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| On 3 mesi ago

Il James Webb ha trovato una ricca varietà di molecole di carbonio in un disco protoplanetario

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I pianeti si formano in dischi di gas e polvere, detti dischi protoplanetari, in orbita attorno a giovani stelle. Se queste stelle hanno una massa piccola, dovrebbero formarsi in maniera più efficiente pianeti terrestri, rocciosi, piuttosto che giganti gassosi, un po’ come succede nel sistema Trappist-1. Tuttavia, molto di questi sistemi ci è ancora sconosciuto.

Di recente il telescopio spaziale James Webb ha studiato una di queste giovani stelle con disco, ISO-Chal 147, di sole 0.11 masse solari. Le osservazioni del MIRI (Mid InfraRed Instrument) hanno mostrato che il gas del disco è molto ricco di carbonio, e in particolare presenta diverse tipologie di molecole di idrocarburi. Tra queste, anche l’etano, per la prima volta trovato in un sistema extrasolare.

Queste misurazioni, ancora una volta un primato per la ricerca astronomica, sono permesse dalle altissime prestazioni nell’infrarosso degli strumenti di Webb. E dalla sua posizione: da Terra non è possibile eseguire osservazioni di questo tipo, perché le emissioni sono bloccate dall’atmosfera. Aditya Arabhavi, ricercatrice dell’Universitò di Groningen dei Paesi Bassi e primo autore dello studio che parla di questa scoperta, ha affermato:

In precedenza potevamo identificare solo l’emissione di acetilene da questo oggetto. La sensibilità e la risoluzione spettrale più elevate di Webb ci hanno permesso di rilevare l’emissione debole da molecole meno abbondanti.

La chimica del carbonio più ricca vista finora

Lo spettro ottenuto con MIRI mostra la chimica degli idrocarburi più ricca vista fino ad oggi in un disco protoplanetario, costituito da 13 molecole contenenti carbonio fino al benzene. Tra queste molecole anche il primo rilevamento extrasolare di etano (C2H6), il più grande idrocarburo completamente saturo rilevato al di fuori del nostro Sistema Solare.

Poiché si prevede che gli idrocarburi completamente saturi si formino da molecole più basiche, rilevarli qui fornisce ai ricercatori indizi sull’ambiente chimico in cui si stanno sviluppando. Il team ha anche rilevato con successo l’etilene (C2H4), il propino (C3H4) e il radicale metilico CH3, per la prima volta in un disco protoplanetario.

Spettro MIRI del disco protoplanetario attorno alla giovane stella ISO-Chal 147, che mostra una varietà di idrocarburi: etilene, propino, radicale metilico, metano, cianoacetilene e il primo rilevamento extrasolare di etano, il più grande idrocarburo completamente saturo rilevato al di fuori del Sistema Solare. Credits: NASA, ESA, CSA, R. Crawford (STScI)

Queste molecole sono ben conosciute sulla Terra, come il benzene, e sono già state rilevate nel nostro Sistema Solare. Un esempio sono le comete, come 67P/Churyumov–Gerasimenko (visitata dalla missione Rosetta dell’ESA) e C/2014 Q2 (Lovejoy).

Ora le stiamo rilevando e quantificando in un oggetto a più di 600 anni luce di distanza (qualcosa che sa ancora di incredibile, anche a detta degli scienziati). E soprattutto, le stiamo osservando in una vera e propria culla planetaria, un ambiente in cui si formeranno nuovi pianeti, che se studiato nel dettaglio potrà darci indizi molto importanti sulla loro evoluzione e dinamica al di fuori del nostro Sistema Solare.

Qualcosa di molto diverso? Sì

Il team guidato da Arabhavi ha spiegato che questi risultati hanno grandi implicazioni per l’astrochimica nella zona interna del disco attorno a giovani stelle di piccola massa. Il caso di ISO-Chal 147 appena studiato, infatti, appare profondamente diverso dalla composizione osservata nei dischi attorno a stelle di tipo solare, ovvero con masse simili a quella del Sole, dove invece dominano le molecole che trasportano ossigeno, come l’anidride carbonica e l’acqua.

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La scoperta di Webb quindi implica che le stelle di piccola massa con dischi protoplanetari siano una classe unica di oggetti, sicuramente da studiare più nel dettaglio. Se i risultati di questa ricerca sono validi in generale, implicano che stelle di questo tipo potrebbero formare pianeti terrestri ricchi di carbonio, a differenza per esempio della nostra Terra che ne è relativamente povera.

Il team intende quindi espandere il proprio studio a un campione più ampio di tali dischi, per comprendere meglio come si possano formare queste molecole, e quanto siano comuni queste regioni. E quali esotici mondi possano nascervi, in futuro.

L’abstract dello studio, pubblicato sulla rivista Science, è reperibile qui.

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