Uno studio recente del Max Planck Institute di Göttingen ha mostrato come la metallicità delle stelle sia collegata alla capacità dei loro pianeti di ospitare forme di vita. Secondo i risultati trovati, stelle ricche di metalli pesanti renderebbero i loro pianeti meno ospitali, in quanto impossibilitati a creare uno strato protettivo di ozono.
L’ozono è costituito da tre atomi di ossigeno, elemento fondamentale per il prosperare della vita sulla Terra. Questo composto protegge la superficie del pianeta e le forme di vita che vi risiedono dalle radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole (raggi UV), dannose per le cellule. Uno strato protettivo di ozono è quindi un prerequisito importante per l’emergere di una vita complessa.
Come spiega Anna Shapiro, ricercatrice del Max Planck Institute for Solar System Research e autrice principale dello studio, lo scopo di questa ricerca è comprendere quali proprietà deve avere una stella affinché i suoi pianeti formino uno strato protettivo di ozono.
Il (doppio) ruolo della radiazione UV
Tre anni fa, i ricercatori del Max Planck Institute for Solar System Research hanno confrontato le variazioni di luminosità del Sole con quelle di centinaia di stelle simili ad esso. Il risultato ha mostrato che l’intensità della luce visibile di molte di queste stelle fluttua molto di più di quella del Sole.
La nostra è una stella notoriamente quieta, ma gli enormi picchi di intensità che si verificano per le altre stelle, potrebbero comunque coinvolgere anche il Sole. In tal caso, anche l’intensità della luce ultravioletta aumenterebbe vertiginosamente. Quindi, naturalmente, gli astronomi si sono chiesti cosa significherebbe un evento di simile portata per la vita sulla Terra e in altri sistemi stellari.
Shapiro ha spiegato che nella chimica atmosferica della Terra, la radiazione ultravioletta del Sole gioca un duplice ruolo. Nelle reazioni con singoli atomi e molecole di ossigeno, l’ozono può essere sia distrutto che creato. Per essere più precisi, le radiazioni UV-B (a onde lunghe) distruggono l’ozono, mentre le radiazioni UV-C (a onde corte) aiutano a crearlo. È quindi ragionevole presumere che la luce ultravioletta possa avere un’influenza altrettanto complessa anche sulle atmosfere degli esopianeti.
Lo studio è stato condotto su un sottogruppo di stelle simili al Sole. La loro temperatura superficiale è compresa tra i 5000 e i 6000 gradi °C (5770 °C è quella del Sole), e attorno ad esse ruotano uno o più pianeti. Per ognuna di queste stelle, gli astronomi hanno calcolato esattamente quali lunghezze d’onda compongono la luce ultravioletta emessa, considerando per la prima volta anche l’influenza della metallicità.
Questa proprietà descrive il rapporto tra l’idrogeno e gli elementi più pesanti dell’elio (chiamati metalli dagli astrofisici) nel materiale della stella. Nel caso del Sole, ci sono più di 31000 atomi di idrogeno per ogni atomo di ferro. Lo studio ha preso in considerazione anche le stelle con contenuto di ferro inferiore e superiore.
Simulando le interazioni della radiazione UV con i gas planetari
In una seconda fase della ricerca, il team ha studiato come la radiazione UV calcolata influenzerebbe le atmosfere dei pianeti che orbitano a una distanza favorevole alla vita attorno a queste stelle. Le distanze favorevoli alla vita sono quelle che consentono temperature moderate (né troppo calde, né troppo fredde per l’acqua liquida) sulla superficie del pianeta. Per tali mondi, il team ha simulato come la luce UV della stella madre agisce sull’atmosfera del pianeta.
Per calcolare la composizione delle atmosfere planetarie i ricercatori hanno utilizzato un modello chimico-climatico che simula i processi che controllano l’ossigeno, l’ozono e molti altri gas e le loro interazioni con la luce ultravioletta delle stelle, ad altissima risoluzione spettrale. Questo modello ha permesso l’indagine di un’ampia varietà di condizioni sugli esopianeti, e il confronto con la storia dell’atmosfera terrestre nell’ultimo mezzo miliardo di anni.
È proprio durante questo periodo che si stabilirono l’alto contenuto di ossigeno atmosferico e lo strato di ozono che permisero l’evoluzione della vita sulla terraferma del nostro pianeta. È possibile che la storia della Terra e della sua atmosfera contenga indizi sull’evoluzione della vita, che possono applicarsi anche agli esopianeti.
Le stelle povere di metalli sono più favorevoli alla vita
I risultati delle simulazioni sono stati sorprendenti. Nel complesso, le stelle povere di metalli emettono più radiazioni UV delle loro controparti ricche di metalli. Ma il rapporto tra la radiazione UV-C che genera ozono e la radiazione UV-B che distrugge l’ozono dipende in modo critico anche dalla metallicità.
- Nelle stelle povere di metalli, predomina la radiazione UV-C, che consente la formazione di un denso strato di ozono.
- Per le stelle ricche di metalli, con la radiazione UV-B predominante, questo involucro protettivo è molto più scarso.
“Contrariamente alle aspettative, le stelle povere di metalli dovrebbero quindi fornire condizioni più favorevoli per l’emergere della vita” ha concluso Anna Shapiro.
Da questo risultato ne emerge uno ancora più sorprendente: man mano che l’universo invecchia, è probabile che diventi sempre più ostile alla vita.
Le stelle dell’Universo sono sempre più metalliche
Per spiegare questa affermazione è necessario fare un passo indietro, e osservare ciò che accade nei nuclei delle stelle. Tramite le reazioni di fusione nucleare, esse sono in grado di sintetizzare nuovi elementi chimici all’interno dei nuclei. La sintesi avviene tramite la fusione di un combustibile e la creazione di un nuovo prodotto. Inizialmente le stelle bruciano l’idrogeno e lo trasformano in elio, poi l’elio in carbonio, il carbonio in neon e ossigeno, e così via. Fino a trasformare il silicio in ferro, se la stella è sufficientemente massiccia. Tutti questi elementi chimici vengono sintetizzati nel corso di miliardi di anni e, una volta formati, sono disposti in una configurazione “a cipolla” all’interno delle stelle.
A seconda della massa della stella in questione, questi elementi chimici vengono poi rilasciati nello spazio tramite il vento stellare o nell’esplosione di supernova, che coincide con la morte della stella stessa.
Durante tale esplosione vengono generati elementi chimici ancora più pesanti del ferro. Essi vengono poi sparsi nel mezzo interstellare, e andranno a inquinare le nebulose di formazione stellare da cui nasceranno le generazioni successive di stelle. Quindi, le stelle di nuova generazione, che si generano all’interno di questo ambiente così ricco di nuovi elementi, saranno dunque molto metalliche.
In altre parole, ogni stella di nuova formazione ha quindi più materiale da costruzione ricco di metallo disponibile rispetto ai suoi predecessori. Per questo motivo, le stelle nell’universo stanno diventando più ricche di metallo ad ogni generazione.
Questa scoperta potrebbe essere utile per le future missioni spaziali. Ad esempio, la missione PLATO dell’ESA esaminerà una vasta gamma di stelle alla ricerca di segni di esopianeti abitabili.
La sonda sarà lanciata nello spazio nel 2026 e concentrerà la sua attenzione principalmente sui pianeti simili alla Terra che orbitano attorno a stelle simili al Sole a distanze favorevoli alla vita. Il data center della missione è attualmente in fase di allestimento presso il Max Planck Institute for Solar System Research. Tale studio ci fornisce preziosi indizi sulle stelle verso cui Plato dovrebbe puntare i propri occhi.
L’articolo, pubblicato su Nature Communications, è disponibile a questo link.
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