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| On 2 anni ago

I dati del James Webb sono “troppo precisi”: servono nuovi modelli per interpretarli

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Oltre a rivelare l’Universo con una chiarezza senza precedenti, il telescopio spaziale James Webb sta osservando più lontano che mai. La sua visione a infrarossi ultra nitida riesce a oltrepassare la polvere cosmica e illuminare alcune delle prime strutture dell’Universo.

Tuttavia, un nuovo studio del MIT (Massachussets Institute of Tecnology) suggerisce che gli strumenti normalmente utilizzati dagli astronomi per decodificare i segnali luminosi potrebbero non essere sufficienti per interpretare con precisione i dati del nuovo telescopio. In particolare, i modelli di opacità (che modellano il modo in cui la luce interagisce con la materia) potrebbero necessitare di una significativa messa a punto per poter corrispondere alla precisione dei dati di Webb.

Se questi modelli non venissero perfezionati, rimarrebbero non all’altezza della precisione e della qualità dei dati in arrivo dal Webb. Ciò significa che tutti gli studi di ricerca basati sulla riduzione dei dati grezzi potrebbero portare a risultati non veritieri. Per esempio, le proprietà delle atmosfere planetarie, come la temperatura, la pressione e la composizione elementare, potrebbero essere sbagliate di un ordine di grandezza.

Luce e materia: i modelli di opacità

L’opacità è una misura della facilità con cui i fotoni di luce attraversano un materiale. A determinate lunghezze d’onda, i fotoni possono passare direttamente attraverso la materia ed essere assorbiti o riflessi, a seconda di come (e se) interagiscono con determinate molecole all’interno del materiale. Questa interazione dipende anche dalla temperatura e dalla pressione del materiale stesso.

Un modello di opacità è uno strumento che funziona sulla base di varie ipotesi su come la luce interagisce con la materia. Gli astronomi usano i modelli di opacità per ricavare alcune proprietà di un materiale, conosciuto lo spettro di luce che il materiale emette. Nel contesto degli esopianeti, per esempio, un modello di opacità può decodificare il tipo e l’abbondanza di sostanze chimiche nell’atmosfera di un pianeta, in base alla radiazione proveniente dal pianeta catturata da un telescopio.

De Wit afferma che l’attuale modello di opacità ha svolto un discreto lavoro di decodifica dei dati spettrali rilevati da strumenti come quelli del telescopio spaziale Hubble. Il vero problema, tuttavia, è che Hubble osservava nella lunghezza d’onda dell’ottico e dell’UV. Il Webb invece ha fatto un passo successivo: oltre ad essere estremamente preciso, va oltre la polvere, quindi parte dell’opacità che i modelli considerano lui la supera già solo osservando. Come tradurre, quindi, i suoi dati?

Le modifiche ai modelli per comprendere i dati di Webb

Nella ricerca di De Wit e colleghi, gli scienziati hanno messo alla prova il modello di opacità più comunemente utilizzato. Hanno quindi cercato di capire quali proprietà atmosferiche avrebbe ottenuto il modello se fosse stato modificato in modo da assumere alcune limitazioni nella nostra comprensione di come la luce e la materia interagiscono. I ricercatori hanno creato otto modelli “perturbati”. Hanno poi alimentato ogni modello, compresa la versione reale, con spettri sintetici, modelli di luce simulati dal gruppo e simili alla precisione con cui vedrebbe il telescopio James Webb.

La seguente immagine mostra un confronto degli spettri sintetici di trasmissione di un pianeta gioviano caldo per un’osservazione combinata a banda larga di NIRSpec (Near InfraRed Spectrometer) e di MIRI (Mid-InfraRed Instrument) del Webb per i diversi modelli di opacità utilizzati in questa analisi. In basso si osservano differenze non casuali con ampiezze che vanno da 20 a 150 ppm (part per million) rispetto al modello non perturbato.

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Credits: Niraula et al. 2022

Così facendo, gli scienziati hanno scoperto che, sulla base degli stessi spettri di luce, ogni modello perturbato produceva previsioni molto diverse sulle proprietà dell’atmosfera di un pianeta. Il team ha concluso che se i modelli di opacità esistenti venissero applicati agli spettri di luce rilevati dal Webb, non sarebbero abbastanza sensibili da dire se un pianeta ha una temperatura atmosferica di 300 K (Kelvin) o 600 K, o se un certo gas occupa il 5% o il 25% di uno strato atmosferico. Una differenza decisamente sostanziale, importante per poter vincolare i meccanismi di formazione dei pianeti e identificare in modo affidabile possibili caratteristiche biologiche.

Modelli sbagliati, o risultati imprecisi?

I risultati delle simulazioni mostrano che ogni modello ha prodotto un “buon adattamento” ai dati, il che significa che anche se un modello perturbato ha prodotto una composizione chimica errata, ha anche generato uno spettro di luce da quella composizione chimica che era abbastanza simile allo spettro originale. Questo crea confusione: se un modello sbagliato è comunque adattabile alle nuove esigenze dettate dal Webb, che siano i modelli a non essere adeguati, o è ciò che dicono a risultare impreciso? Questo è ciò che De Wit, i suoi colleghi e gli altri esperti del settore dovranno comprendere.

Al momento, i ricercatori avanzano alcune idee su come migliorare i modelli di opacità esistenti. C’è tuttavia necessità di ulteriori misure di laboratorio e calcoli teorici per affinare le ipotesi dei modelli sulle modalità d’interazione tra la luce e le varie molecole. Se pensiamo di sapere abbastanza bene ciò che riguarda le condizioni sulla Terra, dobbiamo tener conto che spostandoci su diversi tipi di atmosfere, le cose cambiano.

Lo studio, pubblicato su Nature Astronomy, è reperibile qui.

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