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| On 2 anni ago

8 Luglio 2011, lo Space Shuttle vola per l’ultima volta

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L’8 luglio 2011, alle 11.29 ora della Florida, lo Space Shuttle Atlantis si alzò da Terra per l’ultima volta, spinto dai potenti booster a propellente solido e dai tre RS-25 a idrogeno ed ossigeno liquidi. Iniziava così la 135esima ed ultima missione dello Shuttle, anche nota come ISS Assembly Flight ULF7. L’equipaggio era così composto: Comandante Cristopher Ferguson; Pilota Douglas Hurley; Specialista di Missione Sandra Magnus; Specialista di Missione Rex Walheim.

A bordo vi erano soprattutto provviste ed equipaggiamenti per la ISS, che ne avrebbero garantito l’operatività fino all’anno successivo. L’Atlantis rimase in orbita terrestre per dodici giorni, di cui quasi nove attraccato alla Stazione Spaziale.

La mattina del rientro, il 21 luglio, effettuò la manovra di deorbit sopra la Malesia per poi atterrare alle 5.57, ora della Florida. Quando l’orbiter si fermò, sulla pista 15 del Kennedy Space Center, il Comandante Ferguson disse: “Missione compiuta, Houston. Dopo aver servito il mondo per oltre 30 anni, lo Shuttle si è guadagnato il suo posto nella storia e si è fermato per l’ultima volta.”

I numeri del programma Shuttle

Nei suoi 30 anni di onorata carriera, lo Shuttle ha senza dubbio fatto la storia dell’esplorazione umana (e non) dello spazio. Ecco alcuni numeri che aiutano a quantificare tutto ciò. Gli Shuttle hanno volato nello spazio per un totale di 1323 giorni, compiendo più di 21mila orbite attorno al nostro pianeta per circa 540 milioni di miglia percorse.

Hanno avuto l’onore e l’onere di volarci ben 355 astronauti, 306 uomini e 49 donne, provenienti da 16 nazioni diverse. Tra questi anche gli italiani Paolo Nespoli, Roberto Vittori, Franco Malerba, Umberto Guidoni e Maurizio Cheli. Nel corso delle sue 135 missioni, il carico utile immesso nello spazio ha superato le 1500 tonnellate.

E’ dunque innegabile che lo Shuttle abbia cambiato il paradigma dell’esplorazione spaziale, avvicinando di fatto lo spazio alla Terra. La sua carriera ha avuto inizio al termine del programma Apollo, per terminare all’alba delle compagnie spaziali private, attraversando tre decenni di storia. Fondamentale poi è stato il suo contributo alla costruzione della Stazione Spaziale, così come alla messa in opera di missioni del calibro di Hubble.

L’Atlantis dopo l’atterraggio dell’ultima missione Shuttle. Credits foto: NASA

Tutti gli Shuttle costruiti

Durante l’era Space Shuttle sono stati costruiti sei orbiter, uno dei quali (Enterprise) utilizzato per i test in atmosfera e dunque non qualificato per raggiungere lo spazio. Originariamente la NASA prevedeva di utilizzare solo quattro navicelle: Columbia, Challenger, Discovery ed Atlantis.

Tuttavia, a seguito del disastro del Challenger del 1986, l’Agenzia Spaziale Americana commissionò un quinto orbiter, battezzato Endeavour e che volò per la prima volta nel 1992. Il Challenger, disintegratosi durante il lancio a causa del cedimento di un O-Ring dei booster a propellente solido, non fu purtroppo l’unico Shuttle a portare con sé delle vite umane.

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Nel 2003, il Columbia si distrusse durante il rientro atmosferico a causa di un danno al sistema di protezione termica occorso nelle fasi di lancio. Sono quattordici gli astronauti ad aver perso la vita negli unici due fallimenti del programma. Gli ultimi tre orbiter rimasti sono naturalmente diventati dei pezzi da museo:

  • Il Discovery, che possiede anche il record di missioni (39), è attualmente custodito allo Steven F. Udvar-Hazy Center, in Virginia
  • L’Atlantis è invece rimasto in Florida, al Kennedy Space Center, dove è esposto con il vano cargo aperto ed il Canadarm esteso
  • L’Endeavour, dal canto suo, riposa all’altra estremità degli USA, al California Science Center di Los Angeles.

Uno stop all’accesso americano allo spazio

Con l’atterraggio dell’Atlantis, quella mattina di luglio del 2011, non ebbe fine solo il programma Shuttle. Quando la navicella si fermò sulla pista 15 del Kennedy Space Center, venne meno anche la capacità statunitense di lanciare i propri astronauti con i propri razzi.

In previsione di ciò, la NASA attivò il cosiddetto CCP – Commercial Crew Program – tramite il quale chiese alle aziende private statunitensi di progettare capsule destinate al trasporto di astronauti da e verso la Stazione Spaziale Internazionale.

Nel 2014, Boeing e SpaceX vennero selezionate per costruire, rispettivamente, le capsule Starliner e la Crew Dragon. Ma ci vollero altri sei anni affinché gli Stati Uniti potessero tornare a lanciare astronauti americani con razzi americani dal suolo americano, come amano ripetere con tono patriottico.
Nel mentre, la capsula russa Soyuz ha garantito i viaggi da e verso la ISS.

Il 30 maggio 2020, la capsula Crew Dragon della missione Demo-2 portò con successo gli astronauti Douglas Hurley e Robert Behnken a bordo della ISS.
Proprio Douglas Hurley, l’8 luglio di 9 anni prima, era a bordo dell’Atlantis al suo ultimo volo.

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