Con il lancio del telescopio spaziale James Webb, gli scienziati hanno aperto una vera e propria finestra verso le prime galassie dell’Universo. Fino a poco tempo fa questa prospettiva era quasi impossibile, a causa delle limitazioni strumentali. Ora, utilizzando il Webb, stiamo assistendo all’epoca in cui si formarono alcune delle prime galassie.
Nell’immagine di copertina, in primo piano vediamo LEDA 2046648, vista indietro nel tempo di un miliardo di anni, circondata da oggetti sempre più “rossi”, e sempre più lontani. Sono per lo più galassie bambine, appartenenti agli inizi del cosmo, dove JWST sta indagando. E anche se i suoi dati sollevano molte più domande delle risposte che riescono a dare, ognuna delle nuove scoperte ci apre una strada senza precedenti sulle prime fasi della formazione galattica e del nostro Universo.
Tutto questo e molto altro è raccontato in questo nuovo approfondimento della rubrica “Cronache dal James Webb”.
Dall’Universo primordiale
L’universo pullula di galassie, e mentre scrutiamo in profondità, guardiamo indietro nel tempo, cosa che ci permette di costruire una narrazione visiva della loro evoluzione nel corso della storia dell’Universo.
Le osservazioni finora, prima del James Webb, ci hanno mostrato che le galassie negli ultimi 12 miliardi di anni hanno vissuto la loro vita in una forma di equilibrio: sembra esserci una relazione stretta tra quante stelle hanno formato, e quanti elementi pesanti (metalli, più pesanti di idrogeno ed elio) hanno prodotto.
Ora, il James Webb sembra aver scoperto alcune delle primissime galassie, che contengono quattro volte meno elementi pesanti rispetto alle galassie successive. Uno scenario che si allinea con i modelli teorici, indicando che stiamo osservando galassie nelle prime fasi della loro formazione. Mentre attendiamo ulteriori osservazioni, queste scoperte ci aprono una finestra unica sulle prime fasi della formazione galattica.
Anche gli ammassi di galassie, enormi aggregati di oltre 100 galassie legate dalla forza gravitazionale, sono importanti oggetti di studio. Le ricerche su galassie vicine, nel corso del tempo, hanno dimostrato che l’ambiente influisce sulla crescita delle galassie. Di recente, combinando osservazioni del Webb e del radiointerferometro ALMA in Cile, un team di ricerca internazionale ha studiato un protoammasso di galassie, tra le prime mai formate.
Hanno scoperto che le galassie al suo centro contenevano quantità significativamente minori di elementi pesanti rispetto a quelle più tarde, suggerendo una crescita accelerata dovuta all’ambiente solo 700 milioni di anni dopo il Big Bang.
Il team ha condotto una simulazione della formazione delle galassie per testare teoricamente come si sono formate ed evolute le quattro galassie nella regione centrale. I risultati hanno mostrato che una regione di particelle di gas denso esisteva circa 680 milioni di anni dopo il Big Bang. Al centro si formano quattro galassie, simili alla regione centrale osservata. Per seguire l’evoluzione di queste quattro galassie, la simulazione ha calcolato processi fisici come la cinematica delle stelle e del gas, le reazioni chimiche, la formazione stellare e le supernovae.
Le simulazioni hanno mostrato che le quattro galassie si fondono e si evolvono in un’unica galassia più grande nel giro di poche decine di milioni di anni, che è una scala temporale decisamente breve nell’evoluzione dell’Universo.
Un’evoluzione che, come sappiamo, è affetta da un’espansione che ancora non sappiamo spiegare, e che sta accelerando. Per misurarla è necessario stimare una costante, detta costante di Hubble, che quantifica la velocità con cui l’espansione accelera, ovvero il tasso di espansione dell’Universo.
Di recente, il Webb ha migliorato la precisione delle misurazioni locali di questa costante utilizzando stelle variabili Cefeidi come indicatori di distanza. I risultati confermano le stime del telescopio Hubble, ma rafforzano anche la discrepanza con il valore previsto dalla radiazione cosmica di fondo (Cosmic Microwave Background, CMB) del Big Bang.
Questo risultato suggerisce che potrebbero esserci lacune nella nostra comprensione del cosmo, come il ruolo dell’energia oscura o comportamenti a noi ancora sconosciuti della gravità. Il Webb offre quindi una nuova opportunità per esplorare questa “tensione di Hubble,” una delle sfide più affascinanti della cosmologia moderna.
Dalla Galassia, e oltre
Gli esopianeti hycean sono pianeti ipotetici che potrebbero sostenere la vita grazie a un oceano globale e un’atmosfera ricca di idrogeno. K2-18 b, in orbita attorno a una stella a 120 anni luce di distanza dalla Terra nella costellazione del Leone, ne è un possibile esempio.
Nella sua atmosfera, il Webb ha rivelato molecole contenenti carbonio, come metano e anidride carbonica, suggerendo la sua idoneità come esopianeta hycean. Tuttavia, le dimensioni del pianeta e la sua composizione potrebbero renderlo inabitabile. Ulteriori ricerche sono in corso per confermare queste scoperte e approfondire la comprensione delle condizioni ambientali su K2-18 b e altri pianeti simili.
Anche il sistema solare TRAPPIST-1, composto da sette pianeti delle dimensioni della Terra che orbitano attorno a una stella fredda a 40 anni luce dal Sole, è stato oggetto di nuove osservazioni del JWST.
In particolare, lo studio si è concentrato su TRAPPIST-1 b, il pianeta più vicino alla stella ospite. Le osservazioni non hanno rivelato una chiara atmosfera attorno al pianeta, suggerendo che potrebbe essere una roccia nuda o avere un’atmosfera troppo sottile per essere rilevata. Tuttavia, l’attività stellare e la contaminazione stellare rappresentano importanti fattori da considerare nelle future osservazioni di pianeti extrasolari come quelli di TRAPPIST-1.
Spostandoci fuori dalla Via Lattea, e parlando di galassie invece che di esopianeti, Webb ha di recente rilevato una nuova galassia all’interno dell’indagine JWST COSMOS-Web. Il nuovo oggetto, denominato JWST-ER1, sarebbe una galassia massiccia, compatta e quiescente, ovvero che ha smesso di formare nuove stelle. Galassie di questo tipo sono possibili progenitrici delle galassie ellittiche giganti che vediamo oggi, perciò potrebbero essere fondamentali per migliorare la nostra comprensione del processo di evoluzione delle galassie.
Una delle caratteristiche più notevoli di JWST-ER1, però, è il cosiddetto anello di Einstein: la luce di questa galassia appare disposta come un anello, a causa del fenomeno di lente gravitazionale causato dalla presenza di oggetti massicci frapposti tra lei e il JWST che l’ha osservata.
Nell’ammasso di galassie PLCK G165.7+67.0, invece, è stata identificata una nuova supernova di tipo Ia, sempre grazie a Webb. Osservare queste esplosioni stellari è fondamentale per comprendere l’evoluzione delle stelle e delle galassie. La supernova, chiamata “SN H0pe,” è stata scoperta in Arc 2, una galassia luminosa nell’infrarosso all’interno dell’ammasso.
SN H0pe è stata osservata in tre diverse posizioni a causa della presenza, anche qui, di una lente gravitazionale da parte dell’ammasso G165. Le tre porzioni, designate SN 2a, 2b e 2c, offrono un’opportunità unica per studi futuri per stimare la costante di Hubble, a partire dalla stima dei ritardi temporali tra le molteplici immagini.
Le osservazioni hanno anche rivelato dettagli importanti sulle proprietà di G165 e della galassia Arc 2. Ulteriori studi sono in corso per approfondire la scoperta.
Una nuova immagine della NIRCam, invece, mostra i dettagli del vasto campo stellare della galassia irregolare NGC 6822 nel vicino infrarosso, oggetto ideale per studiare campi stellari densi.
Questa straordinaria immagine rivela in dettaglio il tripudio di stelle che appartengono alla galassia, mentre la polvere e il gas appaiono come ciuffi rossi traslucidi, mettendo in evidenza le stelle per l’analisi astronomica. Le stelle più luminose sono in blu pallido, quelle più deboli appaiono con colori più caldi. Un ammasso globulare luminoso si distingue nella parte inferiore sinistra dello scatto.
Dal Sistema Solare
Con le mappe di NIRCam e NIRSpec, gli scienziati hanno individuato per la prima volta anidride carbonica sulla superficie della luna gioviana Europa. Una scoperta molto significativa, perché il carbonio è un elemento essenziale per la vita come la conosciamo. Finora, non c’erano conferme che l’oceano sotterraneo di Europa contenesse le sostanze chimiche necessarie alla vita.
La regione in cui è stata rilevata l’anidride carbonica è chiamata Tara Regio, ed è geologicamente giovane, con segni di interazione tra l’oceano sotterraneo e la superficie. Questo suggerisce che il carbonio provenga dall’oceano sottostante. L’analisi dei dati di Webb ha permesso di identificare con precisione la presenza di anidride carbonica in questa area.
Purtroppo, né in precedenza con il telescopio spaziale Hubble, né ora con Webb sono stati individuati pennacchi di vapore acqueo, che potrebbero emergere dalla superficie di Europa e quindi spiegare il trasporto del carbonio.
In ogni caso, la scoperta resta di grande rilievo. I dati, oltretutto, saranno utili per future missioni spaziali come Europa Clipper della NASA, prevista per il 2024, e JUICE dell’ESA partita questa primavera, che contribuiranno a svelare ulteriori misteri su Europa. E a determinare se le sue condizioni sono adatte alla vita.