I pianeti Urano e Nettuno sono i più esterni del Sistema Solare e finora li abbiamo raggiunti una sola volta, con la sonda Voyager 2 nel 1986 e 1989 rispettivamente. Da allora sono le foto di questa sonda le uniche a nostra disposizione, come lo sono i dati ricavati dai suoi strumenti. Negli ultimi anni si è finalmente tornato tornato a discutere di come e quando raggiungere nuovamente questi pianeti, e alcune soluzioni sono finalmente in fase di discussione.
Anche per questo motivo abbiamo deciso di produrre una nuova “Guida completa di Astrospace.it”, per provare a raccontare questi due pianeti, da cosa sono composti e, in ultima analisi, perchè sono così interessanti. In ultimo, vedremo nel dettaglio quali sono le missioni attualmente in fase di studio, non solo da parte della NASA.
Quando siamo andati
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Tra i grandi obiettivi raggiunti dalla sonda Voyager 2, figurano senza dubbio le visite ai pianeti Urano e Nettuno effettuate rispettivamente nel 1986 e nel 1989.
La particolarità di questi fugaci incontri – si trattò in entrambi i casi di sorvoli ravvicinati – è sottolineata dal fatto che quelle sono state le uniche occasioni per studiare da vicino questi misteriosi pianeti.
Per apprezzare al meglio le scale del Sistema Solare, è utile riferirsi all’Unità Astronomica (AU) come unità di misura delle distanze. Essa è definita come la distanza media tra la Terra ed il Sole durante l’anno e si può approssimare a 150 milioni di kilometri.
Pensiamo ora di dividere le prime 30 AU del Sistema Solare in tre cerchi concentrici:
- da 0 a 10 AU, nel quale troverebbero posto le orbite di Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove e Saturno
- da 10 a 20 AU, con l’orbita di Urano quasi al confine esterno
- da 20 a 30 AU, con l’orbita di Nettuno in corrispondenza del limite esterno
E’ possibile apprezzare come, degli otto pianeti attualmente conosciuti, ben sei orbitino entro le 10 Unità Astronomiche, ovvero entro un miliardo e mezzo di kilometri dal Sole. A questa zona relativamente affollata, seguono vuoti siderali di miliardi di kilometri interrotti solamente dalle orbite di Urano (19.8 AU di media) e Nettuno (30 AU di media).
Esercizi mentali come questo aiutano a comprendere quanto Urano e Nettuno siano lontani ed isolati non solo dalla Terra, ma addirittura rispetto a Saturno.
Perché non siamo più tornati
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La storica visita ad Urano e Nettuno della Voyager 2 fu resa possibile grazie ad un particolare allineamento dei pianeti esterni che avviene una volta ogni 176 anni. Il piano era di sfruttare il fly-by di ciascun pianeta per “farsi lanciare” verso il successivo. E così avvenne con Giove, Saturno, Urano e Nettuno.
Naturalmente, non dovremo aspettare un altro secolo abbondante per spedire una sonda verso questi corpi celesti, ma andranno pianificate missioni ad essi dedicate. La distanza media dal Sole e, di conseguenza, i numerosi anni di crociera interplanetaria necessari a raggiungerli hanno fatto sì che l’esplorazione del Sistema Solare si concentrasse maggiormente entro l’orbita di Saturno.
Se infatti agli altri pianeti del Sistema Solare sono state dedicate numerose sonde, siano esse rover, lander oppure orbiter, Urano e Nettuno non hanno ricevuto nulla più che un rapido sorvolo ravvicinato.
Un approccio di questo tipo obbliga per forza di cose a concentrare tutte le possibili attività scientifiche nell’arco delle poche ore durante le quali la sonda si trova a ridotta distanza dal pianeta. Ma le velocità in gioco, che impediscono di rallentare per posizionarsi in un’orbita chiusa e stabile, fanno sì che il corpo sparisca dalla vista con la stessa velocità con cui è apparso.
Nulla a che vedere, dunque, con i tredici anni di operazioni di Cassini attorno a Saturno o degli otto anni di Galileo attorno a Giove.
Queste due missioni ci hanno permesso di raccogliere una quantità inimmaginabile di dati, che continueranno ad essere studiati ancora per decenni e che produrranno numerose altre scoperte. Eppure, nonostante anche Urano e Nettuno appartengano alla classe dei pianeti “giganti”, essi costituiscono una categoria separata rispetto a Giove e Saturno.
Se ci si riferisce spesso a Giove e Saturno come ai “giganti gassosi”, negli anni Urano e Nettuno hanno iniziato ad essere ricordati come i “giganti ghiacciati”. Questa distinzione è giustificata dalle molteplici differenze chimico-fisiche, che costituiscono la principale spinta a studiarli da vicino.
Perché è importante studiarli
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Tornare a visitare Urano e Nettuno sarà un passo naturale nel futuro dell’esplorazione del Sistema Solare. I dati ottenuti durante le visite degli anni ‘80 hanno dato risposte ad alcuni quesiti, ma hanno anche aperto una voragine di dubbi sui quali i ricercatori sperano ben presto di fare luce.
E’ dunque utile avere una panoramica di cosa sappiamo e soprattutto di cosa non sappiamo a proposito dei giganti ghiacciati.
Composizione interna
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Il Sistema Solare è diviso in interno ed esterno dalla fascia degli asteroidi, posizionata tra le orbite di Marte e Giove.
Nel Sistema Solare interno trovano posto i quattro pianeti cosiddetti “rocciosi”, costituiti principalmente da silicati e metalli e caratterizzati da una superficie esterna solida. Partendo dal Sole incontriamo: Mercurio, Venere, Terra e Marte.
Oltre la fascia degli asteroidi si apre il Sistema Solare esterno, abitato dai quattro pianeti cosiddetti “giganti”.
La composizione interna è una delle caratteristiche che ha portato alla necessità di suddividere i “giganti” in due sottocategorie. Rispetto ai gassosi, i giganti ghiacciati sono molto più piccoli e le loro composizioni non sono dominate da Idrogeno ed Elio. Per quanto costituiscano oltre il 95% del volume, questi due elementi lasciano spazio anche a non trascurabili percentuali di Metano. [1] [10]
Il modello che, al momento, sembra aderire meglio ai dati in nostro possesso prevede una configurazione con transizioni graduali tra gli strati concentrici. Lo strato più interno è con ogni probabilità un cuore roccioso delle dimensioni della Terra, se non più grande, composto di silicati, nichel e ferro. Eppure, le nostre conoscenze sono da considerarsi largamente approssimative.
Lo avvolge un mantello “ghiacciato”, che si estende fino all’80% del raggio, composto probabilmente da un fluido supercritico conduttivo di acqua, ammoniaca e metano. Nonostante venga impropriamente chiamato “ghiaccio”, si ritiene si trovi a temperature di migliaia di Kelvin e pressioni di decine di migliaia di atmosfere. [5] A ricoprire il 20% esterno, un’atmosfera supercritica composta di idrogeno, elio e metano. [10]
Si definisce supercritico un fluido che si trovi a temperature e pressioni superiori ai rispettivi valori critici, un particolare stato in cui le proprietà del fluido sono riconducibili in parte ad un liquido, in parte ad un gas.
Se Giove e Saturno stupiscono per le bande colorate e gli anelli, Urano e Nettuno affascinano per il loro colore. L’azzurro acquamarina di Urano e il blu profondo di Nettuno si devono all’assorbimento della luce rossa da parte delle piccole tracce di Metano presenti nell’atmosfera. [5] [6]
Configurazione orbitale
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Urano è stato osservato e catalogato come una stella fin dai tempi di Ipparco (II secolo a.C.). Fu in seguito scambiato per una cometa e infine, grazie agli studi di William Herschel e di altri suoi contemporanei, riconosciuto ufficialmente come pianeta negli anni successivi al 1781.
Con una distanza media pari a 2.9 miliardi di kilometri, è il settimo pianeta del Sistema Solare. Il suo raggio medio di 25.300 kilometri, pari a quattro volte quello terrestre, lo colloca al terzo posto nel Sistema Solare per dimensione.
Un giorno su Urano dura 17 ore e 14 minuti, mentre affinché compia un’intera orbita attorno al Sole sono necessari 84 anni. Ma a stupire gli studiosi è la sua configurazione orbitale.
Il suo asse di rotazione è infatti inclinato di 97.7° rispetto al piano orbitale, facendo sì che il pianeta “rotoli” sul proprio piano orbitale, come una palla su un tavolo da biliardo, puntando sempre un polo verso il Sole. Inoltre, come Venere, ruota in senso orario, da est verso ovest.
Si pensa che a causare tutto ciò sia stato un impatto con un altro corpo celeste. [1] I modelli attuali prevedono che tale corpo fosse grande almeno quanto la Terra e che la collisione sia avvenuta oltre 3 miliardi di anni fa, quando Urano era ancora in fase di formazione. [10]
Questa configurazione orbitale ha un notevole impatto sull’alternarsi delle stagioni. Ciascun polo di Urano riceve luce solare in modo diretto e continuativo per 42 anni di seguito, prima di lasciare il posto all’altro. Sono dunque le regioni polari a ricevere, su base annua, la quantità maggiore di radiazione solare, a discapito delle zone equatoriali. Ciononostante, per meccanismi non ancora compresi appieno, il pianeta risulta più caldo all’equatore che ai poli.
La configurazione orbitale di Nettuno è invece estremamente simile a quella della Terra. La sua inclinazione di 28.3° rispetto al piano dell’orbita, di poco superiore a quella terrestre di 23.5°, fa sì che il susseguirsi delle stagioni sul gigante ghiacciato somigli a quanto avviene sulla Terra. La differenza sostanziale – però – è che ogni stagione su Nettuno dura 40 anni.
Sono infatti necessari 165 anni terrestri affinché Nettuno compia un giro completo attorno al Sole, data la sua distanza media pari a 4.5 miliardi di kilometri. La durata media del giorno è di 16 ore e con un raggio medio di 24.600 kilometri si merita il quarto posto per dimensione, appena sotto il fratello Urano.
Nettuno è l’ottavo ed attualmente ultimo pianeta del Sistema Solare. La sua presenza fu dedotta tramite calcoli matematici dall’astronomo francese Alexis Bouvard, che scoprì perturbazioni orbitali nell’orbita di Urano, riconducibili alla presenza di un altro corpo più lontano dal Sole. Nettuno venne poi finalmente osservato da Le Verrier e Couch Adams nel 1846, tre anni dopo la morte di Bouvard.
Lune e anelli
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Per avventurarsi nel mondo delle lune dei giganti ghiacciati, occorre distinguere due categorie:
- lune regolari, caratterizzate da orbite con bassa inclinazione ed eccentricità (quasi circolari) e prograde, cioè che ruotano nello stesso senso del pianeta principale. Generalmente, la formazione di questi corpi è avvenuta attorno al pianeta dove si trovano.
- lune irregolari, caratterizzate da orbite altamente inclinate ed eccentriche (molto allungate), oltre che retrograde. Spesso si tratta di corpi estranei che sono stati catturati dalla gravità del pianeta.
Di Urano sono note 27 lune, di cui 18 regolari e 9 irregolari. Le cinque principali, tutte regolari, sono, in ordine crescente di dimensione: Miranda, Ariel, Umbriel, Oberon e Titania.
Miranda presenta canyon da frattura profondi anche 20 kilometri e un’attività geologica guidata dalle forze mareali causate da Urano e Umbriel. Umbriel ha la superficie più antica fra le cinque, mentre Ariel sembra possieda la più giovane. Oberon e Titania, anch’esse soggette a riscaldamento per effetto mareale di Urano, potrebbero ospitare acqua liquida sotto la superficie. [3]
Su di loro potrebbero aprirsi possibili indagini alla ricerca della vita al di fuori della zona di abitabilità del Sistema Solare. La zona di abitabilità attorno ad una stella è definita da una distanza minima e massima tra le quali l’acqua può presentarsi allo stato liquido sulla superficie di un corpo celeste.
Nettuno ha 14 lune, 7 regolari ed altrettante irregolari, la più importante delle quali è senza dubbio Tritone. [6]
Urano conta 13 anelli distinti, che si estendono dai 38mila ai 98mila kilometri di distanza dal centro planetario. Il primo anello è dunque situato a circa 13mila kilometri di quota dalla superficie.
Se gli interni risultano scuri, gli esterni appaiono di colori accesi e più riconoscibili. Prima del flyby del 1986 si conoscevano solo nove anelli; Voyager 2 ne scoprì altri due e altrettanti furono osservati da Hubble tra il 2003 e il 2005.
Come Urano, anche Nettuno è dotato di anelli, distribuiti in cinque archi principali. Il più esterno non è un arco completo, un effetto attribuito all’influenza gravitazionale della luna Galatea.
Si stima che gli anelli di Urano e Nettuno siano relativamente “giovani”, formatisi appena qualche centinaio di milioni di anni fa, dunque non in concomitanza con i pianeti stessi. I ricercatori pensano che il materiale che li compone derivi dalla disintegrazione di una o più lune, distrutte dalla gravità o da impatti con altri corpi celesti vaganti. [10]
Tritone
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In quanto ad interesse scientifico, questa luna di Nettuno è senza dubbio in grado di mettere in ombra gli stessi giganti ghiacciati.
La sua particolarità principale è la dimensione. Tritone ha infatti un diametro di 2710 kilometri, settima luna del Sistema Solare per dimensione e unica luna di Nettuno grande a sufficienza da avere forma sferica.
Le dimensioni sono comparabili con quelle del pianeta nano Plutone, tanto che si pensa che anche Tritone facesse parte della fascia di Kuiper. [6]
La seconda particolarità è la sua orbita retrograda: Tritone orbita attorno a Nettuno in senso opposto a come Nettuno orbita attorno al Sole. Durante la formazione di un pianeta, è impossibile che si formino satelliti retrogradi nella sua orbita. Ecco perché Tritone deve essersi formato altrove. [6]
Tutti gli indizi portano a pensare che Tritone facesse parte della fascia di Kuiper e che, a seguito di un incontro orbitale con il gigante ghiacciato, sia stato catturato dalla sua gravità. La fascia di Kuiper si estende dall’orbita di Nettuno (30 AU) fino a circa 50 AU e contiene piccoli corpi celesti, considerati i rimasugli del processo di formazione del Sistema Solare. [6]
La cattura di Tritone deve aver provocato un terremoto gravitazionale nei satelliti regolari di Nettuno. La conseguenza di tutto ciò è che – probabilmente – alcune lune siano state distrutte per poi riassemblarsi a formarne di più piccole. [6]
Dato che continua ad avvicinarsi a Nettuno, si teorizza che in un futuro molto lontano – si parla di oltre 3.5 miliardi di anni – possa disgregarsi e formare un ulteriore anello. Al momento si trova in rotazione sincrona, dunque mostra sempre la stessa faccia verso Nettuno, come fa la Luna con la Terra. [6]
La superficie di Tritone appare piana, con una elevazione massima che non supera mai i 1000 metri sul livello medio. Insieme a Io ed Europa (satelliti di Giove) e Titano ed Encelado (satelliti di Saturno), è la quinta luna geologicamente attiva del Sistema Solare. [1]
Su Tritone, l’attività geologica si manifesta sotto forma di criovulcanismo. Il criovulcanismo è definito come quel processo che porta all’eruzione di materiale volatile – come acqua, ammoniaca o metano – dall’interno di un corpo celeste verso lo spazio esterno. Dato che lo spazio esterno si trova ad una temperatura inferiore a quella di congelamento di questi composti chimici, essi solidificano immediatamente dopo l’eruzione. Questo fenomeno si manifesta principalmente sui satelliti naturali dei pianeti del Sistema Solare esterno.
La temperatura superficiale di Tritone è stata misurata da Voyager 2 in 38 K, equivalenti a -235 °C. [6] [10]
Voyager 2, durante il sorvolo del 1989, transitò a soli 40mila kilometri dal satellite, riuscendo fortunatamente ad assistere ad alcune eruzioni di strutture simili a geyser, con getti che raggiunsero gli 8 kilometri di quota. Si pensa che questi fenomeni contribuiscano a mantenere la sottile atmosfera di azoto di Tritone.
I meccanismi che alimentano i criovulcani sembrano essere due.
Il primo pare derivare dalla particolare configurazione degli strati superficiali di Tritone. In particolare, si pensa che lo strato più esterno sia fatto di azoto solido traslucido, con un sottostante strato più scuro. La radiazione solare attraversa il primo strato, rimanendone intrappolata e dando luogo ad un simil-effetto serra, che porta alla fusione di una piccola parte di materiale. Essa fa incrementare la pressione subsuperficiale, fino al punto di rottura che genera il geyser di azoto.
A prova di quanto appena descritto, tutti i geyser osservati si trovavano tra i 50 ed i 57 gradi di latitudine, dunque nelle zone nelle quali la radiazione solare agisce in maniera più marcata.
Un’altra possibile fonte è un oceano sotterraneo, del quale però non abbiamo certezza. Pare infatti che le forze mareali dovute alla vicinanza di Nettuno e il decadimento radioattivo interno di Tritone siano in grado di mantenere acqua liquida al di sotto della superficie ghiacciata. Il meccanismo sembra essere estremamente simile a quanto avviene sulla luna gioviana Europa, che verrà studiato nel dettaglio dalla sonda Europa Clipper, il cui lancio è previsto per il 2024.
Tritone, come Europa, si presenta quindi come un ottimo candidato per la ricerca della vita oltre la zona di abitabilità del Sistema Solare.
Formazione
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Come e soprattutto dove si sono formati Urano e Nettuno è uno dei problemi ancora aperti, quando si parla di teorie di formazione planetaria. Eppure, i dati ci dicono che pianeti di questo genere sono estremamente diffusi attorno alle altre stelle. Si stima infatti che circa il 40% degli esopianeti appartenga alla cosiddetta famiglia dei “nettuniani” [2]. Ne fanno parte pianeti composti principalmente da Idrogeno ed Elio, con nuclei rocciosi e metallici, di dimensione comparabile a Urano e Nettuno. Molti di questi pianeti orbitano però attorno alle rispettive stelle a distanze orbitali minori rispetto a quelle dei giganti ghiacciati.
La teoria standard di formazione planetaria prevede che i pianeti si formino per “core accretion”, ovvero per accumulo incrementale di “ciottoli” e “planetesimi”. Tali componenti costituiscono, nelle fasi primordiali di un sistema stellare, il disco protoplanetario. [10]
Se assumessimo che Urano e Nettuno si sono formati per core accretion nelle orbite che occupano adesso, rispettivamente a distanze di 20 e 30 Unità Astronomiche dal Sole, dovremmo tenere in considerazione le proprietà del disco protoplanetario. I ricercatori ci dicono che in genere, a quelle distanze, la densità di materiale disponibile è talmente bassa che formare due pianeti così grandi avrebbe richiesto un tempo incredibilmente lungo. [10]
Questo ed altri motivi hanno portato a formulare una teoria secondo la quale sia Urano che Nettuno si sono formati più vicini al Sole, per poi migrare successivamente nelle orbite che occupano al giorno d’oggi. [10]
Studi recenti hanno mostrato come sia possibile formare pianeti come Urano e Nettuno a distanze minori dal Sole, ovvero tra le 5 e le 15 AU. Il problema principale risiede nel fatto che il processo di formazione dipende fortemente dalla composizione interna e dal rapporto solidi/gas, aspetti che hanno un ruolo fondamentale nel determinare se il pianeta in formazione diventerà un gigante gassoso o un gigante ghiacciato. Anche piccoli cambiamenti nelle condizioni iniziali conducono a pianeti totalmente diversi tra loro, il che spiega anche l’estrema variabilità osservata negli esopianeti di massa intermedia. [10]
Vi sono numerose teorie sulla formazione di Urano e Nettuno, ognuna con i suoi punti di forza e di debolezza. Una terza, ad esempio, prevede che si siano formati per collisione e successiva fusione di numerosi pianeti più piccoli. Il tempo necessario sarebbe piuttosto breve, accettando dunque anche la possibilità che siano nati nelle stesse orbite che occupano attualmente. [10]
Purtroppo, fino a quando non avremo misurazioni precise della loro composizione interna, che sarà possibile effettuare solo con sonde atmosferiche dedicate, sarà difficile identificare il modello corretto.
Come e quando torneremo
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Lo scorso 19 Aprile, una commissione delle National Academies statunitensi ha pubblicato il Planetary Science Decadal Survey per il decennio 2023/2032. Questo documento ha l’obiettivo di indicare le più importanti missioni interplanetarie sulle quali sarebbe opportuno investire nel prossimo decennio. Già pubblicata nel 2001 e nel 2011, la versione dedicata agli anni ‘20 di questo secolo propone spunti assai interessanti a proposito dei giganti ghiacciati.
L’America non è, però, l’unica nazione ad aver mostrato interesse per Urano e Nettuno. Anche la CNSA, l’Agenzia Spaziale Cinese, ha recentemente presentato un piano per una missione verso Nettuno. [7]
Missioni di questo tipo – oltre ad una progettazione che permetta loro di sopravvivere per venti anni a miliardi di kilometri dalla Terra – necessitano anche di una logistica non indifferente. Tra i punti più importanti a riguardo figura senz’altro il come arrivare a Urano e Nettuno, viste le distanze in gioco. Ciò non è difficile in termini assoluti, ma raggiungerli con un carico utile sufficiente a svolgere ricerca scientifica è molto più complicato.
In questa equazione entrano obbligatoriamente in gioco una o più fionde gravitazionali di altri pianeti, Giove in particolare, fondamentali per spingere le sonde fino ai giganti ghiacciati. La difficoltà è che Giove non è sempre nelle condizioni – più precisamente nella posizione utile – per fornire questo aiuto: lo sarà solo dal 2030 al 2033 e dopo il 2036. [2]
Perdere i gravity assist di Giove dei primi anni ‘30 causerebbe tempi di trasferimento decisamente più lunghi. Ciò obbligherebbe a trasferimenti diretti, più onerosi in termini di propellente, oppure a fionde gravitazionali multiple nel Sistema Solare interno (Venere, Marte e la stessa Terra).
Un trasferimento più breve non permette solo di arrivare prima a destinazione, ma anche e soprattutto di farlo con una sonda in condizioni migliori. L’ambiente spaziale è infatti particolarmente ostile, specialmente nei confronti dell’elettronica di bordo.
Queste sono nel dettaglio le proposte di missione emerse finora.
Decadal Survey – Uranus Orbiter and Probe
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Il Decadal Survey ha indicato una missione verso Urano, che possa essere messa in pratica con le attuali tecnologie e con i lanciatori già sul mercato. Il nome della missione è UOP, acronimo di Uranus Orbiter and Probe.
L’architettura prevede un orbiter dotato di una sonda atmosferica da rilasciare verso Urano o una delle sue lune, in maniera molto simile a quanto avvenne con l’orbiter Cassini, che rilasciò il lander Huygens verso la superficie della luna saturniana Titano. Come per Huygens, che venne costruito dall’ESA, anche per la sonda atmosferica di UOP si spera in una collaborazione tra la NASA ed altre agenzie spaziali.
La prolungata permanenza attorno ad Urano permetterebbe anche di effettuare multipli flyby dei suoi satelliti, in maniera molto simile a come operarono Galileo e Cassini attorno – rispettivamente – a Giove e Saturno.
Gli obiettivi primari riguarderebbero lo studio di:
- Origine, composizione interna ed atmosferica
- Magnetosfera
- Lune ed anelli
L’atmosfera di Urano – studiandone i suoi elementi principali ed alcuni isotopi – potrebbe aiutarci a definire con precisione le circostanze nelle quali Urano e Nettuno sono nati e si sono evoluti. Definire la storia antica dei giganti ghiacciati aiuterebbe a comprendere meglio le fasi primordiali dell’intero Sistema Solare. Tali studi verrebbero condotti da uno strumento innovativo, un Doppler Imager, in grado di scrutare l’atmosfera a diverse profondità. [3]
L’enorme distanza dal Sole non permetterebbe di utilizzare pannelli solari per l’alimentazione dell’orbiter. La radiazione solare, che sulla Terra vale 1370 W/m2, cala con il quadrato della distanza dal Sole e su Urano si attesta su 4 W/m2, troppo pochi per generare la potenza elettrica richiesta. Sarebbe dunque necessario ricorrere ai Generatori Termoelettrici a Radioisotopi, probabilmente del tipo eMMRTG (enhanced Multi Mission RTG). [3]
Altro punto critico sarà la trasmissione dei dati da e verso Urano, aspetto sul quale le stime prevedono un download tra 0.37 e 0.52 gigabit al giorno. Anche nella migliore delle ipotesi, tale valore sarebbe appena un quinto di quello previsto per la sonda Europa Clipper, che opererà in ambiente gioviano. [3]
Il contributo scientifico dato da una missione con orbiter verso Urano sarebbe incalcolabile. Inoltre, data la similarità tra questi due corpi celesti, UOP permetterebbe di rispondere anche a molti quesiti riguardanti Nettuno.
Opportunità di lancio | Flyby gravitazionali | Arrivo |
Maggio 2031 | Venere 2034 | Maggio 2043 |
Nel caso si mancasse questa opportunità, vi sono opportunità annue fino al 2038, che però richiedono multipli gravity assist nel Sistema Solare interno, con un incremento della massa utile a 5900 kilogrammi e – congiuntamente – anche della durata del viaggio fino a 15 anni.
Se confermata, UOP entrerà a far parte delle missioni Flagship, vale a dire quella ristretta cerchia che comprende le missioni più costose, ambiziose e strategiche della NASA. Il suo costo è stimato in circa 4.2 miliardi di dollari, molto simile ad altre missioni dello stesso tipo.
Agenzia Spaziale Cinese – Neptune Explorer Orbiter
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La proposta più promettente per una missione che interessi Nettuno viene dalla Cina. Il progetto è stato esposto dall’agenzia spaziale cinese CNSA, in congiunzione con la Chinese Academy of Sciences, la China Academy of Space Technology e la China Atomic Energy Authority, oltre ad una moltitudine di università ed istituti cinesi.
Come UOP, anche questa missione necessiterà di generatori termoelettrici a radioisotopi, in grado di garantire potenza elettrica per non meno di 15 anni in maniera continuativa ed affidabile. [7] Già superando l’orbita di Giove, i pannelli solari sono praticamente inutili per via della scarsissima quantità di radiazione solare che possono raccogliere. Attorno a Nettuno, tale valore scende ad 1.5 W/m2, un valore che è circa un millesimo di quanto disponibile attorno alla Terra.
In termini pratici, per questa missione, si propone un RTG in grado di fornire 10 kWe a piena potenza per otto anni e 2 kWe a potenza ridotta per ulteriori sette anni. [7]
Gli obiettivi principali possono essere così riassunti [7]:
- determinazione della struttura interna e della composizione di Nettuno, al fine di comprendere come mai le sue dimensioni siano inferiori a Saturno, seppure la sua densità sia più che doppia.
- indagine dell’atmosfera di Nettuno, per studiarne le differenze rispetto a quella di Urano, con particolare attenzione ai giganteschi uragani ed alle macchie che popolano la sua atmosfera.
- approfondimento della magnetosfera e della ionosfera. Nettuno, come Urano, ha l’asse magnetico molto inclinato (47°) rispetto all’asse di rotazione ed è spostato rispetto al centro planetario di circa mezzo raggio nettuniano. [2]
- studio delle lune, degli anelli e dei satelliti, troiani compresi.
I troiani sono particolari satelliti che condividono l’orbita di un pianeta attorno al Sole, ma lo anticipano o lo seguono, concentrandosi attorno ai punti lagrangiani L4 ed L5.
Come per la Uranus Orbiter and Probe, sembra che anche la missione cinese verrà equipaggiata con almeno una sonda atmosferica da rilasciare. Sono attualmente in fase di valutazione una Neptune Atmospheric Probe, dedicata all’atmosfera nettuniana ed una Triton Penetration Probe, per analizzare la crosta della luna più importante. [7]
I dettagli riguardo le date di lancio sono pochissimi. Si sa solo che la prima opportunità sarebbe nel 2030 e, grazie ad un gravity assist di Giove e all’impiego di propulsione elettrica, l’arrivo sarebbe previsto nel 2038.
Una particolarità comune ad eventuali future missioni verso i confini del Sistema Solare esterno è il loro potenziale contributo allo studio delle onde gravitazionali. Conoscendo infatti con estrema precisione la frequenza portante, si possono misurare le più piccole variazioni rispetto ad essa e ricondurre questi cambiamenti a passaggi di onde gravitazionali. [8]
Nel settore delle telecomunicazioni, la frequenza portante è definita come la frequenza dell’onda che trasporta un segnale per trasmettere le informazioni.
Tali misurazioni, data la posizione relativa tra Terra, Sole e sonda, potrebbero avvenire in periodi di 6-8 settimane l’anno. Possono sembrare poche, ma su una crociera interplanetaria di dieci anni o più, il tempo di osservazione diventerebbe considerevole. [8]
Il grosso vantaggio di questo approccio risiede nel fatto che non è necessario installare a bordo nessun componente aggiuntivo. Le misurazioni sfrutterebbero la presenza a bordo di uno strumento a effetto Doppler, spesso presente sulle sonde in quanto necessario a valutare i campi gravitazionali planetari. L’unica difficoltà risiederebbe nella precisione richiesta per apprezzare le infinitesimali variazioni della portante. [8]
Decadal Survey – Neptune/Triton Odissey
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Sempre nel Decadal Survey, trova posto una proposta di missione di tipo Flagship relativa alla coppia Nettuno/Tritone, con un costo stimato in 3.4 miliardi di dollari. Tuttavia, per motivi prettamente logistici che saranno esposti successivamente, ha ricevuto priorità inferiore rispetto a Uranus Orbiter and Probe.
La massa della sonda principale sarebbe di poco superiore ai 3800 kg e la potenza elettrica deriverebbe da tre Next Generation RTG, alimentati da 28.8 kilogrammi di Plutonio. [9]
La missione scientifica durerebbe quattro anni, durante i quali la sonda effettuerebbe un “Triton Tour”, ovvero una serie di 46 flyby della luna al fine di mapparne l’intera superficie. Per permettere di concentrarsi primariamente sul satellite, l’orbita sarebbe retrograda rispetto a Nettuno, ma concorde rispetto a Tritone stesso. La gravità di Tritone permetterebbe ad ogni flyby di modificarne l’orbita a costo quasi nullo in termini di propellente. [9]
Trenta giorni prima dell’inserimento in orbita nettuniana, avverrebbe il rilascio di una sonda atmosferica del peso di 270 kilogrammi, diretta verso il pianeta e che avrebbe l’obiettivo di sopravvivere fino al raggiungimento dei 10 bar di pressione. Il tempo operativo stimato per questa sonda è di appena 37 minuti, che potrebbero però generare dati di valore inestimabile e cambiare per sempre la nostra comprensione dei giganti ghiacciati. [9]
La conclusione della missione principale, invece, avverrebbe sulle note del Grand Finale di Cassini. Si prevedono infatti flyby successivi e sempre più ravvicinati di Nettuno, all’interno del più interno degli anelli, fino a distruggersi nella sua atmosfera. [9]
Gli obiettivi primari interesserebbero [9]:
- la composizione interna e la formazione dell’atmosfera dei giganti ghiacciati, soprattutto in ottica di ricerca esoplanetaria. Ricordiamo che i “nettuniani” costituiscono una buona fetta degli esopianeti finora scoperti.
le cause del particolare campo magnetico nettuniano e delle sue aurore. - i collegamenti tra gli anelli di Nettuno, i suoi satelliti più interni e l’evoluzione orbitale di Tritone.
- la presenza di un oceano sotterraneo su Tritone, lo studio della sua attività geologica e della sua atmosfera.
- la composizione e la geofisica di Tritone, per estendere le attuali conoscenze sui pianeti nani come Plutone.
La logistica orbitale sarebbe la più complessa tra quelle viste finora. La prima opportunità cadrebbe nel 2031 e permetterebbe di sfruttare un gravity assist di Giove per arrivare a Nettuno nel 2043. La seconda opportunità si avrebbe nel 2033, ma richiederebbe un’iniezione diretta in una crociera verso Nettuno, senza assist da Giove. L’arrivo sarebbe nel giugno 2049. [9]
Si sta valutando di adoperare un SLS Block 2 con un terzo stadio Centaur posizionato nel fairing. In alternativa si potrebbe ricorrere al Falcon Heavy, ma ciò obbligherebbe all’impiego di uno stadio aggiuntivo con propulsione elettrica. [9]
“In un certo senso, esplorare il Sistema Solare è come costruire cattedrali nel Medioevo: è un processo che richiede generazioni. Se i piani presentati nel report si avvereranno, quasi sei decenni saranno passati tra i flyby della Voyager 2 e la prossima visita”.
Van Kane.
Fonti:
[1]: https://physicsworld.com/a/things-we-dont-know-about-uranus-and-neptune/
[2]: https://www.nature.com/articles/d41586-020-00619-y
[3]: https://futureplanets.blogspot.com/2017/06/how-we-would-explore-uranus-or-neptune.html
[4]: https://www.planetary.org/articles/20170706-how-we-would-explore-uranus-or-neptune
[5]: https://www.planetary.org/worlds/uranus
[6]: https://www.planetary.org/worlds/neptune
[7]: https://scitechdaily.com/chinas-nuclear-powered-mission-to-neptune/
[8]: https://physicsworld.com/a/next-generation-planetary-missions-could-hunt-for-gravitational-waves-say-astronomers/
[9]: https://neptuneodyssey.jhuapl.edu/files/Neptune%20Odyssey.pdf
[10]: https://link.springer.com/article/10.1007/s11214-020-00660-3
[11]: https://www.cosmos.esa.int/documents/1866264/3219248/GuillotT_esa_whitepaper.pdf/81e573e7-86dc-854b-2b5a-4259ee56995a?t=1565184638190
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