Quale sarebbe la sensazione che proveremmo a camminare sulla superficie di Marte o Venere? O anche più lontano su Plutone? Oppure su Titano, la luna di Saturno? Riuscire a rispondere a queste domande è diventato per l’uomo una vera e propria matrice di evoluzione. Ha impresso in lui una curiosità che ha guidato i progressi nell’esplorazione spaziale da quando lo Sputnik 1 è stato lanciato 65 anni fa. Eppure siamo ancora agli inizi di ciò che è possibile conoscere e imparare sugli altri corpi planetari del Sistema Solare.
Un recente studio dell’Università della Pennsylvania mostra come alcune caratteristiche peculiari della superficie di pianeti diversi dalla Terra possano aiutare in questa ricerca. In particolar modo le dune di sabbia, che possono fornire informazioni sulle condizioni meteorologiche e fisiche che si potrebbero trovare camminando sulla superficie di un corpo planetario lontano.
Dune di sabbia per studiare la superficie di altri mondi
“Il poeta inglese William Blake si chiese cosa significasse ‘vedere un mondo in un granello di sabbia’. Nella ricerca, l’abbiamo preso alla lettera” ha affermato Andrew Gunn. Ricercatore per la School of Earth, Atmosphere and Environment della Monash University di Clayton in Australia e presso il Department of Earth and Environmental Sciencies dell’Università della Pennsylvania, Gunn ha guidato il nuovo studio sulla superficie di pianeti diversi dalla Terra.
L’idea era quella di utilizzare la semplice presenza di dune di sabbia per capire quali condizioni esistono sulla superficie di un mondo alieno. Affinché le dune esistano, sono almeno un paio i criteri che devono essere soddisfatti:
- Serve la presenza di grani di materiale erodibili, ma sufficientemente durevoli nel corso del tempo.
- Ci devono anche essere venti abbastanza veloci da far saltare i granelli di sabbia dal terreno, ma non abbastanza veloci da portarli troppo in alto nell’atmosfera.
Questi criteri sono detti “criteri Riccioli d’Oro”.
Finora la misurazione diretta dei venti e dei sedimenti è stata possibile solo sulla Terra e su Marte. Perciò i ricercatori hanno osservato le caratteristiche dei sedimenti trasportati dal vento su più altri corpi via satellite. La presenza stessa di queste dune sui corpi considerati implica che le condizioni di Riccioli d’oro siano soddisfatte. Il lavoro di Gunn e colleghi si è concentrato su Venere, Terra, Marte, Titano (luna di Saturno), Tritone (la luna più grande di Nettuno) e Plutone.
Una superficie modellata dai venti. Ma quali venti?
La domanda però è come comprendere le apparenti superfici modellate dal vento di Tritone e Plutone, se le loro atmosfere sono così sottili? E perché c’è un’attività così intensa di rimescolamento di sabbia e polvere su Marte, nonostante i venti misurati sul Pianeta Rosso sembrino troppo deboli per sostenerla? E come fa l’atmosfera densa e soffocante di Venere a spostare la sabbia in modo simile a come si muovono l’aria o l’acqua sulla Terra?
Lo studio di Gunn e il resto del team fa alcune ipotesi per rispondere a queste domande. In particolar modo, analizza i venti necessari per spostare i sedimenti su questi pianeti e lune, e quanto facilmente quel sedimento si romperebbe. Gunn spiega:
Abbiamo costruito queste previsioni mettendo insieme i risultati di una miriade di altri documenti di ricerca e testandoli su tutti i dati sperimentali su cui potevamo mettere le mani. Abbiamo quindi applicato le teorie a ciascuno dei sei corpi, attingendo a misurazioni da telescopio e satellite di variabili tra cui gravità, composizione atmosferica, temperatura superficiale e forza dei sedimenti.
Studi precedenti hanno esaminato la soglia di velocità del vento richiesta per spostare la sabbia o la forza di varie particelle di sedimento. Gunn e colleghi li hanno combinati insieme, osservando la facilità con cui le particelle potrebbero rompersi in pezzi durante il trasporto di sabbia su questi corpi.
Il caso di Titano e Plutone: foschia organica, onde di sabbia e vento troppo forte
Sappiamo che l’equatore di Titano ha dune di sabbia, ma non c’è sicurezza su quale tipo di sedimento circonda l’equatore. È pura foschia organica che piove dall’atmosfera o è mescolata con ghiaccio più denso?
I ricercatori hanno scoperto che aggregati sciolti di foschia organica si sarebbero disintegrati in caso di collisione, se fossero stati spinti dai venti all’equatore di Titano. Ciò implica che le dune di Titano probabilmente non sono fatte di foschia puramente organica. Per costruire una duna, i sedimenti devono essere trasportati dal vento per molto tempo: alcune delle dune di sabbia della Terra hanno un milione di anni.
Inoltre il team ha anche scoperto che su Plutone le velocità del vento dovrebbero essere eccessivamente elevate per trasportare metano o ghiaccio di azoto, ciò che si ipotizzava fossero i sedimenti sulle dune del pianeta nano. Ciò mette in dubbio se esse, osservate e fotografate da satellite sulla pianura Sputnik Planitia, siano effettivamente delle dune.
Potrebbero invece essere onde di sublimazione. Si tratta di morfologie simili a dune ottenute dalla sublimazione del materiale, anziché dall’erosione dei sedimenti. Come quelle osservate sulla calotta polare nord di Marte.
Le nuove frontiere dell’esplorazione spaziale
Questo studio calza a pennello con la fase interessante dell’esplorazione spaziale che stiamo vivendo. Per Marte, abbiamo ormai raccolto una grossa quantità di dati. Cinque agenzie spaziali stanno conducendo missioni attive in orbita o in situ sul Pianeta Rosso. “Studi come il nostro aiutano a definire gli obiettivi di queste missioni e i percorsi intrapresi da rover come Perseverance e Zhurong” afferma Gunn.
Le missioni pianificate su Venere e Titano nel prossimo decennio rivoluzioneranno la nostra comprensione di questi due mondi. La missione Dragonfly della NASA, che lascerà la Terra nel 2027 e arriverà su Titano nel 2034, farà atterrare un elicottero senza equipaggio sulle dune del satellite naturale di Saturno. Plutone è stato osservato durante un sorvolo del 2015 dalla missione New Horizons in corso della NASA, ma non ci sono piani attualmente per tornarci.
Nelle parti più esterne del Sistema Solare, Triton, satellite di Nettuno, non è stato osservato in dettaglio dal sorvolo della Voyager 2 nel 1989. Attualmente esiste una proposta di missione che, se selezionata, vedrebbe una sonda lanciata nel 2031 per studiare Tritone, prima di annientarsi volando nell’atmosfera di Nettuno.
Tutte queste missioni effettuate, programmate o attualmente in corso, sapranno sicuramente approfondire studi come questo. E farci sentire un po’ come se stessimo davvero camminando su un altro mondo.
Lo studio completo, pubblicato su Nature Astronomy, è reperibile qui.
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