Sei galassie massicce scoperte nell’Universo primordiale dal James Webb hanno una massa così elevata da sfidare tutto ciò che gli scienziati pensavano di aver compreso sulle origini delle galassie.
L’ipotesi finora più accreditata per quanto riguarda la formazione delle galassie è la cosiddetta Teoria gerarchica Bottom-Up. Secondo tale concezione, le galassie grandi come la Via Lattea si sarebbero formate dall’unione di galassie più piccole. In quest’ottica, gli scienziati si aspettano di osservare gruppi di stelle sempre meno compatti e meno massivi, più le osservazioni si spingono lontano, e quindi nel passato.
Tuttavia, alcune osservazioni del Webb stanno mettendo in discussione queste teorie. Sei delle galassie osservate dal telescopio spaziale, infatti, “sono molto più massicce di quanto ci si aspettasse” ha detto Joel Leja, assistente professore di astronomia e astrofisica alla Penn State. “Ci aspettavamo di trovare solo minuscole e giovani galassie in quella che in precedenza era considerata l’alba dell’Universo, ma abbiamo scoperto galassie mature come la nostra”.
Le sei galassie sono state individuate dal primo set di dati rilasciato dal team Webb il 12 luglio 2022. Il telescopio è dotato di strumenti a infrarossi in grado di rilevare la luce emessa dalle stelle e dalle galassie più antiche. Una luce che proviene da zone dell’Universo così lontane da noi che la loro velocità di recessione causata dall’espansione cosmica, rispetto a noi, è molto alta. Questo produce uno spostamento verso il rosso della loro luce, che può essere osservata solo da Webb.
Tra i suoi dati, un team di scienziati internazionale, tra cui ricercatori della Penn State University, ha scoperto oggetti maturi come la Via Lattea, ma risalenti a circa 500-700 milioni di anni dopo il Big Bang. I ricercatori hanno dimostrato che le sei galassie sono molto più massicce di quanto ci si aspettasse, degli oggetti del tutto “impossibili” per come noi concepiamo l’Universo. Stanno mettendo in discussione ciò che gli scienziati avevano precedentemente compreso sulla formazione delle galassie proprio all’inizio dell’Universo, durante la cosiddetta alba cosmica che ha seguito la Dark Age.
“La rivelazione che la formazione di galassie così massive è iniziata molto presto nella storia dell’Universo sconvolge ciò che molti di noi pensavano fosse una scienza consolidata” ha detto Leja. “Abbiamo chiamato informalmente questi oggetti distruttori di universi.”
Leja ha spiegato anche che le galassie scoperte dal team sono così massicce da essere in disaccordo con il 99% dei modelli cosmologici. Spiegare una quantità così elevata di massa richiederebbe l’alterazione quasi radicale della comprensione scientifica sulla formazione delle galassie nell’Universo primordiale. “Abbiamo esaminato l’Universo primordiale per la prima volta e non avevamo idea di cosa avremmo trovato” prosegue il ricercatore. “Si scopre che abbiamo trovato qualcosa di così inaspettato che in realtà crea problemi alla scienza. Mette in discussione l’intero quadro della prima formazione delle galassie”.
Prima di riscrivere tutti i libri di astrofisica, naturalmente servono le conferme da studi complementari. Un modo per accertare le scoperte del team sarebbe quello di acquisire un’immagine dello spettro dei sei oggetti incriminati. Ciò fornirebbe al team dei dati più precisi sulle reali distanze delle galassie, quindi sulle loro età cosmologiche, ma anche informazioni cruciali sui gas e altri elementi che le costituiscono.
Finora il team ha potuto utilizzare solo i dati Webb per modellare un’immagine chiara di come apparivano tali galassie, e di quanto fossero veramente massicce. A questo proposito, lo stesso Leja ha dei dubbi sugli oggetti che sta osservando.
Questo è il nostro primo sguardo indietro fin qui, quindi è importante mantenere una mente aperta su ciò che stiamo vedendo. Mentre i dati indicano che si tratta probabilmente di galassie, penso che ci sia una reale possibilità che alcuni di questi oggetti si rivelino essere buchi neri supermassicci oscurati. Indipendentemente da ciò, la quantità di massa che abbiamo scoperto significa che la massa nota nelle stelle in questo periodo del nostro Universo è fino a 100 volte maggiore di quanto avevamo pensato in precedenza. Anche se dimezziamo il campione, questo è comunque un cambiamento sbalorditivo.
Che nei risultati presentati ci siano degli errori oppure no, è ancora tutto da scoprire. Quello che rimane certo è che Webb sta indagando ambiti dell’astrofisica che non erano neanche contenuti nella lunga lista di obiettivi che la comunità scientifica gli aveva sottoposto.
L’articolo, pubblicato sulla rivista Nature, è disponibile a questo link.
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