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| On 3 mesi ago

La tettonica a placche potrebbe verificarsi solo sullo 0.003% dei pianeti. Siamo soli nella Via Lattea?

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La tettonica a placche, insieme agli oceani e ai continenti, potrebbe essere stata fondamentale per l’emergere della vita complessa sulla Terra. E se tali caratteristiche geologiche sono rare in altre parti dell’Universo, questo potrebbe spiegare la mancanza di contatti (finora) con altre civiltà intelligenti.

Lo ha analizzato una ricerca recente, condotta da Robert Stern dell’Università del Texas a Dallas e da Taras Gerya del Politecnico federale di Zurigo. I due ricercatori propongono che il movimento delle placche tettoniche abbia favorito l’accelerazione dell’evoluzione verso forme di vita complesse, fungendo da catalizzatore per l’evoluzione.

Nello studio, suggeriscono che proprio questa variabile potrebbe aggiornare l’equazione di Drake, utilizzata per calcolare le probabilità di incontrare civiltà avanzate nella nostra Galassia. Integrando questa variabile, le stime sulla presenza di vita intelligente nella Via Lattea potrebbero ridursi notevolmente.

La tettonica a placche ha favorito la vita sulla Terra

All’inizio della storia della Terra, gli organismi semplici si svilupparono negli oceani, ma una civiltà avanzata come l’umanità, capace di comunicare attraverso lo spazio, non sarebbe mai emersa se la vita non fosse passata dalla vita acquatica a quella terrestre. Grandi continenti ricchi di risorse sono stati essenziali per lo sviluppo di ciò che Stern e Gerya definiscono Civiltà Comunicative Attive (ACC), come la nostra.

Tuttavia, secondo i ricercatori non bastava la mera presenza dei continenti: essi dovevano anche muoversi. E la tettonica a placche che vediamo sulla Terra consiste proprio nel movimento delle placche rigide, in tempi geologici, che formano la crosta terrestre.

Le placche tettoniche litosferiche, che non coincidono con i continenti.

I dati indicano che questo movimento ha favorito l’evoluzione attraverso cinque meccanismi principali:

  1. Ha aumentato la disponibilità di nutrienti.
  2. Ha accelerato l’ossigenazione dell’atmosfera e degli oceani.
  3. Ha contribuito a mantenere il clima temperato.
  4. Ha incrementato il tasso di formazione e distruzione degli habitat.
  5. Ha esercitato una pressione ambientale continua ma non distruttiva, che ha stimolato l’adattamento degli organismi.

Tettonica a placche in altri pianeti?

Se fosse quindi la tettonica a placche una delle responsabili dell’evoluzione della vita a una specie intelligente e del suo proliferare, è possibile che anche altri pianeti con tettonica a placche la ospitino. Tuttavia, finora sembra che questi pianeti siano rari.

La Terra stessa è l’unico pianeta del nostro Sistema Solare ad avere una tettonica a placche. Il vulcanismo esiste su altri mondi, come Venere, Marte e Io, ma hanno un guscio solido singolo, non più placche in movimento. Mondi oceanici come Encelado ed Europa, invece, sono vincolati da uno strato ghiacciato, che impedisce a qualsiasi ipotetica vita di passare alla terraferma.

ANNUNCIO

Non sappiamo con certezza se i sistemi planetari lontani presentino pianeti con tettonica a placche: gli attuali telescopi spaziali non hanno ancora una risoluzione tale da poterlo determinare. Tuttavia, saperlo potrebbe non consentire una versione più accurata dell’equazione di Drake.

Modifiche all’equazione di Drake

Nel 1961 l’astronomo Frank Drake ideò un’equazione in cui diversi fattori vengono moltiplicati, per stimare il numero di civiltà intelligenti nella nostra Galassia con cui un giorno potremmo potenzialmente comunicare.

In questa equazione: N è il numero di civiltà nella Via Lattea le cui emissioni elettromagnetiche, come le onde radio, sono rilevabili; R* è il numero di stelle che si formano ogni anno; fp è la frazione di stelle con sistemi planetari; ne è il numero di pianeti per Sistema Solare con un ambiente idoneo alla vita; fl è la frazione di pianeti idonei alla vita che di fatto la ospitano; fi è la frazione di pianeti sui quali la vita è intelligente; fc è la frazione di civiltà che sviluppano una tecnologia in grado di produrre segni rilevabili della loro esistenza; L è la durata media (in anni) in cui tali civiltà producono tali segnali.

L’equazione di Drake, una formula matematica per calcolare la probabilità di trovare vita o civiltà avanzate nell’Universo. In basso, una rivisitazione recente. Credits: NASA/Università di Rochester

L’equazione di Drake rivista da Stern e Gerya propone due fattori essenziali:

  • La frazione di esopianeti abitabili con grandi continenti e oceani.
  • La frazione di quelli con una tettonica a placche che dura più di 500 milioni di anni.

Questa versione è molto più articolata dell’equazione di Drake originale, che teneva semplicemente conto della frazione di pianeti abitabili su cui si era sviluppata la vita intelligente. Stern, a tal proposito, ha spiegato:

Nella formulazione originale, si pensava che questo fattore fosse quasi 1, o 100%, ovvero che l’evoluzione su tutti i pianeti con vita sarebbe andata avanti. E con abbastanza tempo, si sarebbe trasformata in una civiltà intelligente. La nostra prospettiva è: non è vero.

Una probabilità molto bassa

In effetti, i calcoli di Stern e Gerya riducono la percentuale di questi pianeti che sviluppano ACC a solo lo 0.003% al minimo e allo 0.2% al massimo! Numeri ben lontani dal 100% originale.

Sommando a questo tutti gli altri fattori dell’equazione di Drake, le possibilità di trovare vita intelligente si riducono notevolmente.

Le implicazioni dell’equazione di Drake originale erano che gli ACC dovrebbero essere comuni e dovremmo vederli ovunque, ma includere la tettonica a placche nell’equazione cambia il risultato. E sembra render chiaro che è perfettamente comprensibile il motivo per cui non abbiamo ancora ricevuto segnali da altre civiltà complesse in tutta la Galassia…

Quindi, basandosi sulle proposte avanzate dai due ricercatori, vita intelligente al di fuori della Terra potrebbe essere più rara di quanto si pensasse finora. Questo sarà da confermare con ulteriori studi, nel frattempo, ci ricorda quanto il nostro pianeta, con la sua crosta frammentata e mutevole, sia a modo suo speciale.

Lo studio, pubblicato su Nature Scientific Reports, è reperibile qui.

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