Nel corso di una conferenza stampa in occasione del 243esimo incontro dell’American Astronomical Society a New Orleans, in Louisiana, l’astronomo italiano Fabio Pacucci del Center for Astrophysics (CfA) Harvard & Smithsonian ha annunciato una scoperta recente permessa dal James Webb Space Telescope. Secondo questo risultato, i buchi neri supermassicci al centro delle galassie primordiali potrebbero essere ancora più massicci di quanto si credesse in precedenza.
Questi oggetti sorprendentemente massivi, catalogati nell’infrarosso da JWST, offrono nuove informazioni sulle origini di tutti i buchi neri supermassicci, nonché sulle prime fasi della vita delle galassie che li ospitano.
Prima del James Webb, gli scienziati erano generalmente limitati nei loro studi sui buchi neri distanti. Il limite era posto ai quasar molto luminosi, composti da enormi buchi neri che divorando materiale nel loro disco di accrescimento, emettono una radiazione che eclissa completamente quella delle stelle nelle galassie che li ospitano.
Ora invece, con il Webb è possibile spingersi ancora più in là, fino alle galassie primordiali. In questo modo, i ricercatori stanno cercando di individuare come si sono formati i primi buchi neri supermassicci, trovando buchi neri più lontani e più piccoli di quelli finora individuati.
Per il loro studio, Pacucci e colleghi hanno eseguito un’analisi statistica di un insieme di 21 galassie, distanti da circa 12 a 13 miliardi di anni luce, e osservate attraverso tre diverse indagini eseguite con Webb:
Nelle galassie vicine e mature, come la nostra Via Lattea, la massa totale delle stelle supera di gran lunga la massa del grande buco nero che si trova al centro, in un rapporto di circa 1000 a 1. Nelle galassie distanti analizzate dal team, invece, tale differenza di massa scende a 100 a 1, 10 a 1, e addirittura 1 a 1. Ciò significa che il buco nero può eguagliare la massa combinata delle stelle della sua galassia ospite.
“Le galassie giovani e distanti violano la relazione tra massa del buco nero e massa stellare che è molto ben stabilita nelle galassie vicine e mature” ha affermato Roberto Maiolino, professore all’Università di Cambridge e co-autore dello studio. “Questi buchi neri primordiali sono senza dubbio sovramassicci rispetto alla popolazione stellare dei loro ospiti”.
Una stima accurata del rapporto tra la massa stellare e la massa del buco nero nelle galassie primordiali dovrebbe aiutare a indicare come hanno avuto origine i precursori del buco nero supermassiccio, soprannominati semi. In generale, gli astronomi hanno delineato due possibili percorsi per i precursori dei buchi neri supermassicci: quella di semi “leggeri” o “pesanti”.
I semi leggeri avrebbero avuto una massa relativamente bassa, circa 100-1000 volte la massa del Sole. Questi semi si sarebbero formati come resti delle primissime stelle dell’Universo: le stelle di popolazione III, ancora mai osservate. I semi pesanti, invece, avrebbero iniziato con una massa compresa tra 10mila e 100mila masse solari. Semi così pesanti sono teoricamente nati dal collasso gravitazionale diretto di enormi nubi di gas nell’Universo primordiale.
Questo risultato di Pacucci e colleghi sui buchi neri supermassicci al centro di galassie primordiali sembra dare maggior credito al percorso del seme pesante. Infatti, le simulazioni e i calcoli teorici di questo percorso prevedono che i buchi neri dovrebbero essere più o meno altrettanto massicci o addirittura più massicci della componente stellare delle giovani galassie in cui vivono.
Il modo in cui le galassie hanno poi preso forma, e sono evolute attorno ai semi primordiali del buco nero, rimane una questione ancora aperta. I buchi neri sono cresciuti principalmente attirando gas, o tramite fusioni con altri buchi neri? E la massa stellare si è accumulata principalmente all’interno della galassia, oppure sono state necessarie fusioni con altre galassie più grandi?
Pacucci e il suo team non hanno trovato delle risposte, al di là dei loro risultati comunque molto interessanti, che permettono di preferire una strada teorica piuttosto che un’altra. Si aspettano, tuttavia, che le risposte inizieranno ad arrivare con futuri studi JWST. Infatti, grazie alla sua vista nell’infrarosso, l’osservatorio si sta spingendo sempre più vicino all’infanzia dell’Universo, quando esso era popolato dai primissimi oggetti. Pacucci ha spiegato:
Nel corso del tempo cosmico, sappiamo che il rapporto tra la massa stellare e quella del buco nero raggiunge progressivamente il rapporto locale di 1000 a 1 dell’Universo moderno. Ciò accade quando il buco nero e il suo sistema galattico ospite si evolvono insieme, fondendosi con altre galassie e formando legioni di stelle. Ciò su cui stiamo ancora lavorando è vedere abbastanza in profondità nell’Universo per ricostruire come tutto questo ha avuto inizio.
L’articolo che riporta questi risultati, pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, è reperibile qui.
Astrospace.it è un progetto di divulgazione scientifica portato avanti da un gruppo di giovani fisici e ingegneri con una passione comune per lo spazio. Se ti piace quello che stai leggendo, puoi contribuire alla crescita della piattaforma attraverso il nostro abbonamento. Ai nostri abbonati riserviamo contenuti esclusivi e sempre in aggiornamento.