Approfondimento
| On 2 anni ago

Non solo clima: perché a molti Stati interessa conoscere le regioni polari

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All’inizio del documentario dell’ESA “Melt”, distribuito nel 2021 in occasione della COP26, l’astronauta Luca Parmitano calza ramponi e imbrago per avventurarsi nel ghiacciaio del Gorner, in Svizzera, all’ombra del Monte Rosa. Vuole vedere da vicino gli effetti di ciò che ha potuto osservare durante la sua permanenza in orbita: la progressiva riduzione dei ghiacciai della Terra.

La riduzione ha effetti su clima e ambiente. In contesto montano significa la perdita di riserve idriche e problemi di sicurezza, nelle regioni polari comporta l’innalzamento dei mari e conseguenze su temperatura e salinità delle correnti marine, con associati eventi climatici estremi. Si può considerare come un vero e proprio termometro del riscaldamento globale ma, se si considera che la perdita di superficie ghiacciata riduce la riflettività totale terrestre (albedo), allo stesso tempo ne diventa anche concausa.

Laser, radar, gravimetri: lo scioglimento visto dallo spazio

L’estensione dei ghiacciai sulla Terra è stato il primo parametro di questa riduzione monitorabile dallo spazio, grazie alle immagini, ottiche o radar, scattate in orbita fin dai primi programmi di osservazione. Tuttora queste immagini rimangono il metodo più immediato per verificare l’arretramento della fronte glaciale o il distacco di iceberg nei mari polari.

Per quantificare la perdita però, ancora più significativo dell’arretramento risulta essere il bilancio di massa, per il quale la variazione dello spessore delle calotte è un dato ancora più indicativo dell’estensione. I programmi dedicati all’osservazione dei ghiacciai si focalizzano su questo tipo di rilevamenti. Risultati con precisione al di sotto del metro sono ottenibili, da questo punto di vista, sia con altimetria laser, come quella utilizzata dai satelliti NASA Icesat, che con altimetria radar SAR, come quella dei Cryosat dell’ESA.

Quest’ultima ha il vantaggio di oltrepassare le nubi e permettere il monitoraggio con qualunque condizione meteorologica (oltre che di inquadrare un’area maggiore). Entrambi i sistemi si basano sul principio di emettere un’onda ed intercettarne il ritorno per ottenere informazioni sulla distanza della superficie sottostante.

Non è il solo metodo. Uno non direttamente collegato all’osservazione classica, è quello che sfrutta la misurazione del campo gravitazionale. Sistemi come la coppia di satelliti americani Grace-FO stimano le disuniformità di massa della Terra, misurando la differenza di attrazione (che si traduce in variazione di distanza relativa) a cui sono sottoposti i due corpi instantaneamente. Se l’accelerazione gravitazionale cambia da un passaggio all’altro vuol dire che la massa sottostante ha subito una variazione, come quella imputabile allo scioglimento dei ghiacciai.

Il sistema Grace-FO. Credits: NASA

Neve o ghiaccio? Una misura tutt’altro che semplice

Tuttavia, il problema rimane complesso: la risoluzione di decine di chilometri di strumenti come i gravimetri li rende adatti solo a misurazioni su larga scala, mentre, a livello locale, per i più precisi altimetri c’è la difficoltà di distinguere la composizione dello spessore che vanno a misurare.

Il ghiaccio si forma, infatti, da neve sottoposta a pressione in un processo che richiede anche anni. Capire se quello che è andato perso è uno strato di neve, ghiaccio o dello stadio intermedio firn, è fondamentale per quantificare la perdita e valutare che ci sia una effettiva riduzione in corso o che si tratti di accumuli e fusioni stagionali.

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L’altimetria laser non è in grado di effettuare questa distinzione, mentre si potranno ottenere buoni risultati con l’utilizzo del radar SAR, a frequenze ben determinate. Alla più classica banda Ku (13 GHz) che (in prima approssimazione) riflette sul ghiaccio, il futuro satellite ESA Cristal affiancherà un’osservazione ad ancora più alta frequenza (banda Ka, 35 GHz) che rifletterà invece su neve (anche qui da considerarsi come componente principale e non esclusiva). La differenza tra le due fornirà preziose indicazioni sulla composizione delle calotte.

Sinergia con i dati sul terreno

Misurazioni di questo tipo sono tutte ottenibili, a terra, con maggior dettaglio. Ne abbiamo discusso con Cristina Viani, del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino e collaboratrice del Comitato Glaciologico Italiano, e Roberta Paranunzio, ricercatrice dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ISAC) di Torino.

“I rilevamenti più frequenti effettuati sul terreno” ci racconta Viani “sono le misure di arretramento lineare della fronte dei ghiacciai e della variazione della quota minima che poi convergono nei database di dati glaciologici nazionali e internazionali (un esempio qui). Tali misurazioni vengono effettuate solitamente alla fine dell’estate. Più complesse sono le attività di terreno necessarie per la valutazione del bilancio di massa, per il quale serve valutare la quantità di neve accumulata durante l’inverno così come la quantità di neve ed eventualmente ghiaccio persa durante la stagione di fusione mediante l’utilizzo di paline ablatometriche (aste infisse nel ghiaccio). Queste misure necessitano di più sopralluoghi nel corso dell’anno e di un certo numero di paline installate, e le si effettua perciò solo su un limitato numero di ghiacciai: una dozzina in Italia e circa 130 per l’intero globo, lo 0,1% del totale”.

Il numero è chiaramente destinato ad essere inferiore per le aree più remote del mondo, per le quali la capacità di raccolta dati da satellite rimane difatti l’unica strada. “La misura da terra può però aiutare anche la validazione del dato satellitare” continua Viani. “Avere un confronto con misure più precise prese sul posto può aiutare a integrare e/o correggere i risultati ottenuti con il dato satellitare”.

L’errore sul dato satellitare non si riduce, infatti, alla sola precisione dello strumento, ma è determinato da diversi fattori. La distinzione tra neve e ghiaccio rimane non semplice, così come la componente atmosferica interferisce con la propagazione dell’onda e quindi con la misura (questi satelliti imbarcano anche radiometri a microonde per correggere la lettura del contributo del vapore acqueo atmosferico).

Il dato da satellite richiede, perciò, complessi algoritmi di estrapolazione, filtraggio e correzione per poter essere la base di una stima attendibile. Compito che si complica ancora di più qualora si voglia partire da esso per riconoscere componenti cicliche o stagionali e stimarne un trend (cosa che potrebbe rivelarsi utile in navigazione, approvvigionamento idrico o turismo).

Si può prevedere lo scioglimento?

“Ci sono ricerche” ci spiega stavolta Paranunzio “che studiano l’evoluzione della fronte glaciale nel medio termine ipotizzandone, ad esempio, l’evoluzione nella stagione estiva a partire dai dati meteorologici osservati nelle stagioni appena precedenti, e utilizzando previsioni stagionali. La confidenza nei risultati è ovviamente strettamente collegata con la necessità di previsioni attendibili e di dati glaciologici esaustivi per raffinare i modelli”.

Legare le condizioni meteo a ciò che accade al ghiacciaio può aiutare anche per eventi critici come valanghe o frane. “In questo caso” spiega RP “l’intervallo di tempo tra un’immagine satellitare e la successiva non assicura di cogliere l’istantaneità dell’evento, mentre rappresentano un deciso valore aggiunto, per capillarità di informazioni rispetto alle stazioni a Terra, i dati satellitari di temperatura e precipitazione, che possono portare ad identificare le condizioni critiche che innescano questi fenomeni”.

Grotte, laghi subglaciali, drift: come scoprirli

Questi fenomeni dipendono anche dalle condizioni pregresse del ghiaccio, che non sempre si rivelano al primo sguardo. A volte, i grandi mutamenti in un ghiacciaio iniziano al disotto della sua superficie, con il formarsi di grotte, laghi, mulini (ossia pozzi, lo stesso Parmitano, in “Melt”, si cala in uno di essi). Una ricerca ha ipotizzato persino una grotta di 1000 chilometri in Groenlandia.

Scoprirli non è semplice. La risoluzione troppo bassa dei gravimetri si scontra con fenomeni così localizzati, mentre maggiore confidenza potrebbe offrire l’utilizzo delle microonde, a determinate frequenze che oltrepassino il ghiaccio e riflettano sull’acqua, in modo da rilevarne eventuali sacche nascoste.

Oltre a rappresentarne un indebolimento strutturale, tali cavità sono un veicolo per acqua e aria calda che ne accelerano la fusione: molto spesso, il distacco di un iceberg o una valanga sono solo l’ultimo passo di qualcosa in realtà già innescato (il crollo del Tete Rousse, in Francia, a seguito dell’esplosione di una bolla d’acqua al suo interno, causò 175 morti nel 1892). Trovare posizioni sospette da verificare poi sul terreno con l’ausilio di strumenti come i georadar potrebbe essere una strada percorribile.

Diverso il discorso per il drift: i ghiacciai tendono normalmente a scivolare sullo strato roccioso, ma se eccessivo, questo può essere sintomo d’indebolimento. In questo caso si può valutare correlando le immagini prese da due successivi passaggi orbitali (o da due satelliti diversi): per il SAR, la tecnica più efficace prende il nome di interferometria ed è estremamente onerosa a livello computazionale.

Le pendenze a cui questi fenomeni molto spesso si verificano rappresentano un’ulteriore difficoltà nell’osservazione dallo spazio. Il laser di Icesat ha una notevole performance puntuale, con un footprint di 14 metri ed una precisione inferiore al metro, ma può effettuare una misurazione ogni 170 metri, mentre il SAR del Cryosat 2 inquadra un’area molto vasta, ma ha una risoluzione di circa 250 metri, all’interno della quale non distingue differenze di altimetria. In entrambi i casi, perciò, vi sono intervalli in cui non si cattura l’entità della pendenza. Una soluzione almeno parziale risiede, per l’altimetria SAR, nella funzione interferometrica, che, semplificando estremamente, equivale ad osservare un oggetto da due punti diversi.

Il concetto di interferometria. Credits: DLR

Stimando la differenza di fase dell’eco tra le due misure si può sapere l’angolo di arrivo e quindi l’elevazione della superficie, e proprio Cryosat 2 ha rappresentato un passo in avanti significativo imbarcando due antenne e riuscendo ad effettuare, per il dato altimetrico (quindi non immagini, come necessario per il drift), una prima misurazione a bordo.

Perché servono satelliti ad hoc per i ghiacciai

Questa applicazione è stata aggiunta proprio per il suo utilizzo su Cryosat 2 per l’elevazione dei ghiacciai, tanto che il Sentinel 3, che utilizza lo stesso altimetro SAR per gli oceani, non ne è dotato. È una peculiarità di questa applicazione proprio come la doppia banda Ku-Ka del Cristal per il riconoscimento degli strati neve.

Il motivo di avere satelliti dedicati non risiede, però, solo nella strumentazione, ma anche nell’orbita stessa. L’inclinazione di circa 98 gradi a cui i satelliti classici di osservazione sono posti e che permette loro di avere un’orbita sincronizzata con l’illuminazione solare, assicura una copertura quasi totale della terra, tranne proprio i poli, dei quali coprono solo circa il 60% dei ghiacci. Per questo satelliti come Icesat o Cryosat si spingono fino a 94 e 92 gradi e ad un 95% di copertura.

Accanto ai dati fruibili già oggi, è così che si andranno a creare gli archivi che permetteranno d’interpretare meglio gli scenari futuri, tanto che la Commissione Europea, nelle sue linee guida per la politica sull’Artico, parla espressamente della grande importanza di questi dati e del segmento spaziale a supporto della propria visione.

Monitorare i poli: dalle risorse alle rotte commerciali

Le necessità di questi programmi abbracciano aspetti geografici, economici, strategici. L’innalzamento dei mari si abbatterà sulle coste: si prevede che in 30 anni Mumbai sarà raggiunta dall’acqua e che nei prossimi 50, venti milioni di cinesi dovranno spostarsi nell’entroterra. Parallelamente, lo scioglimento può rendere accessibili risorse minerarie preziose (la Cina mira a suon di investimenti a quelle della Groenlandia e la Russia già estrae un quarto dei suoi idrocarburi nell’Artico) e liberare nuove rotte commerciali.

Attualmente, delle tre principali rotte nel Circolo Polare Artico, l’unica realmente attrezzata a livello logistico è quella russa, che diminuirebbe di un terzo la distanza tra Shanghai e Rotterdam. Questa rotta, che nel 2018 ha permesso ad un carico di gpl di raggiungere la Cina dalla Russia in 19 giorni contro i 35 della canonica rotta mediterranea, consentirebbe al gigante asiatico anche di eludere l’egemonia americana dello stretto di Malacca.

Si aggiungono motivazioni strategiche. Quella che sorvola il Circolo Polare Artico è una delle traiettorie tra America ed Eurasia più brevi per i missili balistici, e maturare la capacità di muovere navi o sottomarini nella zona rappresenterebbe un indubbio vantaggio.

Le principali rotte percorribili nell’artico

Tutte queste prospettive avranno un impatto parziale e solo nel medio-lungo periodo (qualche decennio), ma hanno la loro rilevanza e destano un certo interesse generale. Del resto, l’osservazione dei ghiacci dallo spazio non è esclusiva europea e americana: l’osservazione passiva a microonde del satellite giapponese GCOM-W è ottima per la concentrazione di ghiaccio marina, il programma Arctica della Russia prevede una serie di satelliti per l’osservazione dell’area e la Cina sta lavorando ad un satellite SAR dedicato. Capire la morfologia dei ghiacciai, sfruttando le tecnologie esistenti, potrà fornire le capacità per limitare i danni o avvantaggiarsi in questo ambiente negli anni a venire.

I satelliti al servizio degli Inuit canadesi

Senza aspettare i 20 milioni di cinesi, c’è già qualcuno per cui tutte queste tecnologie concorrono alla sopravvivenza. Le popolazioni dell’estremo nord canadese da alcuni anni devono fronteggiare un ambiente in rapido e imprevedibile mutamento, e l’associazione SmartIce ha pensato di portare al loro servizio le più recenti strumentazioni di monitoraggio.

“Lo scioglimento e il maggiore traffico di navi nella zona hanno reso instabili le poche e tradizionali piste percorse dalla popolazione. Questo aspetto ha conseguenze molto dure sulla mental health della gente dei nostri villaggi. C’è il timore che il nostro stile di vita non sopravviva” ci dice Rex Holwell, capo operazioni nel Nunatsiavut che, insieme ad Andrew Arreak, attivo nel Qikiqtaaluk, ci descrive la loro attività: “Abbiamo capito che ciò che possiamo fare è adattarci a questo cambiamento e cercare di capire cosa intorno a noi è sicuro e cosa non lo è”.

SmartIce è un’organizzazione a maggioranza indigena e si è prefissata di formare i giovani del luogo alla costruzione degli Smartbuoy, strumenti per il monitoraggio da posizionare sul ghiaccio e utilizzarsi a fianco dei dati satellitari. Insieme all’organizzazione madre Arctic Eider ha promosso l’atlante online SIKU, in cui si possono visualizzare le immagini satellitari (Landsat o Sentinel, che forniscono dati facilmente interpretabili), leggere le misurazioni degli Smartbuoy o ancora verificare gli alert lasciati dai membri più esperti.

“I nostri cacciatori e pescatori” prosegue Rex “sanno come affrontare questo ambiente, ma i viaggiatori occasionali, soprattutto giovani, no”. In molte comunità del nord del mondo i giovani si trovano di fronte al disagio di non appartenere più al loro mondo tradizionale e di non essere, allo stesso tempo, ancora pienamente parte di quello moderno. “Or00a il passaggio di conoscenze avviene secondo altri canali, non ci sono più i padri ad insegnare direttamente ai figli. SmartIce può essere un tramite generazionale per questo tipo di conoscenze”.

Un pescatore Inuit fotografa il ghiaccio per SIKU. Credits: Arctic Eider

Un valore non solo scientifico

Con SIKU i grandi programmi di monitoraggio dei ghiacci assumono una dimensione attuale e quotidiana. L’ESA già da anni prevede la fornitura di dati a questo scopo e la Commissione Europea, sempre nell’ambito della sua politica artica, cita anche questo aspetto in un più ampio discorso di sostenibilità dello sviluppo. Quello che succede in quelle aree non è, infatti, di interesse esclusivo di chi vi abita. Insieme alle ripercussioni ambientali a livello mondiale, sono facilmente intuibili anche quelle economiche e politiche.

Paesi del Sud Europa sarebbero danneggiati se anche solo una parte delle rotte mercantili si spostasse sulla rotta artica settentrionale e, guardando alle risorse, l’esempio della Cina dimostra come l’interesse sia vivo anche in paesi non direttamente affacciati sull’area.

Da sempre lo strumento scientifico-esplorativo è stato un mezzo di penetrazione e coinvolgimento anche politico. Guardando all’Italia, attività come le spedizioni del Duca degli Abruzzi e di Umberto Nobile, così come le stazioni di ricerca alle Svalbard e in Antartide, hanno concorso a maturare l’ammissione al Consiglio Artico internazionale, e lo stesso principio vale per molti altri paesi geograficamente lontani, come Giappone o India.

Queste interazioni proseguono oggi sotto le forme attuali, di cui lo spazio fa parte. A 10 anni dal suo lancio, Cryosat 2 è arrivato a servire oltre 1000 utenti di 70 paesi diversi, e con i prossimi programmi questo bacino si allargherà. Da questo punto di vista, i satelliti, parallelamente alla mole di dati che riescono a fornire, vanno perciò a giocare un ruolo, anche per tutti questi paesi, simile a quello che all’epoca spettò alla goletta del Duca d’Abruzzi, alle slitte di Scott e ai dirigibili di Nobile.

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