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| On 6 mesi ago

Il James Webb ha individuato tre galassie in formazione nell’Universo primordiale

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L’Universo era un luogo molto diverso diverse centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang, durante il periodo noto come era della reionizzazione. Il gas tra le stelle e le galassie era ancora in gran parte opaco, ovvero la materia era così densa che i fotoni di luce non potevano attraversarla liberamente. Solo successivamente divenne completamente trasparente.

Per capire se quanto abbiamo compreso finora di quell’epoca è vero, e rispondere a molte altre domande, cerchiamo di osservare gli oggetti ai primordi del cosmo. Spesso senza riuscirci, perché sono talmente lontani che la loro luce è debolissima, e “arrossata” dal fenomeno del redshift.

Ora, analizzando i dati del telescopio spaziale James Webb, un team di ricerca ha individuato tre galassie che potrebbero essersi formate attivamente quando l’Universo aveva solo tra 400 e 600 milioni di anni. I dati Webb mostrano che queste galassie sono circondate da gas molto denso, che i ricercatori sospettano sia composto quasi esclusivamente da idrogeno ed elio, i primi elementi esistenti nel cosmo. “Isole scintillanti in un mare di gas altrimenti neutro e opaco” le ha definite Kasper Heintz, PI della ricerca.

Galassie come deboli macchie rosse

Nelle immagini di Webb, le galassie appaiono come deboli macchie rosse. Sono quindi gli spettri a essere fondamentali, dati aggiuntivi ottenuti con il Near InfraRed Spectrograph (NIRSpec) di JWST che danno informazioni sulla radiazione emessa da quegli oggetti cosmici. Gli spettri considerati dal team, in particolar modo, mostrano che la luce proveniente da queste galassie viene assorbita da grandi quantità di gas idrogeno neutro. Il coautore Darach Watson ha spiegato:

Il gas deve essere molto diffuso e coprire una parte molto ampia della galassia. Ciò suggerisce che stiamo assistendo all’assemblaggio di idrogeno gassoso neutro nelle galassie. Quel gas continuerà a raffreddarsi, ad aggregarsi e a formare nuove stelle.

Ovvero, le galassie si stanno formando attivamente. E confrontando i dati di Webb con i modelli di formazione stellare, i ricercatori hanno anche scoperto che queste galassie hanno principalmente popolazioni di stelle giovani. Il fatto che stiano vedendo grandi riserve di gas, quindi, suggerisce anche che le galassie non hanno ancora avuto abbastanza tempo per formare la maggior parte delle loro stelle.

Le scoperte, fatte grazie al grazie al Cosmic Evolution Early Release Science (CEERS) Survey di Webb, dimostrano che gli strumenti di Webb sono così sensibili da essere in grado di rilevare direttamente la quantità insolita di gas denso che circonda queste galassie primordiali. Gas che, probabilmente, finirà per alimentare la formazione di nuove loro stelle.

Storia dell’evoluzione dell’Universo a partire dal Big Bang. Credits: ESA, Traduzione: Astrospace

Ed è solo l’inizio

Il James Webb non ha solo raggiunto gli obiettivi della sua missione: li ha anche superati, e solo a poco più di due anni dal lancio. Immagini e dati di queste galassie distanti erano impossibili da ottenere prima di Webb.

Già a colpo d’occhio, gli scienziati si sono resi conto fin dal principio che sarebbero stati in grado di svelare segreti rimasti finora avvolti dall’oscurità. Poi, dall’analisi precisa degli spettri di quelle galassie primordiali, hanno potuto confermare che esse non possono contribuire in modo significativo alla reionizzazione, almeno ai loro attuali stadi evolutivi. Le simulazioni della formazione delle galassie mostrano infatti che gli enormi serbatoi di gas che circondano le giovani galassie così presto nella storia dell’Universo sono un segno di formazione in corso per queste galassie.

Rimangono comunque molte domande. Ancora non sappiamo dove si trova il gas, per esempio se è localizzato al centro della galassia o in periferia. E non sappiamo se è puro, se è anche popolato di elementi pesanti. Il prossimo passo sarà costruire grandi campioni statistici di galassie, e quantificare in dettaglio la prevalenza e l’importanza delle loro caratteristiche.

Lo studio, pubblicato su Science, è reperibile qui in versione pre-print.

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