Nel settembre 2022, per il primo test di difesa planetaria della storia, la missione DART (Double Asteroid Redirection Test) della NASA si è schiantata sulla piccola luna asteroide Dimorphos del sistema binario di asteroidi composto da Dimorphos e dal più grande Didymos.
Ora, dopo aver analizzato gli effetti dello schianto, il team scientifico della missione ha scoperto nuove informazioni sulle origini di questo sistema e sul motivo per cui la variazione dell’orbita di Dimorphos da parte di DART è stata così efficace.
Ieri, 30 luglio 2024, la rivista Nature Communications ha pubblicato un’edizione speciale a tema Planetary Defense, Space Debris and Near-Earth Objects contenente anche cinque articoli che analizzano le caratteristiche e la storia geologica dei due asteroidi Didymos e Dimorphos.
Coautori di tutti, e primi autori di due, i ricercatori italiani Alice Luchetti e Maurizio Pajola dell’Istituto Nazionale di AstroFisica (INAF) di Padova. Gli studi che hanno guidato si sono focalizzati rispettivamente sull’analisi delle fratture presenti nei massi dell’asteroide Dimorphos e sul processo di formazione dei due asteroidi.
Due asteroidi, uno il figlio dell’altro
Olivier Barnouin e Ronald-Louis Ballouz del Johns Hopkins Applied Physics Laboratory (APL) hanno guidato un articolo che ha analizzato la geologia di entrambi gli asteroidi e ha tratto conclusioni sui materiali della loro superficie e sulle proprietà interne.
Dalle immagini di DART e dal CubeSat LICIACube, fornito dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e costruito da Argotec, il team ha osservato la topografia dell’asteroide più piccolo Dimorphos, che presentava massi di varie dimensioni. In confronto, l’asteroide più grande Didymos era più liscio a quote più basse, sebbene roccioso a quote più elevate, con più crateri di Dimorphos.
Gli autori hanno dedotto che Dimorphos probabilmente si è staccato da Didymos in un grande evento di distacco di massa. Sulla base delle proprietà descritte da Barnouin e colleghi, il video seguente dimostra come la rotazione dell’asteroide Didymos potrebbe aver portato alla crescita della sua cresta equatoriale e alla formazione dell’asteroide più piccolo Dimorphos, visto orbitare attorno al primo verso la fine dell’animazione. Le particelle sono colorate in base alle loro velocità, con la scala mostrata in alto, insieme al periodo di spin in continuo cambiamento di Didymos. Credits: Università del Michigan/Yun Zhang e Johns Hopkins APL/Olivier Barnouin
Inoltre, sia Didymos che Dimorphos hanno caratteristiche superficiali deboli, il che ha portato il team a ipotizzare che Didymos abbia un’età superficiale 40-130 volte più vecchia di Dimorphos, con il primo stimato in 12.5 milioni di anni e il secondo inferiore a 300mila anni. La bassa resistenza superficiale di Dimorphos ha probabilmente contribuito all’impatto significativo di DART sulla sua orbita.
Due asteroidi, un genitore comune
Dalle immagini catturate da DART prima dell’impatto, Maurizio Pajola e il suo team hanno identificato tutti i massi visibili sulla superficie dell’asteroide primario Didymos, un totale di 169, e di Dimorphos, 4734, riuscendo a ricavarne le dimensioni.
Hanno studiato la loro distribuzione di taglia, contando quanti massi più grandi ci sono, e hanno collegato questa stima con diverse caratteristiche geologiche degli asteroidi. Hanno concluso che i due asteroidi si sono formati a seguito di un singolo evento di frammentazione, un impatto catastrofico di un asteroide padre.
I due corpi, quindi, sarebbero aggregati di frammenti rocciosi formatisi a seguito di questa distruzione di un unico genitore comune. La scoperta è stata confermata dalle simulazioni di impatti iperveloci svolte in laboratorio. E dall’identificazione di un masso di 16 metri su Dimorphos e di 93 metri su Didymos, dimensioni che equivalgono a circa un decimo di quella dell’asteroide su cui si trovano: massi così grandi non potrebbero essersi formati a seguito di impatti sulle superfici dei due corpi, che sarebbero rimasti disintegrati nello scontro.
Questa conclusione rafforza la teoria prevalente secondo cui alcuni sistemi di asteroidi binari derivano da resti dispersi di un asteroide primario più grande che si accumulano in una nuova piccola luna di asteroide.
Fratturazione e fatica termica
Alice Lucchetti e colleghi invece hanno scoperto che la fatica termica, ovvero il graduale indebolimento e la rottura di un materiale causati dal calore, potrebbe rapidamente rompere i massi sulla superficie di Dimorphos, generando linee di superficie e alterando le caratteristiche fisiche di questo tipo di asteroide più rapidamente di quanto si pensasse in precedenza.
Infatti, tramite l’applicazione di un modello termofisico che ha determinato la variazione di temperatura fra giorno e notte sull’asteroide, gli autori sono stati in grado di affermare che il calore del Sole è effettivamente in grado di fratturare le rocce di Dimorphos. E, in particolare, che gli stress termici generano la formazione di fratture superficiali che si propagano più rapidamente nella direzione orizzontale al masso stesso rispetto a quella verticale.
Ciò avviene in un arco di tempo compreso tra 10mila e 100mila anni, e la missione DART è stata la prima osservazione di un simile fenomeno su questo tipo di asteroide, un asteroide di tipo S, silicatico. Lucchetti ha spiegato:
Capire come la fatica termica agisca su piccoli corpi di diversa composizione è importante non solo per avanzare la conoscenza riguardo la formazione ed evoluzione del Sistema Solare, ma anche nell’ambito della difesa planetaria. Per predire la risposta e l’efficacia di un impattore cinetico, come la sonda DART su Dimorphos, bisogna conoscere bene il comportamento dei massi presenti sulla superficie dell’asteroide.
Asteroidi deboli e più comuni del previsto
Supervisionato dalla ricercatrice Naomi Murdoch dell’ISAE-SUPAERO di Tolosa, Francia, e dai colleghi, un articolo guidato dagli studenti Jeanne Bigot e Pauline Lombardo ha determinato che la capacità portante di Didymos, ovvero la capacità della superficie di supportare carichi applicati, è almeno 1000 volte inferiore a quella della sabbia asciutta sulla Terra o del suolo lunare. Questo è considerato un parametro importante per comprendere e prevedere la risposta di una superficie, anche ai fini dello spostamento di un asteroide.
Colas Robin, anche lui dell’ISAE-SUPAERO, e coautori hanno analizzato i massi di superficie su Dimorphos, confrontandoli con quelli su altri asteroidi formati da macerie, tra cui Itokawa, Ryugu e Bennu. I ricercatori hanno scoperto che i massi condividevano caratteristiche simili, il che suggerisce che tutti questi tipi di asteroidi si sono formati e si sono evoluti in modo simile. Il team ha anche notato che la natura allungata dei massi attorno al sito di impatto DART implica che si siano probabilmente formati tramite l’elaborazione dell’impatto.
Queste ultime scoperte formano una panoramica più solida delle origini del sistema Didymos e contribuiscono alla comprensione di come si sono formati tali corpi planetari. In attesa della missione Hera dell’ESA, in partenza a ottobre 2024, che si prepara a rivisitare il sito di collisione di DART nel 2026 per analizzare da vicino tutte le conseguenze di questo primo test di difesa planetaria.