L’ESA ha comunicato che alcuni strati di ghiaccio d’acqua stanno contaminando la vista del telescopio spaziale Euclid, che attualmente si trova in orbita attorno al punto lagrangiano L2 del sistema Terra-Sole, a 1.5 milioni di km da qui.
Si tratta di un problema comune per i veicoli spaziali nel freddo gelido dello spazio, ma per questa missione altamente sensibile, che richiede una precisione notevole per portare avanti la sua indagine di analisi dell’Universo oscuro, si tratta di un problema che va risolto il prima possibile.
I team della missione in tutta Europa stanno ora testando una nuova procedura per sbrinare l’ottica, scongelando gradualmente il ghiaccio depositatosi sulla struttura del veicolo. Se avranno successo, le operazioni convalideranno questo piano per mantenere il sistema ottico di Euclid quanto più libero possibile dal ghiaccio per tutto il resto delle attività scientifiche.
Cos’è successo a Euclid?
Nel corso degli ultimi mesi, mentre mettevano a punto e calibravano gli strumenti di Euclid dopo il lancio e si preparavano per l’inizio delle attività, i team di esperti che si occupano delle operazioni scientifiche della missione hanno notato una piccola ma progressiva diminuzione della quantità di luce misurata dalle stelle osservate ripetutamente con il VISible instrument (VIS).
Si sono quindi resi conto che Euclid stava sperimentando un problema comune che i veicoli spaziali devono affrontare una volta arrivati nello spazio: l’acqua assorbita dall’aria durante l’assemblaggio sulla Terra viene ora gradualmente rilasciata da alcuni componenti del veicolo spaziale.
Nel freddo gelido dell’ambiente spaziale, quelle molecole d’acqua tendono ad attaccarsi alla prima superficie che incontrano, per via della tensione superficiale dell’acqua. E quando atterrano sull’ottica altamente sensibile di questa missione, possono causare problemi.
I team di missione si aspettavano che accadesse qualcosa di simile. Infatti, è quasi impossibile costruire e lanciare un veicolo spaziale dalla Terra senza che parte dell’acqua presente in atmosfera vi si insinui. Per questo motivo, subito dopo il lancio si è svolta una “campagna di degassamento” in cui il telescopio è stato riscaldato da riscaldatori di bordo e anche parzialmente esposto al Sole, sublimando la maggior parte delle molecole d’acqua presenti al momento del lancio sulle superfici di Euclid o molto vicine.
Il problema sembra persistere
Tuttavia, una parte considerevole di quest’acqua è sopravvissuta anche dopo la campagna di degassamento, assorbita nell’isolamento multistrato. E ora viene lentamente rilasciata nel vuoto dello spazio e compromette la vista del telescopio.
I team di Euclid hanno eseguito diverse ricerche, tra cui studi di laboratorio su come minuscoli strati di ghiaccio sulle superfici degli specchi si diffondono e riflettono la luce, a cui sono seguiti mesi di calibrazioni nello spazio. Ora sono arrivati a stabilire che diversi strati di molecole d’acqua sono congelati sugli specchi nell’ottica di Euclid. Probabilmente con uno spessore di poche o poche decine di nanometri, equivalente alla larghezza di un filamento di DNA.
Mentre le osservazioni e la scienza di Euclid continuano, quindi, i team hanno elaborato un piano per capire dove si trova il ghiaccio nel sistema ottico e mitigarne l’impatto ora e in futuro, se continua ad accumularsi.
Una nuova procedura per scongelare Euclid
L’opzione più semplice era quella di utilizzare la procedura di decontaminazione sviluppata prima del lancio, e riscaldare l’intero veicolo spaziale. Accendendo ogni riscaldatore di bordo per diversi giorni e aumentando lentamente la temperatura da circa -140° C a -3° C in alcune parti del veicolo.
Questa procedura pulirebbe l’ottica dal ghiaccio, ma riscalderebbe anche l’intera struttura meccanica del telescopio. E poiché la maggior parte dei materiali riscaldandosi si espande, dopo una settimana di raffreddamento non necessariamente ritorna esattamente allo stesso stato. Il che significa una differenza potenzialmente sottile nell’allineamento ottico di Euclid.
Questo non va bene per una missione così delicata, in cui si possono notare effetti sull’ottica da un cambiamento di temperatura anche solo di una frazione di grado, che richiede almeno diverse settimane di ricalibrazione fine.
Per limitare gli sbalzi termici, quindi, il team inizierà riscaldando singolarmente le parti ottiche a basso rischio del veicolo spaziale, situate in aree in cui è improbabile che l’acqua rilasciata contamini altre componenti. Inizieranno con due specchi di Euclid, che potranno essere riscaldati indipendentemente.
Se la perdita di luce persiste e comincia ad avere un impatto sull’indagine scientifica, continueranno a riscaldare altri gruppi di specchi di Euclid, controllando ogni volta quale percentuale di fotoni ritornano.
Serve una soluzione a lungo termine
Il riscaldamento graduale pensato dal team dovrebbe ripristinare e preservare la incredibili capacità di Euclid, ma è la prima volta che questa procedura viene eseguita. L’ESA ha affermato che le ipotesi su quali sono le superfici interessate dal deposito di ghiaccio sono buone. Tuttavia, non potranno essere confermate con totale certezza finché non si proveranno direttamente le operazioni.
Gli scienziati e gli ingegneri al lavoro per la risoluzione del problema sperano che, una volta isolata l’area interessata, in futuro sarà possibile riscaldare quella particolare area del veicolo a seconda della necessità.
Infatti, poiché piccole quantità di acqua continueranno a essere rilasciate da Euclid per tutta la durata della missione, è necessaria una soluzione a lungo termine per sbrinare regolarmente le ottiche. Senza impiegare troppo tempo prezioso per la missione, della durata nominale di 6 anni.
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