Il vento di particelle cariche proveniente dal Sole che attraversa l’intero Sistema Solare, noto come vento solare, è molto variabile. Mentre viaggia interagisce con i corpi celesti e i veicoli spaziali, che lo modificano. Nel momento in cui raggiunge la Terra, la maggior parte delle sue caratteristiche e peculiarità sono state cancellate. Ciò rende impossibile risalire a regioni specifiche sulla superficie solare dove ha origine. Scoprire questa origine, quindi collegare il vento che noi riveliamo con le aree della nostra stella in cui viene prodotto, è uno degli obbiettivi chiave della missione Solar Orbiter di ESA/NASA.
Durante il sorvolo dell’orbiter il 3 marzo 2022, un team guidato da Stephanie Yardley della Northumbria University ha fotografato una regione attiva del Sole con gli strumenti EUI, SPICE e Polarimetric and Heliosismic Imager (PHI) di Solar Orbiter, prima di misurare il vento solare lento con diversi strumenti in situ, ovvero attorno a un veicolo spaziale, giorni dopo.
In questo modo hanno realizzato la prima connessione in assoluto tra immagini ad alta risoluzione della superficie del Sole a distanza ravvicinata e misurazioni dirette del vento solare in situ. Ciò ha permesso agli scienziati coinvolti nella ricerca di identificare più chiaramente dove ha origine il vento solare lento, e apre un nuovo modo per i fisici solari di studiare le regioni sorgente del vento solare.
Solar Orbiter: misure in situ e a distanza
Il vento solare è di due tipi: di tipo veloce, che viaggia a più di 500 km/s, e lento, che viaggia a meno di 500 km/s. Il vento solare veloce proviene da configurazioni magnetiche note come buchi coronali, che incanalano il vento solare nello spazio. L’origine del vento solare lento, invece, è ancora poco conosciuta. Sappiamo che è collegata alle regioni attive del Sole, dove compaiono le macchie solari, ma non sappiamo bene come.
Per capirlo, Solar Orbiter dispone di strumenti sia in situ che di rilevamento remoto. Gli strumenti in situ misurano le particelle cariche del vento solare e il campo magnetico attorno all’orbiter. Gli strumenti di telerilevamento acquisiscono immagini e altri dati del Sole stesso. Questi strumenti, così come l’orbita della missione che la porta molto vicino al Sole, sono stati appositamente progettati per consentire di collegare il vento solare rilevato con la sua origine.
Tuttavia, mentre le telecamere mostrano il Sole come appare adesso, gli strumenti in situ rivelano lo stato del vento solare rilasciato dalla superficie solare pochi giorni prima. Infatti, ci vuole del tempo prima che le particelle del vento solare raggiungano il veicolo.
Per collegare i due set di dati, gli astronomi utilizzano il software online Magnetic Connectivity Tool, sviluppato per supportare la missione Solar Orbiter. I dati grezzi provengono dal Global Oscillation Network Group, una serie di sei telescopi solari sparsi in tutto il mondo che monitorano continuamente le oscillazioni sulla superficie del Sole. Da queste osservazioni, il modello computerizzato calcola come il vento solare si propaga attraverso il Sistema Solare.
Collegando il vento solare alla sua fonte
Il team ha scelto i propri obiettivi di osservazione sulla superficie del Sole. Poi ha utilizzato il Magnetic Connectivity Tool per prevedere quando l’orbiter avrebbe volato attraverso il vento solare rilasciato da quelle caratteristiche della superficie. I dati sono stati raccolti tra l’1 e il 9 marzo 2022, quando Solar Orbiter si trovava a circa 75 milioni di km dal Sole, ovvero circa la metà della distanza della Terra dal Sole.
Solar Orbiter ha sorvolato sia un buco coronale che una regione attiva, raccogliendo dati e immagini sia dei flussi di vento solare veloce, sia di quelli di vento solare lento. Di seguito, il Sole visto dalla missione il 3 marzo 2022. L’immagine principale e più grande l’ha scattata nella modalità Full Sun Imager lo strumento Extreme Ultraviolet Imager (EUI) di Solar Orbiter. Quella di medie dimensioni che appare dopo circa cinque secondi è sempre EUI ma con la modalità ad alta risoluzione. La terza immagine, più piccola, è dello strumento Spectral Imaging of the Coronal Environment (SPICE) di Solar Orbiter. Credits: ESA e NASA/Solar Orbiter/EUI e SPICE/S. Yardley
Attraverso l’analisi dei diversi flussi, dal punto di partenza sulla superficie del Sole al punto di arrivo attorno al Solar Orbiter, il team ha dimostrato chiaramente che il vento solare mostra ancora le “impronte” delle regioni che lo hanno originato. Ciò renderà più facile per i fisici solari risalire i flussi fino ai loro punti di origine sul Sole.
Ora che gli scienziati hanno dimostrato questo, si aprono diverse possibilità future per utilizzare i dati di altri veicoli spaziali vicini al Sole per lo studio del vento solare. Per esempio la Parker Solar Probe della NASA, oppure la BepiColombo dell’ESA.
Lo studio, pubblicato oggi 29 maggio 2024 su Nature Astronomy, è reperibile qui.