- Il Very Large Telescope dell’ESO ha osservato l’impatto di DART sull’asteroide Dimorphos, avvenuto nel settembre 2022.
- Lo strumento MUSE ha permesso di analizzare l’evoluzione della nube di detriti e studiare la composizione chimica dell’asteroide.
- Con FORS2 invece i ricercatori hanno potuto comprendere l’alterazione superficiale del materiale di Dimorphos come conseguenza dell’impatto.
Il 26 settembre 2022, DART (Double Asteroid Redirection Test) si è scontrata con l’asteroide Dimorphos per effettuare il primo test di difesa planetaria della storia. L’impatto è avvenuto a 11 milioni di chilometri dalla Terra, abbastanza vicino da poter essere osservato in dettaglio da molti telescopi.
Il Very Large Telescope dell’ESO, in Cile, ha osservato le conseguenze dell’impatto, e i primi risultati di queste osservazioni sono stati pubblicati in due articoli (qui e qui). L’impatto di DART, infatti, ha offerto agli astronomi un’opportunità unica per conoscere meglio la composizione di Dimorphos, analizzando il materiale espulso.
L’evoluzione della nube osservata con MUSE
Uno dei due team astronomici, guidato da Cyrielle Opitom, astronoma all’Università di Edimburgo, ha seguito l’evoluzione della nube di detriti per un mese con lo strumento MUSE (Multi Unit Spectroscopic Explorer) sul VLT. La nube espulsa è risultata più “blu” dell’asteroide stesso prima dell’impatto: ciò indica che poteva essere composta da particelle molto fini.
Di seguito è rappresentata la sequenza di immagini MUSE dal 26 settembre 2022, cioè poco prima dell’impatto, al 25 ottobre, circa un mese dopo. In questo periodo si sono sviluppate diverse strutture: ammassi, spirali e una lunga coda di polvere spinta dalla radiazione solare. La freccia bianca in ogni pannello segna la direzione del Sole.
Le spirali e la coda formatesi nel corso di un mese risultano più “rosse” della nube iniziale. Ciò indica che potrebbero essere costituite da particelle più grandi rispetto all’inizio.
Lo strumento MUSE ha permesso anche di scomporre la luce della nube come fosse un arcobaleno. In questo modo, il team di Opitom ha potuto ricercare le impronte chimiche di diversi gas, in particolare ossigeno e acqua provenienti dal ghiaccio esposto dall’impatto; ma non hanno trovato niente. Opitom ha spiegato:
Non ci si aspetta che gli asteroidi contengano quantità significative di ghiaccio, quindi anche rilevare una qualsiasi traccia di acqua sarebbe stata una vera sorpresa. Sapevamo che era un azzardo, perché la quantità di gas rimasta nei serbatoi dal sistema di propulsione non avrebbe dovuto essere enorme. Inoltre, una parte di questo avrebbe potuto arrivare troppo lontano per essere rilevata con MUSE quando abbiamo iniziato a osservare.
L’alterazione della superficie dell’asteroide studiata con FORS2
Un altro gruppo, guidato dall’astronomo Stefano Bagnulo dell’Armagh Observatory and Planetarium nel Regno Unito, ha studiato come l’impatto di DART abbia alterato la superficie dell’asteroide. Per farlo, ha utilizzato lo strumento FORS2 (FOcal Reducer/low dispersion Spectrograph 2) installato sul VLT, scoprendo che il livello di polarizzazione è sceso improvvisamente dopo l’impatto. La luminosità complessiva del sistema, invece, è aumentata.
Di seguito, un’animazione che mostra come è cambiata la polarizzazione della luce solare riflessa dall’asteroide Dimorphos dopo l’impatto. All’inizio del video, la luce solare non polarizzata, rappresentata da linee blu sinuose che oscillano in direzioni casuali, viene riflessa dalla superficie dell’asteroide. Così facendo si polarizza, e le onde riflesse oscillano lungo una direzione specifica. L’indicatore in basso a destra mostra il grado di polarizzazione della luce solare riflessa. Credits: ESO/M. Kornmesser
Una possibile spiegazione è che l’impatto abbia esposto più materiale incontaminato, proveniente dall’interno dell’asteroide. Tale materiale sarebbe più luminoso e meno polarizzante di quello in superficie, perché non è mai stato esposto al vento e alla radiazione solari.
Un’altra possibilità è che l’impatto abbia distrutto le particelle sulla superficie, espellendo così quelle molto più piccole nella nube di detriti. “In determinate circostanze, frammenti più piccoli sono più efficienti nel riflettere la luce e meno efficienti nel polarizzarla” ha spiegato Zuri Gray, studente di dottorato all’Armagh Observatory and Planetarium.
Entrambi i gruppi di ricerca hanno mostrato le potenzialità del VLT e della cooperazione fra i suoi strumenti. Le conseguenze dell’impatto, infatti, sono state osservate con altri due strumenti del VLT e l’analisi di questi dati è ancora in corso.
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