AGGIORNAMENTO: Il tentativo di lancio di Artemis 1 non è più possibile nel Launch Period di inizio agosto. Per ora il nuovo periodo possibile di lancio consigliato è nella prima metà di ottobre. La situazione potrebbe evolvere e cambiare in fretta, in base ai risultati delle analisi sul problema rilevato durante il secondo tentativo del 3 settembre. Per tutti gli aggiornamenti, consigliamo l’iscrizione al sul canale Telegram o alla nostra pagina Facebook.
In questi giorni siamo in trepidante attesa della missione Artemis 1, che darà inizio al programma di esplorazione lunare Artemis. Ancora di più considerando che all’interno del razzo SLS, che lancerà la capsula Orion verso la Luna, ci saranno 10 piccoli satelliti, i CubeSats. Solo uno di questi è europeo, e italiano: si chiama ArgoMoon, costruito da Argotec, azienda italiana con sede principale Torino.
Abbiamo intervistato David Avino, il CEO e fondatore di Argotec, all’interno dei laboratori torinesi in cui il satellite che volerà sulla Luna è stato ideato, costruito, integrato e testato prima di essere spedito negli USA.
Qual è l’obiettivo di ArgoMoon?
ArgoMoon è un satellite di circa 30x20x10 centimetri e 15 kg, con lo scopo di essere rilasciato in quello che tecnicamente viene chiamato primo bus stop, cioè alla prima fermata, a circa 27mila km di distanza dalla Terra, mentre ricordiamo che la Luna è a circa 385.000 km. Noi veniamo rilasciati dal secondo stadio del razzo SLS, chiamato ICPS, e saremo i primi dei 10 CubeSats a bordo ad essere rilasciati.
Innanzitutto, appena veniamo rilasciati, si deployano i pannelli solari e accendiamo i nostri computer di bordo (le batterie daranno loro elettricità). Cerchiamo di capire dove siamo, in che posizione, in uno spazio già molto lontano, profondo, tutto buio. Grazie alle due fotocamere, cominceremo a fare una ricerca del secondo stadio, ICPS, che in quella fase di missione non ha più telemetria. Quindi è fondamentale, anche per la NASA, riuscire a validare quella che è la vita del secondo stadio.
Ci avvicineremo a circa 500 metri. Dobbiamo rimanere a una certa distanza, perché nel frattempo verranno espulsi, in vari bus stop, gli altri satelliti di piccole dimensioni che sono portati all’interno del ring di ICPS. Il nostro scopo è quello di fare una serie di immagini fotografiche e aiutare i nostri colleghi della NASA a ricevere queste immagini per validare la missione stessa.
Il satellite è costruito grazie a una collaborazione di una serie di enti italiani…
Innanzitutto, dobbiamo ricordare il nostro cliente principale, che ha collaborato con noi e ci ha supportato: l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Noi siamo gli unici europei a bordo: grazie all’azione di grandissima collaborazione che l’Italia ha direttamente con gli Stati Uniti, noi siamo stati selezionati, prima da ASI, dall’ESA e quindi dalla NASA. Poi c’è un’altra serie di aziende fondamentali (i nostri partner, che noi chiamiamo la nostra supply chain) ci ha aiutato in varie parti all’interno del nostro satellite.
Come funzionano le due camere? Di che tipologia sono?
Ci sono una camera un po’ più grande, con un campo visivo (field of view) molto ristretto, circa 4 gradi, e una camera più piccola, ma che in realtà ha un campo visivo molto più ampio. Hanno due funzioni diverse. Nel momento in cui noi veniamo espulsi, come si diceva, accendiamo i computer di bordo e cerchiamo di capire dove siamo attraverso tutta una serie di sistemi, compreso un laser per misurare la distanza. Poi dovremo fare quella che noi chiamiamo la blind search, cioè riuscire a capire nello stesso momento ICPS dov’è finito. Questo è il compito principale della camera che ha un campo visivo più grande, da lontano scandaglia lo spazio per riuscire a intercettare dove siamo, ma soprattutto dov’è il nostro target, ICPS.
Nel momento in cui è stato identificato ICPS, grazie a imagine recognition e una certa navigazione autonoma di cui abbiamo dotato i nostri computer di bordo, riusciamo ad avvicinarci a quello che è il nostro target. Allora, come in un passaggio di staffetta, il testimone viene dato alla seconda camera che ha più alta risoluzione, e quindi andrà a fotografare dei particolari che ci interessano.
Questo è permesso anche da un software che avete sviluppato voi, giusto?
È assolutamente fondamentale e molto importante. La piattaforma è una piattaforma intelligente, in cui noi abbiamo creato tutta una serie di applicativi, quindi di software, che girano sul nostro computer di bordo. Ricordiamo che noi siamo molto lontano dalla Terra, quindi le radiazioni vanno in qualche modo a inficiare le funzionalità principali. Quindi noi abbiamo un hardware (un computer di bordo) che è stato studiato, ingegnerizzato e creato qui all’interno di Argotec, idoneo ad andare anche molto lontano nello spazio. Allo stesso tempo abbiamo dovuto creare un software che riuscisse anche a fare:
- Riconoscimento di immagini, attraverso machine learning. È stato addestrato a Terra, secondo tutta una serie di criteri e di algoritmi.
- Navigazione, perché noi quando riconosciamo il target dobbiamo puntarlo. La navigazione viene poi garantita grazie al sistema di propulsione, quindi agli imput che vengono elaborati dal nostro computer di bordo e che poi finiscono, tramite l’Attitude Determination Control System direttamente al sistema di propulsione, che darà una spinta o meno per direzionare il nostro satellite verso il target.
Queste immagini le vedremo in diretta oppure dovremo aspettare?
Queste immagini non potranno essere viste in diretta. Verranno scattate dal nostro satellite e poi potremo anche vederle, ma ci vorrà forse qualche ora.
Il motivo principale è che noi poi dobbiamo avere copertura dalle Ground Stations, dalle antenne del Deep Space Network, alle quali siamo collegati grazie al nostro centro di controllo che si trova proprio qui, in Argotec. Grazie a questo collegamento noi riceveremo la telemetria e quindi i dati di queste immagini, attraverso il nostro centro di controllo. Parliamo di ore.
Recentemente si è parlato del fatto che alcuni Cubesat potrebbero avere le batterie scariche dopo quasi un anno chiusi nel secondo stadio di SLS. ArgoMoon potrebbe avere problemi di carica?
Possiamo dire no. Nel senso che il nostro satellite è vero che è stato consegnato già da molto tempo (è più di un anno che è stato integrato all’interno del secondo stadio, quindi di ICPS), ma è stato caricato nel tempo. Nelle settimane scorse abbiamo verificato lo stato di carica e abbiamo un go anche dalle nostre batterie per cominciare la nostra missione. È chiaro che ci sono anche una serie di sistemi, come ad esempio il ring della parte di propulsione, che sono stati attenzionati nel tempo per essere sicuri che non perdessero le loro caratteristiche fisiche principali.
Quali sono le principali differenze fra ArgoMoon e LICIACube?
Ci sono alcune principali differenze sulle camere. Avevamo detto che su ArgoMoon abbiamo una camera con un field of view stretto, un’altra con un field of view molto più largo. In LICIACube abbiamo sempre due camere con un field of view di 4 e 10 gradi, quindi una risoluzione maggiore in entrambe le fasi della missione.
Sono state studiate e messe a bordo proprio in base al tipo di missione. LICIACube è a bordo della sonda Dart della NASA che avrà lo scopo di andare ad intercettare un asteroide a 11 milioni di km dalla Terra, quindi siamo veramente molto molto lontani. Considerate che questo è l’oggetto costruito interamente in Italia che andrà più lontano, anzi, che è già adesso il più lontano nello spazio (adesso è a circa 9-10 milioni di km di distanza dalla Terra, in questi giorni). Il 26 settembre ci sarà lo scontro e noi verremo rilasciati circa 15 giorni prima, quindi l’11 settembre, fra pochi giorni.
Quando questa sonda si andrà a scontrare contro l’asteroide, noi l’avremo seguita per 15 giorni e la camera con un field of view particolare e alta risoluzione andrà a intercettare tutto uno sciame di detriti che verranno rilasciati durante l’impatto. Abbiamo bisogno di una camera così particolare perché la comunità scientifica vuole analizzare i detriti che vengono espulsi dall’asteroide stesso. E capire anche, eventualmente, la composizione dell’asteroide.
Quali sono le principali sfide di andare oltre l’orbita terrestre?
Sicuramente è una bella sfida. Diciamo che questi sono satelliti completamente diversi dai satelliti che vengono utilizzati nelle orbite basse e terrestri (quelli in qualche modo possiamo controllarli molto di più). Nel satellite di cui parlavamo prima, quello che andrà così lontano dalla Terra a 11 milioni di km, abbiamo circa 36 secondi di ritardo fra quando mandiamo un comando e quando viene poi attuato dal computer di bordo. Quindi anche i software devono in qualche modo guidare in modo autonomo il nostro satellite. Come si diceva già prima su ArgoMoon.
L’altra sfida principale è che andando sempre più lontano dalla Terra, aumenta l’impatto delle radiazioni che abbiamo sui nostri computer di bordo, sull’elettronica. Quindi bisogna creare dei sistemi che in qualche modo siano belli robusti. Questo viene già affrontato sui satelliti di grandi dimensioni, cercando di creare sempre delle ridondanze. Se abbiamo un computer che in qualche modo sarà molto esposto alle radiazioni, o comunque allo spazio profondo, si mette un altro computer. Ma su volumi molto ridotti come in un satellite così piccolo come ArgoMoon è difficile creare delle continue ridondanze per tutti i sistemi di bordo. Quindi si agisce sulla componentistica che viene utilizzata, sui sistemi di progettazione e anche sul software stesso, che in qualche modo vada eventualmente a fare una detection di sensoristica che potrebbe dare dei segnali non completamente corretti.
Come pensa che si evolverà in futuro l’esplorazione lunare e interplanetaria grazie ai CubeSats?
È qualcosa a cui qui in Argotec abbiamo sempre pensato. La piattaforma che abbiamo creato fin dall’inizio è stata ingegnerizzata e studiata per poter andare molto lontano dalla Terra.
L’evoluzione è sicuramente un sempre maggior utilizzo di questi CubeSats. Quindi non come una volta che erano utilizzati solo a livello educational, all’università, per far testare e insegnare ai giovani studenti di ingegneria o di altre facoltà come affrontare la progettazione. In questo caso, noi stiamo immaginando, ed è per questo motivo che la nostra piattaforma è stata progettata così robusta, di cercare di andare molto lontano nello spazio. Classico esempio, costellazione di satelliti attorno alla Luna per le telecomunicazioni, fatta anche con satelliti di piccole dimensioni. Oppure, anche se noi portiamo questi satelliti più vicino alla Terra e facciamo delle costellazioni attorno alla Terra, possiamo fornire dei servizi sempre più affidabili. Per le telecomunicazioni, ma nello stesso momento anche per l’osservazione della Terra stessa.
Perché è importante? Perché in questo modo riduciamo i costi (questi satelliti hanno un costo molto diverso rispetto ai satelliti immensi). Riduciamo anche il rischio stesso, perché nel momento in cui ci dovesse fallire un satellite di grandi dimensioni con dei costi molto importanti; invece, qui abbiamo costellazioni che in qualche modo vanno a bilanciare quello che può essere il rischio.
Questa costellazione in orbita lunare è un progetto che state già costruendo?
Assolutamente sì. Ci stiamo lavorando da più di tre anni. È un progetto abbastanza reale, che speriamo di vedere nel più breve tempo possibile volare attorno alle orbite lunari.
Ringraziamo molto Argotec e il CEO David Avino per averci ospitato in azienda a Torino e risposto alle nostre domande. Ora non ci resta che aspettare il lancio di Artemis 1 e di ArgoMoon, per vedere le incredibili immagini che scatterà al secondo stadio di SLS. Argotec terrà un evento live per seguire il lancio di SLS e del loro satellite ArgoMoon che si potrà seguire anche sui loro canali social.
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