Secondo l’ESA, ad oggi sono stati scoperti circa 33800 asteroidi che orbitano nelle vicinanze della Terra (Near-Earth Asteroids, NEAs) con una traiettoria entro 45 milioni di km dall’orbita del nostro pianeta. Tra questi, quelli per i quali esiste una probabilità di impatto sono circa 1500. E anche se attualmente non destano particolare preoccupazione, rimane la possibilità di una minaccia futura.
Per questo, nel settembre dell’anno scorso la NASA ha inviato la sonda DART (Double Asteroid Redirection Test) a schiantarsi contro l’asteroide Dimorphos, compagno binario del più grande Didymos. Si è trattato del primo vero test di difesa planetaria, pensato per studiare gli effetti cinetici dell’impatto di un veicolo spaziale contro un asteroide.
La prossima missione di difesa planetaria sarà Hera, dell’ESA. Percorrerà oltre 450 milioni di km e raggiungerà anch’essa l’asteroide binario Didymos. Il suo lancio è previsto per ottobre 2024, e di recente sono stati completati tutti i test ai pannelli solari della sonda, realizzati da Leonardo presso gli stabilimenti di Nerviano.
La missione Hera, in breve
Hera è una missione ESA supportata dagli stessi team internazionali che hanno lavorato a DART, attraverso la collaborazione Asteroid Impact and Deflection Assessment (AIDA). Le due missioni, infatti, hanno l’obiettivo comune di testare quanto sia fattibile modificare il movimento di un corpo celeste per essere pronti, un giorno, a tutelare la sicurezza della Terra.
La sonda Hera, in particolare, tornerà sull’asteroide binario colpito da DART per condurre un’indagine ravvicinata del cratere lasciato dalla precedente sonda sulla luna Dimorphos. La raggiungerà alla fine del 2026. Acquisendo dati ravvicinati, Hera contribuirà a trasformare l’esperimento di impatto su larga scala di DART in una tecnica di deflessione orbitale consolidata e ripetibile. E pronta per essere utilizzata in futuro, se si dovesse rilevare un asteroide che minaccia la Terra.
Inoltre, poiché Didymos e Dimorphos sono considerati fonti di metalli rari, la missione ESA studierà anche le loro caratteristiche.
I pannelli solari di Leonardo
Per Hera, i pannelli solari sono stati realizzati da Leonardo in Italia presso Nerviano (Milano). Il responsabile del solar array invece, ovvero della struttura che regge i pannelli e dei meccanismi che li muovono, è Beyond Gravity in Svizzera.
I pannelli sono divisi in due ali da tre pannelli ciascuna, per un totale di circa 14 metri quadri. Su quest’area si trovano oltre 1600 celle fotovoltaiche, ciascuna grande quasi il doppio di una carta di credito, che alimenteranno la sonda.
Progettati e qualificati per funzionare a temperature comprese tra -100°C e +140°C, i pannelli solari continueranno a erogare energia anche quando Hera si troverà a grande distanza dal Sole, ricevendo solo il 17% della luce rispetto a un satellite posto in orbita terrestre. Nelle fasi della missione in cui la sonda sarà più lontana, i pannelli genereranno circa 800 W (l’energia necessaria per alimentare un piccolo forno a microonde).
Di seguito un video che mostra i pannelli di Hera dispiegati. Credits: ESA/A. Conigli
Testare i pannelli solari per lo spazio
Come tutte le componenti della missione Hera, anche i pannelli solari hanno dovuto superare diversi test prima di essere considerati pronti per il lancio.
Sono stati condotti test di vuoto termico su ciascun pannello, per valutare la resistenza delle celle e di tutte le altre componenti alle variazioni estreme di temperatura in condizioni di vuoto. Successivamente è stato il turno di una serie di test meccanici, durante i quali i pannelli sono stati integrati nell’ala ed esposti a vibrazioni intense e a carichi acustici. L’obbiettivo è simulare le sollecitazioni subite durante il lancio, considerando soprattutto che i pannelli, montati all’esterno del satellite, sono soggetti a rischi maggiori.
Per individuare eventuali danni, oltre all’ispezione visiva delle celle, gli ingegneri e i tecnici hanno eseguito ulteriori verifiche. Per esempio il flasher test, durante il quale si illumina il pannello con una lampada che simula la luce solare, per verificare che generi la potenza attesa per la missione.
Successivamente, viene eseguito il test dell’elettroluminescenza (ELM), per individuare anche le più piccole imperfezioni nelle celle fotovoltaiche. Si fa passare corrente attraverso le celle, accendendole come fossero LED, per poi effettuare un’ispezione accurata alla ricerca del difetto anche più piccolo nella loro struttura.
Infine ci sono due deployment test, svolti dopo il montaggio delle ali fotovoltaiche del satellite. Entrambi verificano che queste ali siano state agganciate correttamente al corpo del satellite e si aprano e si chiudano come previsto.
Tutta questa serie di verifiche sono state eseguite sui pannelli di Hera, e concluse con successo. Ora sono stati quindi messi da parte, pronti per fare il loro lavoro l’anno prossimo durante la missione.