News
| On 2 mesi ago

L’IA ha aiutato a identificare centinaia di nane bianche che divorano pianeti nella loro orbita

Share

Recenti studi e osservazioni hanno mostrato che alcune nane bianche sono “inquinate”, ovvero presentano tracce di elementi pesanti sulla loro superficie. Ciò suggerisce che potrebbero aver distrutto e “divorato” pianeti nella loro orbita. E sono tanto preziose da studiare quanto difficili da trovare.

Finora, per individuare stelle come queste gli astronomi dovevano esaminare manualmente montagne di dati di diverse indagini cosmiche, per poter procedere con osservazioni di follow-up che avrebbero poi dimostrato o smentito i loro sospetti.

Ora, utilizzando una forma di IA chiamata mainfold learning, un team guidato da Malia Kao della University of Texas di Austin ha permesso di accelerare questo processo. Applicando l’algoritmo ai dati della missione Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), hanno raggiunto un tasso di successo del 99% nell’identificazione di nane bianche inquinate, determinandone in poco tempo più di 300.

Nane bianche che divorano pianeti

Le nane bianche rappresentano la fase finale del ciclo vitale di stelle di massa media, come il Sole. Quando l’idrogeno si esaurisce, la stella inizia a fondere l’elio e si espande in una gigante rossa. Durante questa fase, la stella perde i suoi strati esterni a causa di forti venti stellari, creando una nebulosa planetaria. Quello che resta è il nucleo caldo e denso della stella, ora una nana bianca, principalmente composta da carbonio e ossigeno.

Processo evolutivo di una stella di massa simile al Sole, che passa alla fase di gigante rossa (da 2 a 3) e successivamente perde gli strati esterni formando una nebulosa planetaria (4) fino a lasciare un nucleo spoglio e caldo destinato a raffreddarsi, la nana bianca (5).

Durante la fase di gigante rossa, i pianeti più vicini possono essere inghiottiti o distrutti. Dopo la formazione della nana bianca, possono verificarsi eventi in cui i pianeti o altri corpi celesti sono destabilizzati gravitazionalmente, avvicinandosi troppo alla nana bianca. Le forze di marea possono frantumare questi corpi, e il materiale risultante può depositarsi sulla superficie della nana bianca.

Osservazioni recenti di nane bianche hanno rivelato la presenza di elementi pesanti sulle loro superfici, come calcio, ferro e magnesio. Questi elementi non dovrebbero essere presenti sulle nane bianche, poiché dovrebbero affondare rapidamente sotto la superficie a causa della loro alta densità. La presenza di questi elementi suggerisce che la nana bianca ha recentemente accresciuto materiale da corpi celesti vicini, come pianeti o asteroidi, consumandoli.

Perché ci interessa studiarle?

Studiare le nane bianche inquinate è di grande interesse per gli astronomi perché offrono un’opportunità unica di comprendere la composizione interna dei pianeti extrasolari. Quando una nana bianca accresce materiale da pianeti o asteroidi distrutti, permette agli scienziati di analizzare direttamente i componenti interni dei pianeti, un’impresa altrimenti impossibile con le attuali tecnologie di osservazione diretta dei pianeti extrasolari.

Uno degli spettri della campagna osservativa dell’University of Texas utilizzando l’IA sui dati Gaia. Lo spettro mostra la presenza di cinque specie metalliche: calcio, magnesio, ferro, sodio e vanadio. Credits: Kao et al. 2024

Keith Hawkins, astronomo della University of Texas di Austin e coautore dello studio, ha sottolineato: “Studiare le nane bianche inquinate l’unico modo autentico per capire realmente di cosa sono fatti i pianeti al di fuori del Sistema Solare”. Questa comprensione è fondamentale per conoscere non solo la composizione chimica, ma anche la formazione e l’evoluzione dei pianeti in altri sistemi stellari.

ANNUNCIO

Ci interessa anche per comprendere il destino del nostro Sistema Solare, perché anche il Sole diverrà una nana bianca.

Tuttavia, identificare queste nane bianche inquinate è una sfida. Le prove, visibili attraverso la presenza di metalli pesanti nelle loro atmosfere, possono essere difficili da rilevare. Inoltre, gli astronomi devono individuare queste stelle in una finestra temporale relativamente breve: gli elementi pesanti tendono infatti a sprofondare rapidamente sotto la superficie della nana bianca a causa della sua alta densità, rendendo la loro rilevazione possibile solo per un periodo limitato.

IA sui dati di Gaia

Sebbene gli astronomi possano identificare queste stelle esaminando manualmente i dati provenienti da indagini astronomiche, ciò può richiedere molto tempo. Per testare un processo più rapido, il team ha applicato l’IA ai dati della missione europea Gaia.

Gaia sta fornendo una delle più grandi indagini spettroscopiche di nane bianche fino ad oggi, ma i dati riguardanti queste stelle hanno una risoluzione troppo bassa rispetto a quella che la ricerca richiede. Quindi gli scienziati pensavano non sarebbe stato possibile concluderla.

Per trovare queste stelle elusive, il team ha utilizzato la tecnica AI manifold learning. Con essa, un algoritmo cerca caratteristiche simili in un set di dati e raggruppa elementi simili in un grafico visivo semplificato. I ricercatori possono quindi esaminare il grafico e decidere quali gruppi meritano ulteriori indagini.

Gli astronomi hanno creato un algoritmo per classificare oltre 100mila possibili nane bianche. Di queste, un gruppo di 375 stelle sembrava promettente: mostravano la caratteristica fondamentale di avere metalli pesanti nelle loro atmosfere. Le osservazioni di follow-up con l’Hobby-Eberly Telescope presso il McDonald Observatory dell’University of Texas hanno confermato i sospetti degli astronomi. Kao ha affermato:

Il nostro metodo può aumentare di dieci volte il numero di nane bianche inquinate note, consentendoci di studiare meglio la diversità e la geologia dei pianeti al di fuori del Sistema Solare. Se il nostro è unico tra i sistemi planetari, potrebbe essere unico anche nella sua capacità di sostenere la vita.

Lo studio, pubblicato su The Astrophysical Journal, è reperibile qui.

© 2024 Astrospace.it Tutti i diritti riservati. Questo articolo può essere riprodotto o distribuito integralmente solo con l’autorizzazione scritta di Astrospace.it o parzialmente con l’obbligo di citare la fonte.