Poco dopo il Big Bang, l’Universo era costituito quasi interamente da idrogeno. C’era un po’ di elio, qualche traccia di litio, forse una quantità infinitesimale di berillio. I primi quattro elementi della tavola periodica.
Tutti gli elementi più pesanti dell’idrogeno e dell’elio, in astronomia sono chiamati metalli, e sono prodotti solo nelle stelle. Tracciare la loro presenza nell’Universo è una delle ricerche più ambiziose e anche più utili, perché ci permette di comprendere come e quando le prime stelle e galassie si sono accese. E quindi, di poter raccogliere informazioni sulla storia del nostro Universo. Infatti, se le nostre teorie sono corrette, i primi oggetti cosmici dovrebbero essere molto poveri di metalli.
Di recente però, all’interno dell’indagine JWST Advanced Deep Extragalactic Survey (JADES) che utilizza il telescopio spaziale James Webb, gli scienziati hanno trovato una galassia che li ha molto sorpresi. Denominata GS-z12, è stata osservata dal Webb quando l’Universo aveva solo 350 milioni di anni, proprio in prossimità della cosiddetta alba cosmica. Ed è sorprendentemente ricca di metalli, in particolare di carbonio.
L’importanza della metallicità
La metallicità è un parametro particolarmente fondamentale per lo studio del nostro Universo. Innanzitutto perché senza metalli non si formano pianeti rocciosi, e di conseguenza è molto più difficile l’originarsi della vita come noi la conosciamo. In secondo luogo, perché fornisce preziose informazioni sulla storia evolutiva delle stelle e delle galassie.
Le prime stelle formatesi nell’Universo, poco dopo il Big Bang, le cosiddette stelle di popolazione III ancora mai trovate, erano composte principalmente da idrogeno ed elio, gli elementi più semplici. Queste prime generazioni di stelle non avevano ancora accumulato elementi più pesanti, che si sono formati solo successivamente attraverso il processo di nucleosintesi stellare.
Quando queste stelle sono esplose ed esplodono in supernovae, rilasciano questi elementi nella materia interstellare, arricchendola di metalli. Le successive generazioni di stelle, dette popolazione II e popolazione I, si sono formate in queste regioni arricchite di metalli. Nel corso delle generazioni successive di stelle, quindi, la metallicità dell’Universo è aumentata. Quindi c’è una sorta di “traiettoria” di fondo, che parte dai primi metalli e che conduce direttamente a noi.
Guardando indietro nel tempo, fino alle prime galassie dell’Universo, il Webb sta facendo luce sulla sua antica metallicità. Pur non potendo individuare le singole stelle, il suo potente strumento NIRSpec (Near InfraRed Spectrometer) può rilevare diversi elementi all’interno delle primissime galassie, attraverso le loro tracce negli spettri elettromagnetici.
Una galassia ricca di carbonio, ma vicina all’alba cosmica
La galassia GS-z12 si trova a un redshift di z=12.5. Il redshift, rappresentato dalla lettera “z”, è una misura utilizzata in astronomia per descrivere lo spostamento verso il rosso dello spettro della luce proveniente da oggetti astronomici, come galassie o stelle. Questo fenomeno si verifica a causa dell’espansione dell’Universo: quando un oggetto astronomico si allontana da noi, la luce da esso emessa subisce uno spostamento verso lunghezze d’onda più lunghe, quindi verso la parte rossa dello spettro.
Il valore del redshift viene calcolato in base alla variazione della lunghezza d’onda della luce emessa, rispetto alla lunghezza d’onda che la stessa luce avrebbe se l’oggetto fosse stazionario rispetto a noi. Il redshift viene espresso come un numero adimensionale e più è alto, maggiore è lo spostamento verso lunghezze d’onda più lunghe e maggiore è la distanza dell’oggetto dall’osservatore.
Questa galassia a z=12.5, quindi, presenta righe spettrali spostate verso il rosso di un fattore 12.5. Nell’Universo primordiale, quando le prime galassie si stavano formando, la velocità di espansione dell’Universo era molto elevata. Questo ha causato redshift estremamente alti per la luce emessa da tali galassie, portando a valori di “z” considerevoli. z=12.5 indica un redshift molto alto, indicativo di oggetti astronomici situati a notevoli distanze nel passato cosmico, come le prime galassie a formarsi nell’Universo primordiale.
Quando i ricercatori hanno studiato le osservazioni del JWST, hanno scoperto una quantità inaspettata di carbonio nella galassia. Molto probabilmente ci sono tracce anche di neon e di ossigeno. Secondo le prime ipotesi degli scienziati, il carbonio si troverebbe nel mezzo interstellare (ISM) all’interno di GS-z12 oppure o nel mezzo circumgalattico (CGM) attorno alla galassia.
GS-z12 non solo rappresenta la rilevazione più distante di una transizione metallica, oltre che la determinazione del redshift più distante tramite linee di emissione. È anche la prova più lontana di arricchimento chimico trovata fino ad oggi.
Quale potrebbe essere la fonte di carbonio?
Questa rilevazione si scontra con la nostra comprensione delle stelle di popolazione III, prive di metalli. In particolar modo, esclude l’esistenza di stelle di popolazione III incontaminate e prive di metalli. Poiché una scoperta di tale portata è non solo sorprendente, ma anche di grande impatto nelle teorie astrofisiche e cosmologiche, gli scienziati hanno cercato di considerare ogni altra possibile spiegazione per ciò che stanno vedendo.
Innanzitutto, l’antica galassia GS-z12 contiene molto più che semplici stelle. È anche sede di un buco nero supermassiccio, che quando si nutre di materia, può brillare intensamente. Forse, quindi, il segnale luminoso rilevato dal Webb potrebbe appartenere principalmente a quel gigantesco mostro cosmico in accrescimento.
In alternativa, c’è un’altra potenziale fonte di carbonio nella galassia. Si tratta delle stelle AGB, ovvero appartenenti all’Asymptotic Giant Branch del diagramma di evoluzione stellare. Le stelle AGB non sono grandi stelle esplosive come lo sono i progenitori delle supernovae, ma sono grandi stelle che hanno lasciato la sequenza principale, cioè il periodo più lungo della vita stellare e corrispondente al bruciamento dell’idrogeno. Rispetto alle supernovae, le stelle AGB producono metalli in modo più graduale, attraverso la nucleosintesi interna.
Tuttavia, ci vuole molto tempo perché una stella si evolva in una stella AGB. Quando l’Universo aveva solo 350 milioni di anni, nessuna stella aveva vissuto abbastanza a lungo da diventare AGB. Quindi, se la teoria del Big Bang è corretta, le stelle AGB non possono aver contribuito all’arricchimento del carbonio in queste prime epoche.
L’ultima ipotesi avanzata dai ricercatori è che si tratti dell’eredità della prima generazione di supernovae, provenienti da progenitori della popolazione III. Una possibilità al momento molto azzardata, visto che neppure le stelle di popolazione III sono mai state osservate e sono ancora un’ipotesi teorica.
Il Webb spinto al limite
Il James Webb è stato spinto al limite per vedere questa galassia primordiale. Questa rilevazione della transizione metallica più distante mai effettuata, che ha fornito informazioni così preziose sulle prime fasi dell’arricchimento chimico del nostro Universo, ha richiesto un’esposizione molto lunga: ci sono volute 65 ore di tempo JWST per raccogliere questi dati, a causa dell’estrema debolezza della luce della galassia. Non molto pratico, ma necessario per questo tipo di spettroscopia ultra-precisa.
Tuttavia, in futuro questo potrebbe cambiare. Indagini su aree di cielo più vaste e l’analisi delle lenti gravitazionali potrebbero aiutare a identificare galassie con un elevato spostamento verso il rosso, che siano sufficientemente luminose per successive osservazioni mirate utilizzando la spettroscopia profonda ma esposizioni più brevi.
Quando e se ciò accadrà, gli astrofisici avranno a disposizione un campione di dimensioni molto più ampie delle prime galassie del nostro Universo, così in prossimità dei suoi albori. Con questi preziosi dati in mano, forse potranno arrivare a una spiegazione più solida per questa sorprendente scoperta.
Lo studio è reperibile qui in formato pre-print.
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