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| On 2 anni ago

Ecco perché Urano e Nettuno hanno due colori diversi

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Urano e Nettuno sono due pianeti giganti del nostro Sistema Solare. Sebbene siano molto simili in massa, dimensione e composizione atmosferica, la loro diversa colorazione risalta agli occhi non solo degli astronomi. Un recente studio ha sfruttato tre diversi telescopi per svelare il mistero dietro al colore dei due pianeti, mostrando come le caratteristiche dell’atmosfera di Urano lo rendano più pallido.

Nevicate di ghiaccio di metano

Studi precedenti su Urano e Nettuno si sono concentrati sull’aspetto dell’atmosfera a una specifica lunghezza d’onda. In una recente ricerca è stato sviluppato un nuovo modello in grado d’indagare un ampio range dello spettro, e descrivere così i diversi strati delle atmosfere di entrambi i pianeti. In particolare, i ricercatori hanno individuato in quello intermedio una quantità di particelle che formano questa nebbia maggiore su Urano. Questo fattore incide sulla colorazione dei due pianeti, rendendo Urano più “pallido” di Nettuno.

Entrambi i pianeti sono caratterizzati dallo stesso meccanismo atmosferico in questo secondo strato. Qui infatti, il team di ricerca sospetta che il ghiaccio di metano condensi sulle particelle che formano la nebbia, spingendole in profondità sotto forma di neve. Ma nell’atmosfera più attiva e turbolenta di Nettuno queste nevicate sarebbe più efficienti, rimuovendo, di conseguenza, più foschia rispetto ad Urano. Per questo motivo Nettuno appare di un color blu più forte rispetto al pianeta vicino.

La stratificazione delle atmosfere di Urano e Nettuno

Il nome “gigante ghiacciato” che caratterizza questi pianeti deriva dalla presenza nelle loro atmosfere di elementi volatili chiamati ghiacci, come acqua, ammoniaca e metano. Sebbene siano composti prevalentemente da idrogeno e elio, la presenza di questi elementi li differenzia dagli altri giganti del Sistema Solare, Giove e Saturno.

Immagine di Nettuno scattata dal telescopio spaziale Hubble che evidenzia le lunghezze d’onda del metano. Si possono osservare anche le quattro lune del pianeta: Proteo, la più luminosa, Larissa, Galatea e Despina. Crediti: HST

Nel modello presentato, il team suddivide l’atmosfera in tre diversi strati di aerosol. Con il termine aerosol è indicata la sospensione di goccioline o particelle fini di un gas. Nel dettaglio:

  • Lo strato Aerosol-1 è il più profondo e spesso, composto da una miscela di ghiaccio acido solfidrico e particelle prodotte dall’interazione dell’atmosfera con la luce solare. Sembrerebbe un oscuramento di questo strato a produrre le macchie scure visibili occasionalmente nell’atmosfera di Nettuno e, ancor più raramente in quella di Urano;
  • Lo strato Aerosol-2 è quello intermedio, composto di uno strato di foschia e in cui si verifica la condensazione del metano;
  • Lo strato Aerosol-3 è quello superiore, anch’esso caratterizzato da foschia, più tenue ed esteso rispetto a quella presente nello strato intermedio. Su Nettuno, sopra a questo si formano grandi particelle di ghiaccio di metano.

Le osservazioni di più telescopi

Per creare questo nuovo modello, sono stati utilizzati i dati di tre diversi telescopi: il Gemini North-Telescope, la NASA Infrared Telescope Facility e l’Hubble Space Telescope. Unendo le osservazioni di questi strumenti è stato possibile ottenere informazioni sulle atmosfere dei pianeti in un ampio range di lunghezze d’onda, dall’ultravioletto al vicino infrarosso.

Il contributo dato dal Near-Infrared Integral Field Spectrometer (NIFS), strumento incorporato nel telescopio Gemini North, è stato particolarmente importante. Infatti ha fornito dettagliate misurazioni dell’interazione tra le atmosfere dei pianeti e la luce del Sole, grazie alla sua capacità di acquisire spettri per ogni punto del suo campo visivo.

Il responsabile del programma Gemini, Martin Still, a questo riguardo afferma: “Gli osservatori Gemini continuano a fornire nuove informazioni sulla natura dei nostri vicini planetari. In questo esperimento, Gemini North ha fornito una componente dell’intera suite di strumenti, sia a terra che in orbita, fondamentali per il rilevamento e la caratterizzazione delle foschie atmosferiche.”

L’articolo completo, pubblicato su Journal of Geophysical Research, è disponibile qui.

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