre-print.

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