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| On 2 mesi ago

Il James Webb ha fotografato direttamente un vicino esopianeta super-Gioviano

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Grazie alle capacità di imaging senza precedenti nell’infrarosso termico del telescopio spaziale James Webb, è stato possibile fotografare direttamente un esopianeta in orbita attorno alla stella del vicino sistema triplo Epsilon Indi (in breve Eps Ind), a 12 anni luce da noi.

Il pianeta, Eps Ind Ab, è un super-Gioviano freddo, con una temperatura di circa 0° Celsius, in un’orbita paragonabile a quella di Nettuno attorno al Sole. La stella attorno a cui orbita, Eps Ind A, è una nana rossa un po’ più piccola e più fredda del Sole.

Studi precedenti avevano correttamente identificato un pianeta in questo sistema, ma avevano sottostimato la massa e la distanza di questo gigante gassoso dalla sua stella ospite. Ora Webb ha confermato la sua presenza e ci ha permesso di calcolare le sue caratteristiche.

Questo è il primo esopianeta ripreso con il Webb che non era già stato ripreso da terra, ed è molto più freddo dei pianeti gassosi studiati finora dal telescopio.

Scoprire un esopianeta super-Gioviano

Pianeti come Eps Ind Ab, di tipo super-Giove, sono difficili da trovare usando i metodi di rilevamento classici. I pianeti lontani dalle loro stelle ospiti, infatti, sono in genere molto freddi, a differenza degli hot Jupiter (i Gioviani caldi) che orbitano attorno alle loro stelle a separazioni di solo pochi raggi stellari.

Inoltre, è altamente improbabile che orbite larghe siano allineate lungo la linea di vista per produrre un segnale di transito. E misurare i loro segnali con il metodo delle velocità radiali è difficile quando solo una piccola sezione dell’orbita può essere monitorata.

Studi precedenti hanno tentato di studiare un pianeta gigante in orbita attorno a Eps Ind A utilizzando misurazioni della velocità radiale. Tuttavia, estrapolare solo una piccola parte dell’orbita ha portato a conclusioni errate sulle proprietà dell’esopianeta. Dopo tutto, Eps Ind Ab impiega circa 200 anni per orbitare attorno alla sua stella: le osservazioni di alcuni anni non sono sufficienti per determinare l’orbita con elevata precisione.

Questa immagine dell’esopianeta gigante gassoso Epsilon Indi Ab è stata scattata con il coronografo sul MIRI (Mid-Infrared Instrument) del telescopio spaziale James Webb della NASA/ESA/CSA. Un simbolo a forma di stella indica la posizione della stella ospite Epsilon Indi A, la cui luce è stata bloccata dal coronografo. Credits: ESA/Webb, NASA, CSA, STScI, E. Matthews (MPIA)

Pertanto, gli scienziati hanno ideato un approccio diverso: scattare una foto dell’esopianeta usando l’imaging diretto. Hanno utilizzato il MIRI (Mid-Infrared Instrument), dotato di un coronografo. Questa maschera che blocca la luce copre la stella, come un’eclissi artificiale. Hanno anche sfruttato la vicinanza di Eps Ind alla Terra: minore è la distanza dalla stella, maggiore è la separazione tra due oggetti che appare in un’immagine, offrendo una migliore possibilità di mitigare l’interferenza della stella ospite.

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Ecco Eps Ind Ab

Così facendo, gli scienziati hanno trovato un segnale che non corrispondeva all’esopianeta previsto: il punto di luce nell’immagine infatti non si trovava nella posizione predetta. Sembrava un pianeta gigante, ma i ricercatori hanno dovuto escludere che provenisse invece da una fonte di fondo, non correlata al sistema stellare Eps Ind.

Mentre navigava nei database astronomici per confrontare il risultato con altre osservazioni di Eps Ind, il team si è imbattuto in dati di imaging del 2019 ottenuti con la telecamera a infrarossi VISIR del Very Large Telescope (VLT) dell’ESO. Dopo aver rianalizzato le immagini, il team ha trovato un oggetto debole esattamente nella posizione in cui dovrebbe trovarsi se la sorgente ripresa con il James Webb fosse appartenuta alla stella Eps Ind A.

L’immagine riassume le osservazioni con JWST/MIRI di Eps Ind Ab. Gli inserti mostrano versioni ritagliate delle immagini MIRI ottenute a lunghezze d’onda infrarosse medie di 10.65 (sinistra) e 15.55 micrometri (destra), che raffigurano l’area attorno alla stella Eps Ind A, la cui posizione è indicata dai simboli delle stelle. Credits: T. Müller (MPIA/HdA), E. Matthews (MPIA)

I dati di Webb sono coerenti con un super-Giove con una massa sei volte quella di Giove nel Sistema Solare. Eps Ind Ab orbita attorno alla sua stella ospite su un’orbita eccentrica ed ellittica, la cui massima separazione  dovrebbe variare tra 20 e 40 Unità Astronomiche (1 UA, Unità Astronomica, è la distanza media Terra-Sole, circa 150 milioni di chilometri). I nuovi valori differiscono notevolmente dagli studi precedenti, motivo per cui il team l’ha definito un “nuovo” pianeta.

Le atmosfere dei super-Giove

Finora sono noti solo pochi giganti gassosi freddi in orbita attorno a stelle dell’era solare, e tutti questi sono stati dedotti indirettamente, da misurazioni della velocità radiale. Mediante l’imaging e l’acquisizione di spettri dei pianeti, gli astronomi possono studiare le loro atmosfere, e tracciare l’evoluzione dei sistemi planetari rispetto ai modelli computazionali.

Gli scienziati hanno tentato di comprendere la composizione atmosferica di Eps Ind Ab basandosi sulle immagini disponibili dell’esopianeta in tre colori: due da JWST/MIRI e una da VLT/VISIR.

Eps Ind Ab è più debole del previsto a lunghezze d’onda corte. Ciò potrebbe indicare quantità sostanziali di elementi pesanti. In particolare carbonio, che costruisce molecole come metano, anidride carbonica e monossido di carbonio, comunemente presenti nei pianeti giganti gassosi. In alternativa, potrebbe indicare che l’esopianeta ha un’atmosfera nuvolosa.

Saranno necessari ulteriori studi per giungere a una conclusione definitiva. Questo lavoro è solo un primo passo verso la caratterizzazione di Eps Ind Ab. “Il prossimo obiettivo è ottenere spettri che ci forniscano un’impronta digitale dettagliata della climatologia e della composizione chimica del pianeta” ha affermato Thomas Henning, direttore emerito presso il Max Planck Institute for Astronomy, co-PI dello strumento MIRI e coautore della ricerca.

Lo studio, pubblicato su Nature, è reperibile qui.

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