Gli scienziati planetari indagano sul passato magnetico dei pianeti attraverso lo studio della magnetizzazione preservata all’interno delle formazioni rocciose. Per farlo, però, bisogna tener conto della possibile interferenza dei campi magnetici generati da dispositivi elettronici o veicoli spaziali, che può disorientare il magnetismo delle rocce.
Di conseguenza, nello studio dei campioni di suolo lunare o asteroidale restituiti a Terra diventa necessario eseguire un’analisi accurata, volta ad escludere qualsiasi contaminazione magnetica, o a rimuoverla totalmente. Per eseguire questo tipo di valutazione, i ricercatori dell’università di Stanford hanno condotto una serie di esperimenti. Hanno esposto deliberatamente alcune rocce lunari a campi magnetici intensi, per valutare la rimozione della contaminazione magnetica e comprendere gli effetti collaterali associati a tale procedura.
I risultati indicano che, nella stragrande maggioranza dei casi, le tecniche ampiamente adottate dagli specialisti del magnetismo delle rocce sono state in grado di eliminare con successo la contaminazione magnetica. Ciò garantirebbe quindi la precisione nella determinazione dell’intensità dei campi magnetici antichi nella Luna o negli asteroidi, a partire da frammenti di roccia rimasti naturalmente magnetizzati.
La contaminazione magnetica di campioni
I campi magnetici possono proteggere le superfici dei pianeti dalle radiazioni solari dannose e dalle condizioni meteorologiche spaziali, consentendo la conservazione a lungo termine delle atmosfere. Questo ormai è stato ampiamente accettato dalla comunità scientifica, che ritiene che il campo magnetico terrestre sia stato essenziale per lo sviluppo di condizioni che supportano la vita.
Di conseguenza, apprendere la presenza di campi magnetici attorno ad altri pianeti e lune, o di magnetismo residuo in corpi asteroidali, fa parte della ricerca di prove dell’esistenza di vita extraterrestre. I campi magnetici possono anche rivelare la storia complessiva del raffreddamento di un corpo planetario, che può, a sua volta, influenzarne il vulcanismo e il regime tettonico.
La storia magnetica della Luna, poi, è di particolare interesse perché i geofisici non capiscono come un piccolo corpo planetario come la Luna possa aver generato un campo magnetico di lunga durata, dato che ha un piccolo nucleo che probabilmente si sarebbe raffreddato rapidamente.
Tuttavia, l’esposizione a campi magnetici artificiali a bordo delle sonde, durante le missioni spaziali che prevedono il prelievo di campioni extraterrestri, può alterare la magnetizzazione del materiale. Questo è un dato di fatto, ed è un problema da non sottovalutare durante l’analisi successiva dei campioni, una volta portati a Terra. Un esempio sono i campioni di asteroidi come Bennu, rientrati il 24 settembre a bordo della capsula della missione OSIRIS-REx, oppure i campioni di suolo lunare restituiti dalle missioni Apollo.
Alcuni scienziati, a causa di ciò, hanno messo in dubbio la legittimità dei campioni riportati a terra dalle Apollo, che indicano l’esistenza di un’antica dinamo nelle rocce lunari.
Rimuovere la contaminazione è possibile
Gli scienziati di Stanford hanno condotto due serie di esperimenti di laboratorio, su otto campioni provenienti da quattro diverse missioni Apollo. Hanno usato un magnete per esporre i campioni a un’intensità di campo di circa 5 millitesla, ovvero circa 100 volte più forte del campo magnetico terrestre, per due giorni. Questo per replicare approssimativamente la lunghezza di un viaggio di ritorno dalla Luna, ovvero di un’esposizione a lungo termine a un campo magnetico molto forte.
A questo punto, hanno portato i campioni in una sala di laboratorio protetta magneticamente per misurare la velocità con cui la contaminazione si è decomposta, e testare la facilità con cui poteva essere rimossa utilizzando tecniche standard. La ricerca mostra che i basalti (rocce formate dal raffreddamento di colate laviche) sono generalmente meno suscettibili ad acquisire contaminazione magnetica rispetto alle rocce lunari contenenti vetro, ma in quasi tutti i casi, la contaminazione risultante potrebbe essere facilmente rimossa.
Questo risultato ha permesso di confermare che le magnetizzazioni, a volte molto intense, osservate all’interno dei campioni di roccia lunare generalmente non sono contaminazioni magnetiche, ma sono invece state davvero acquisite sulla Luna.
“Stiamo iniziando a inviare più missioni di restituzione di campioni” ha affermato Sonia Tikoo, assistant professor alla Stanford e autrice principale della ricerca. “Quindi è bello sapere che finché stiamo attenti a garantire che i campi dei veicoli spaziali non siano troppo elevati, possiamo ancora fare studi sul paleomagnetismo insieme ad altre ricerche.”
Lo studio, pubblicato su Geophysical Research Letters, è reperibile qui.