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| On 7 mesi ago

Quel pallido puntino blu è qui. È la nostra casa. È noi

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Il 14 febbraio 1990, a una distanza di circa 6 miliardi di km dalla Terra, mentre si allontanava dal nostro Sistema Solare, la sonda Voyager 1 della NASA si voltava per un ultimo saluto a casa e scattava una serie di immagini, che sarebbero diventate un gigantesco ritratto di famiglia del nostro sistema planetario (il Family Portrait). Tra esse, uno scatto passato alla storia con il nome di The Pale Blue Dot: il pallido puntino blu. Che altri non è che il nostro pianeta.

Nella fotografia, la dimensione apparente della Terra di una frazione di pixel su 640mila. Il pianeta appare come un minuscolo puntino azzurrognolo nella vastità dello spazio, tra fasce di luce solare di colore verde e rosso riflesse dalla fotocamera della Voyager.

Lo scatto è stato commissionato dalla NASA e sostenuto dall’astronomo e scrittore Carl Sagan, che nel suo libro “Pale Blue Dot” del 1994 l’ha interpretato come una rappresentazione del ruolo minuscolo ed effimero dell’umanità nel cosmo. Segue la sua riflessione, presa proprio da questo volume, che comincia con: “Guarda ancora quel puntino. È qui. È casa. È noi…”

Commento di Carl Sagan alla fotografia della Voyager 1 nel suo libro “Pale Blue Dot” del 1994.

Il viaggio della Voyager 1

La Voyager 1 era partita nel settembre 1977, con l’obbiettivo di studiare il Sistema Solare esterno. Dopo l’incontro ravvicinato con il sistema gioviano nel 1979 e con il sistema saturniano nel 1980, la missione primaria fu dichiarata completata nel novembre dello stesso anno. La Voyager 1 è stata la prima sonda spaziale a fornire immagini dettagliate dei due pianeti più grandi e delle loro lune principali.

Attualmente, la Voyager 1 si trova a una distanza di 24.316 miliardi di km dal Sole e si sta allontanando dal Sistema Solare con una velocità di 16.9995 km/s. La sonda è alimentata da una batteria RTG che le permetterà di funzionare, in modo limitato, fino al 2025, quando avrà raggiunto oltre 25 miliardi di km di distanza dalla Terra.

Quando la missione passò davanti a Saturno nel 1980, Carl Sagan propose l’idea che scattasse un’ultima foto della Terra. Riconobbe che un’immagine del genere non avrebbe avuto molto valore scientifico, poiché la Terra sarebbe apparsa troppo piccola perché le telecamere della Voyager potessero distinguere qualsiasi dettaglio. Tuttavia, sarebbe stata significativa come prospettiva sul posto dell’umanità nell’Universo.

Sebbene molti partecipanti al programma Voyager della NASA fossero favorevoli all’idea, c’erano preoccupazioni sul fatto che scattare una foto della Terra così vicino al Sole rischiasse di danneggiare irreparabilmente il sistema di imaging della sonda.

Fu solo nel 1989 che l’idea di Sagan venne messa in pratica, ma una serie di ritardi impedirono la realizzazione immediata. Alla fine, l’amministratore della NASA Richard Truly intervenne per garantire che la fotografia fosse scattata, il 14 febbraio 1990.

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Posizione della Voyager 1 il 14 febbraio 1990. Le barre verticali sono distanziate di un anno l’una dall’altra e indicano la distanza della sonda sopra l’ eclittica. Credits: Joe Haythornthwaite e Tom Ruen

Lo strumento che scattò

A fotografare la Terra fu l’Imaging Science Subsystem (ISS) della Voyager 1, costituito da due fotocamere:

  1. Una fotocamera grandangolare a bassa risoluzione, con lunghezza focale di 200 mm, utilizzata per immagini spazialmente estese.
  2. Una fotocamera ad angolo stretto ad alta risoluzione da 1500 mm, destinata all’imaging dettagliato di obiettivi specifici.

Entrambe le fotocamere sono a tubo vidicon a scansione lenta, dotate di otto filtri colorati, montati su una ruota portafiltri posta davanti al tubo. La sfida era che, con il progredire della missione, gli oggetti da fotografare sarebbero stati sempre più lontani e sarebbero apparsi più deboli, richiedendo esposizioni più lunghe e rotazione delle fotocamere per ottenere una qualità accettabile. Anche la capacità di telecomunicazione diminuiva con la distanza, limitando il numero di modalità dati che potevano essere utilizzate dal sistema di imaging.

Fu la seconda fotocamera, quella per imaging dettagliato, a scattare la serie di immagini Family Portrait, che includeva Pale Blue Dot. 

La fotografia completa: Family Portrait

La sequenza di comandi da trasmettere alla Voyager 1 e i calcoli per il tempo di esposizione di ciascuna fotografia del Family Portrait fu sviluppata dagli scienziati spaziali Candy Hansen del JPL e Carolyn Porco dell’Università dell’Arizona. Venne poi compilata e inviata alla Voyager 1, con le immagini scattate alle 4:48 GMT del 14 febbraio 1990. Allora, la distanza tra la sonda e la Terra era di 40.47 Unità Astronomiche, ovvero 6 055 milioni di chilometri.

I dati della camera, memorizzati in un registratore di bordo, tardarono ad arrivare a Terra, arrivando tra marzo e maggio 1990 in 60 fotogrammi. Dal mosaico contenente tutti e 60 questi fotogrammi, gli scienziati produssero il Family Portrait, in cui sono visibili sei pianeti: Giove, Terra, Venere, Saturno, Urano e Nettuno. Incluso nell’immagine è anche il Sole.

Il ritratto di famiglia del Sistema Solare scattato dalla Voyager 1 il 14 febbraio 1990. Credits: NASA, Voyager 1

Marte non poteva essere rilevato dalle camere della Voyager, a causa della sua posizione che produceva solo una sottile mezzaluna dal punto di vista della sonda. Plutone invece, che nel 1990 era ancora un pianeta, non era incluso a causa delle sue dimensioni ridotte, che ne rendevano troppo debole l’immagine.

Quel pallido puntino blu

Tre dei fotogrammi mostravano la Terra come un minuscolo punto luminoso nello spazio vuoto. Ogni fotogramma era stato ripreso utilizzando un filtro di colore diverso: blu, verde e viola, con tempi di esposizione rispettivamente di 0.72, 0.48 e 0.72 secondi. I tre fotogrammi sono stati poi ricombinati per produrre l’immagine che è diventata The Pale Blue Dot.

Dei 640mila pixel individuali che compongono ogni fotogramma, la Terra ne occupa meno di uno, per la precisione 0.12 di un pixel. Le bande luminose attraverso la fotografia sono un artefatto, risultato della riflessione della luce solare su parti della fotocamera e sul suo parasole, a causa della relativa vicinanza tra il Sole e la Terra.

La Terra, il minuscolo puntino blu a circa metà della banda marrone a destra, vista da 6 miliardi di chilometri di distanza dalla Voyager 1. Credits: NASA

Il punto di vista della Voyager era circa 32 gradi al di sopra dell’eclittica, ovvero del piano dell’orbita terrestre attorno al Sole. Un’analisi dettagliata ha suggerito che la fotocamera ha rilevato anche la Luna, sebbene sia troppo debole per essere visibile senza un’elaborazione dedicata.

La Terra appare come un punto blu pallido nella fotografia principalmente a causa della diffusione Rayleigh della luce solare nella sua atmosfera. Lo spettro della Terra dal lontano ultravioletto al vicino infrarosso è diverso da quello di qualsiasi altro pianeta osservato, ed è parzialmente dovuto alla presenza di vita sulla Terra. L’abbondante ossigeno atmosferico della Terra, prodotto da forme di vita fotosintetiche, ossida le sostanze organiche nell’atmosfera e le converte in acqua e anidride carbonica, rendendo l’atmosfera trasparente alla luce visibile e consentendo una sostanziale diffusione di Rayleigh.

Ecco il perché del “pallido” pallino blu. Un “pallido” che in un certo modo rappresenta tutti noi, in quel puntino microscopico perso nell’infinito.

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