Il tasso di formazione stellare complessivo della nostra Galassia non è alto, questo gli astronomi lo sanno da tempo. Tuttavia nel nucleo centrale della Via Lattea, corrispondente alle regioni a circa 1300 anni luce intorno al buco nero supermassiccio Sagittarius A*, i tassi di formazione stellare negli ultimi 100 milioni di anni sono stati dieci volte superiori alla media. Il nucleo della nostra galassia è produttivo come una galassia starbursts, o come le galassie iperproduttive di dieci miliardi di anni fa.
Con l’aiuto di osservazioni dettagliate nell’infrarosso, gli scienziati sono ora riusciti a dare un primo sguardo rappresentativo alle numerose giovani stelle nel nucleo galattico. Le osservazioni forniscono la prova che la formazione stellare è iniziata vicino al centro della Via Lattea e si è poi sviluppata verso l’esterno.
Le stelle del nucleo galattico e le sfide osservative
Viste dalla Terra, le stelle appartenenti al nucleo galattico sono nascoste dietro una grande quantità di polvere. Questo problema però è facilmente risolvibile, utilizzando osservazioni a infrarossi, onde millimetriche o radio. A queste lunghezze d’onda, la luce passa attraverso la polvere, permettendoci di vedere il centro galattico.
Risolto il primo problema, se ne presenta un altro: il centro galattico è così affollato di stelle che è difficile distinguerle. Fanno eccezione alcune giganti molto luminose, che si distinguono dalla massa e possono quindi essere separate dalle vicine con facilità. Prima della nuova analisi qui descritta, gli astronomi avevano trovato solo circa il 10% della massa stellare totale prevista nel centro galattico, in due ammassi stellari massicci e alcune giovani stelle isolate. Dov’erano dunque tutte le altre stelle e quali erano le loro proprietà?
Il nuovo censimento stellare nell’infrarosso con HAWK-I
Francisco Nogueras-Lara, ricercatore indipendente Humboldt nel gruppo Lise Meitner di Nadine Neumayer presso il Max Planck Institute for Astronomy (MPIA), e il loro collega Rainer Schödel presso l’Instituto de Astrofísica de Andalucía a Granada, in Spagna, si trovavano in una posizione unica per trovare le giovani stelle mancanti nel centro galattico.
Schödel è infatti il Principal Investigator (PI) di GALACTICNUCLEUS, un’indagine che ha utilizzato la camera a infrarossi HAWK-I del Very Large Telescope (VLT) per scattare quasi 150 immagini (nelle bande J, H e K dell’infrarosso) della regione centrale della Via Lattea, coprendo un’area totale di 64.000 anni luce quadrati intorno al centro galattico. Nogueras-Lara ha guidato la ricerca.
Per identificare le singole stelle in una regione affollata come il nucleo galattico è necessaria un’alta risoluzione. Il VLT è composto da telescopi con specchi di 8 metri. Con un metodo noto come imaging olografico, che combina diverse immagini a breve esposizione per mitigare gli effetti di sfocatura dell’atmosfera terrestre, l’indagine è riuscita a mappare la sua regione target nel modo più dettagliato di sempre, con una risoluzione di 0,2 secondi d’arco. Dove in precedenza erano state mappate solo alcune manciate di stelle, GALACTICNUCLEUS ha fornito dati individuali per 3 milioni di astri.
Il nucleo galattico ospita diverse fasi di formazione stellare
Esaminando le immagini di GALACTICNUCLEUS, i ricercatori hanno immediatamente notato che la regione del centro galattico nota come Sagittarius B1 era diversa. Essa contiene un numero considerevolmente maggiore di stelle giovani, che ionizzano il gas circostante, rispetto ad altre regioni. Con le nuove osservazioni, Nogueras-Lara e i suoi colleghi sono stati in grado per la prima volta di studiare in dettaglio le stelle di Sagittarius B1.
In particolare, poiché tutte le stelle di Sagittarius B1 si trovano circa alla stessa distanza dalla Terra e la distanza tra la Terra e il centro galattico è nota, gli astronomi sono riusciti a ricostruire la luminosità di ogni stella. Si tratta della luminosità intrinseca, che corrisponde alla quantità di luce emessa da una stella per unità di tempo. In questo modo hanno potuto studiare la distribuzione statistica della luminosità stellare per quelle stelle, ovvero contare quante stelle c’erano in ogni range di luminosità. Analizzandola, Nogueras-Lara, Schödel e colleghi hanno scoperto che sono presenti diverse fasi di formazione stellare in Sagittarius B1:
- Una popolazione più vecchia, formatasi circa 7 miliardi di anni fa. La sua presenza potrebbe indicare che la formazione stellare nel nucleo centrale è iniziata nella regione più interna e poi si è diffusa nelle regioni esterne. Per altre galassie era già stato osservato questo meccanismo di formazione del cosiddetto disco nucleare, un disco su piccola scala composto da stelle che circonda il centro galattico.
- Una cospicua popolazione di stelle molto più giovani, di appena 10 milioni di anni o addirittura meno. Esse hanno una massa totale di oltre 400.000 masse solari. Si tratta di una massa quasi dieci volte superiore alla massa combinata dei due ammassi stellari massicci precedentemente conosciuti nella regione centrale.
Ricostruire la storia delle stelle nella Via Lattea
Molte stelle trovate dai ricercatori in Sagittarius B1 sono isolate e non fanno parte di un ammasso massiccio. Ciò suggerisce che siano nate in una o più associazioni stellari meno vincolate dalla gravità reciproca, che poi si sono rapidamente dissolte durante l’orbita intorno al centro galattico su scale di diversi milioni di anni, lasciando dietro di sé molte stelle separate. Sebbene questo risultato si riferisca in primo luogo a Sagittarius B1, potrebbe anche spiegare molto più in generale perché le giovani stelle nel centro galattico possono essere trovate solo da studi ad alta risoluzione come il presente lavoro: esse sono nate in associazioni libere che si sono poi disperse in stelle separate.
Tuttavia, per la ricostruzione della storia della formazione stellare e per l’evoluzione generale del nucleo galattico, gli astronomi sono desiderosi di porre le loro deduzioni su basi più solide delle osservazioni nell’infrarosso di HAWK-I. Nogueras-Lara e i suoi colleghi hanno in programma di seguire le loro osservazioni con lo strumento KMOS del VLT, uno spettrografo di alta precisione. Le osservazioni spettrali permetterebbero agli astronomi di identificare direttamente alcune delle stelle molto giovani, dall’aspetto dei loro spettri. Si tratterebbe di un’importante verifica incrociata dei risultati ora pubblicati.
Lo studio, pubblicato su Nature Astronomy, è disponibile qui.
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