La sottile magnetosfera di Mercurio presenta processi che coinvolgono grandi quantità di particelle energetiche, a causa dell’interazione con il vento solare. Questi fenomeni provocano aurore molto simili a quelle terrestri, anche se generate direttamente dal contatto con la superficie del pianeta.
Finora, mancavano prove sperimentali dirette per il comportamento degli elettroni durante questi eventi. Di recente, durante il primo flyby del pianeta da parte della sonda BepiColombo di ESA/JAXA, il 1 ottobre 2021, abbiamo ottenuto dati che potrebbero dare nuove risposte. Le osservazioni rivelano una magnetosfera in uno stato compresso, che ospita piogge di elettroni in grado di innescare aurore ad alta energia.
Le aurore di Mercurio
Il debole campo magnetico intrinseco di Mercurio interagisce con il vento solare e crea una magnetosfera, simile a quella terrestre, ma più sottile. Ha una dimensione pari a circa il 5% di quella della Terra, e una struttura e dinamica molto diverse. Coinvolge però processi fondamentali già osservati su altri pianeti magnetizzati come la Terra, Giove, Saturno e Urano, durante i quali il plasma (gas ionizzato) è accelerato, trasportato, perso o riciclato in tutta la magnetosfera.
In parte, questi fenomeni erano già stati osservati su Mercurio dalle missioni NASA Mariner 10 e MESSENGER (MErcury Surface, Space ENvironment, GEochemistry and Ranging). Tuttavia, le osservazioni erano limitate all’emisfero settentrionale della magnetosfera a causa della copertura orbitale di quelle due missioni, e non erano disponibili dati sul comportamento degli elettroni ad alta energia.
Durante il primo sorvolo di Mercurio, BepiColombo si è avvicinato a soli 200 chilometri sopra la superficie del pianeta. Gli strumenti al plasma a bordo del Mercury Magnetospheric Orbiter (MMO, o Mio) hanno così effettuato le prime osservazioni simultanee di diversi tipi di particelle cariche provenienti dal vento solare in prossimità del pianeta. In particolar modo, hanno osservato la magnetosfera sul lato diurno dell’emisfero australe, mappando la struttura e i confini della magnetosfera: la magnetopausa, ovvero la superficie che racchiude al suo interno la magnetosfera e la separa dal vento solare, e il bowshock, il confine ultimo tra questi due.
I risultati di BepiColombo
La sonda è entrata nella magnetosfera di Mercurio attraverso la “guaina magnetica” mentre l’emisfero meridionale era ancora avvolto dall’oscurità. Poi ne è uscita poco prima dell’alba. I sensori del Magnetospheric Plasma Particle Experiment (MPPE) a bordo del Mio, i due Mercury Electron Analyzer (MEA1 e MEA2), il Mercury Ion Analyzer (MIA) e l’Energetic Neutrals Analyzer (ENA) hanno condotto simultaneamente misurazioni del plasma all’interno della magnetosfera di Mercurio.
I dati risultanti e il loro confronto con quelli della missione MESSENGER indicano che la magnetosfera è stata compressa, in particolare durante la parte di uscita del sorvolo. Molto probabilmente, la causa è da imputare alle condizioni di alta pressione del vento solare.
L’accelerazione degli elettroni, invece, sembra verificarsi a causa dei processi che coinvolgono il plasma nel lato crepuscolare della magnetosfera di Mercurio. Gli elettroni ad alta energia vengono trasportati verso il pianeta, dove alla fine piovono sulla superficie. Non ostacolati da un’atmosfera, interagiscono con il materiale sulla superficie e provocano l’emissione di raggi X, generando un bagliore aurorale.
Grazie alle misurazioni di BepiColombo, i ricercatori sono riusciti a ricostruire il percorso eseguito dagli elettroni. Per farlo, hanno ideato un codice per tracciare le linee di campo, in grado di mappare le posizioni delle piogge di particelle cariche sull’equatore magnetico e lungo le diverse linee di campo in momenti diversi.
Lo studio, pubblicato su Nature Communications, è reperibile qui.