Immaginatevi un mondo in cui non sia possibile accedere allo spazio a causa di una “nube” di detriti e satelliti morti che avvolge la terra. In uno scenario del genere qualsiasi missione lanciata in orbita sopravviverebbe poche ore, o pochi giorni, prima di finire distrutta dall’impatto con uno di questi detriti. In una società così fortemente dipendente dallo spazio come la nostra, questa sarebbe una catastrofe. Niente più telecomunicazioni, niente più GPS, niente più osservazione terrestre e prevenzione dei disastri ambientali.
Una collisione in orbita rappresenta un evento disastroso, non solo per il danno economico relativo alla distruzione di un satellite, ma soprattutto per la quantità di detriti che tale impatto può generare. Una collisione alla velocità di sette chilometri al secondo (tale infatti è la velocità tipica di un satellite in orbita LEO) comporta la produzione di migliaia di frammenti, i quali a loro volta diventano potenziali inneschi per altre collisioni, dando origine ad un catastrofico effetto domino che, se non controllato, può portare alla saturazione delle regioni orbitali d’interesse scientifico e commerciale. Il problema è ben noto già da diversi anni con il nome di Sindrome di Kessler. Attualmente risulta estremamente complesso ripulire le orbite basse dai detriti già presenti, ma esistono diversi provvedimenti che possono essere presi per mitigare il problema e cercare di prevenirne il peggioramento.
Lo Space Traffic Management
In risposta a questo grande problema della nostra epoca si è iniziato a discutere di Space Traffic Management, inteso come il controllo e la gestione del traffico in orbita, così come viene eseguito per il traffico aereo. Contrariamente a quanto avviene in aviazione però, il controllo dello Space Traffic non è regolamentato da protocolli e standard validi a livello internazionale. La coordinazione tra i vari operatori risulta pertanto difficile o inesistente. Non esiste un organismo centrale e autoritario al quale convergano i vari player. Ogni operatore satellitare è libero di gestire i propri satelliti liberamente, adottando i criteri che preferisce per valutare i rischi di una potenziale collisione rispetto ai costi di una manovra evasiva.
Un altro motivo dell’assenza di una normativa comune è che ogni operatore utilizza dati diversi per effettuare le sue valutazioni. Spesso tali dati sono forniti da enti governativi, altre volte vengono invece ricavati dagli stessi operatori, i quali non hanno alcun interesse a rendere pubbliche tali informazioni da loro ritenute sensibili. Sicuramente per poter redigere una normativa comune valida a livello internazionale sarebbe necessario che gli operatori satellitari iniziassero a condividere tali dati per poter agevolare la coordinazione tra i vari player. La mancanza di regole rigorose che governino lo Space Traffic emerge soprattutto quando a rischiare la collisione sono due satelliti operativi. In questo caso non esiste nessuna norma che stabilisca quale dei due debba effettuare la manovra evasiva. E chiaramente, al netto delle criticità legate allo svolgimento di tale manovra, entrambi hanno interesse a che sia l’altro a spostare il proprio satellite.
Le attuali dinamiche che governano la gestione dello Space Traffic non fanno ben sperare per il futuro; negli anni a venire sarà fondamentale una completa ristrutturazione di queste dinamiche e dei rapporti tra le varie parti coinvolte, con l’obiettivo di ottimizzare quello che a tutti gli effetti sta diventando uno spazio sovraffollato.
SpaceX al centro della bufera
Con la comparsa delle megacostellazioni in orbita bassa i rischi di collisione tra satelliti operativi sono ovviamente aumentati. SpaceX con i suoi quasi duemila Starlink è una delle principali parti coinvolte in questo scenario. Più di una volta l’azienda di Elon Musk è stata al centro di situazioni considerate ad alto rischio, come ad esempio l’incontro ravvicinato con uno dei satelliti della costellazione OneWeb avvenuto in Aprile del 2021.
In quella occasione SpaceX disattivò il sistema automatico anti-collisione dello Starlink interessato, per non interferire con la manovra evasiva che venne operata da OneWeb. Andando indietro nel tempo (nel 2019) un altro caso rilevante fu quello dell’incontro tra uno Starlink e il satellite Aeolus dell’ESA. In quell’occasione venne lamentata da parte dell’Agenzia Spaziale Europea una grande mancanza di coordinamento. Ma il caso più eclatante è stato quello del duplice incontro avvenuto tra due Starlink e la stazione spaziale cinese Tiangong nel 2021.
In quella circostanza emersero chiaramente i limiti nella cooperazione e nel dialogo tra le varie parti: i cinesi chiesero per vie ufficiali informazioni sulle intenzioni di SpaceX ma senza ricevere risposta. Probabilmente il motivo di questo silenzio fu che la legge USA vieta i rapporti tra dipendenti cinesi e quelli americani in materia di spazio. Non avendo ricevuto alcuna indicazione da parte di SpaceX sulle sue intenzioni, la Cina dovette effettuare una manovra preventiva e spostare la Tiangong.
Come si evita una collisione in orbita?
Per poter evitare un impatto tra due satelliti è fondamentale conoscerne lo stato, vale a dire la loro posizione e velocità. Applicando tecniche di propagazione orbitale allo stato di un determinato corpo è quindi possibile studiare come evolverà la sua traiettoria per prevedere l’eventualità di una collisione. Gli stati di quasi tutti i satelliti operativi sono registrati in appositi cataloghi, che vengono costantemente aggiornati. Per quel che riguarda gli oggetti non cooperanti, come ad esempio detriti, satelliti non operativi o stadi superiori di lanciatori rimasti in orbita, vengono effettuate operazioni di tracciamento (tracking) e anche i loro parametri vengono raccolti in cataloghi dedicati.
Naturalmente il tracking non è in grado di rilevare la presenza di detriti piccoli, sotto l’ordine dei 10 centimetri, la cui dinamica rimane pertanto sconosciuta. Nella seguente animazione è riportata l’evoluzione dei detriti generati dalla collisione tra il satellite Iridium e il Cosmos, avvenuta nel 2009. I frammenti vennero tracciati e si osservò la loro propagazione che inizialmente seguì l’orbita originaria dei due satelliti, poi, con il tempo, andò a saturare anche regioni orbitali diverse.
Come e chi traccia un satellite in orbita?
In Europa gioca un ruolo fondamentale lo Space Surveillance and Tracking Segment dell’ESA (SST), che si occupa di effettuare il tracciamento dei detriti tramite un network di telescopi e radar. Le osservazioni effettuate vengono utilizzate nelle infrastrutture di terra per svolgere operazioni di determinazione orbitale, e i dati così ottenuti sono processati e utilizzati per la composizione dei cataloghi e dei data base. Lo SST si occupa inoltre di svolgere ulteriori servizi come lo studio sull’evoluzione dell’orbita e, eventualmente, il rilascio di allarmi di collisione agli operatori satellitari.
Tipicamente per un satellite in LEO vengono ricevuti centinaia di Conjunction Data Messages alla settimana. Si tratta di una sorta di bollettino che raccoglie una serie d’informazioni riguardo a tutte le eventuali collisioni tra satelliti che si potrebbero verificare. La maggior parte di queste allerte viene considerata a basso rischio e viene filtrata in modo automatico. Ma alcune di queste, tipicamente due alla settimana per ogni satellite, sono caratterizzate da un rischio più alto delle altre, e vengono quindi prese in carico da tecnici e ingegneri che svolgono studi approfonditi. Questo comporta ore di analisi sulla distanza tra i due oggetti, sulle incertezze relative alla loro posizione e infine sulla probabilità d’impatto.
Come definire il rischio d’impatto di un satellite?
Poiché non è possibile conoscere con estrema esattezza la posizione dei due corpi a rischio di collisione, si ricorre a trucchi statistici: per ciascuno di essi si definisce un ellissoide di probabilità, ovvero una regione di spazio all’interno della quale l’oggetto si trova sicuramente (anche se non si sa esattamente in quale punto di questa regione). Questi ellissoidi vengono propagati nel tempo simulando come evolverà l’incertezza sulla posizione dei due corpi, fino al momento del loro approccio più vicino. Se al momento del loro incontro i due ellissoidi di probabilità si sovrappongono, questo significa che esiste una probabilità di collisione.
Ogni giorno i dati dei Conjunction Data Messages vengono aggiornati grazie alle informazioni di tracking; quindi con il passare del tempo l’accuratezza sulla previsione di un possibile impatto migliora sensibilmente. Tuttavia non è possibile attendere fino all’ultimo momento per avere la massima accuratezza sulla stima, perché una eventuale manovra evasiva richiede tempo per essere pianificata ed eseguita. Per questo motivo lo Space Debris Office dell’ESA allerta i team del controllo missione tre giorni prima della congiunzione tra i due oggetti, mentre la decisione d’intraprendere la manovra di “Collision Avoidance” viene presa un giorno prima, sulla base di una soglia di uno su diecimila nella probabilità d’impatto.
La decisione di effettuare la manovra arriva quindi a valle di un processo lungo giorni, e dopo numerose ore di analisi sulle traiettorie e sulle incertezze. Tale lavoro meticoloso viene svolto perché l’esecuzione di una manovra di Collision Avoidance risulta essere critica e presenta numerosi problemi. Per cui, prima di eseguirla, è necessario effettuare questa indagine approfondita.
I problemi di una manovra di Collision Avoidance
Come detto, le complicazioni di una manovra evasiva sono numerose. Una prima grande criticità risiede nel dover controllare che l’orbita temporanea su cui viene spostato il satellite non costituisca essa stessa un rischio di collisione. Inoltre, per poter operare la manovra e per riportare nuovamente il satellite sull’orbita originaria, bisogna fare utilizzo del propellente di cui il satellite dispone. Ed ovviamente questo consumo non programmato rappresenta un problema per coloro che si occupano di gestire la vita operativa del satellite.
Durante la manovra è poi molto probabile che si debbano sospendere le attività operative. Ciò rappresenta l’interruzione di un servizio, nel caso di un satellite commerciale, o l’arresto dell’acquisizione di dati nel caso di una missione scientifica. Non ultimo, un grande inconveniente di questo tipo di manovre è il costo economico. Per poter operare una Collision Avoidance Manoeuvre è infatti necessario prenotare uno slot in una stazione di terra per poter seguire correttamente le operazioni, oltre al fatto che un team di tecnici specializzati deve essere pronto ad intervenire in ogni momento. A causa di tutte queste criticità prima di operare una manovra del genere le analisi approfondite di cui si è parlato in precedenza vengono svolte con l’obiettivo di verificare che la manovra sia effettivamente indispensabile.
Verso l’A.I. per la gestione del traffico
Ad oggi il processo di Collision Avoidance è completamente manuale e le procedure descritte sono specifiche per ogni diversa situazione. Con l’aumento esponenziale del numero di satelliti in orbita non è pensabile continuare a seguire questo approccio. Più si va avanti e più si fa necessaria la presenza di meccanismi automatizzati che processino e gestiscano in autonomia il sempre più alto numero di possibili collisioni. Per questo sta prendendo piede l’idea di sfruttare l’Intelligenza Artificiale e il Machine Learning per automatizzare le operazioni e i processi decisionali che fino a questo momento vengono svolti manualmente.
Con questo obiettivo in mente l’Agenzia Spaziale Europea ha promosso negli ultimi anni una serie di competizioni rivolte al settore dell’A.I. e del Machine Learning, durante le quali ha messo a disposizione dei partecipanti un set di Conjunction Data Messages degli anni passati, chiedendo loro di sviluppare algoritmi che fossero in grado di replicare i processi decisionali seguiti dai tecnici per reagire alle probabilità di collisione. I risultati presentati sono incoraggianti, ma si è ancora lontani dalla messa in pratica di un sistema operativo che sia sufficientemente accurato nella gestione di queste delicate situazioni.
D’altra parte SpaceX ha reso noto che sugli Starlink è stato implementato un rudimentale sistema automatico anticollisione. Le informazioni a riguardo sono molto poche e non si hanno dettagli su come questo sistema operi. Quel che è certo è che al momento tale sistema risulta praticamente inutile. In caso di possibile collisione con un satellite operativo infatti, quest’ultimo non ha modo di sapere come e se lo Starlink si sposterà, e quindi si ritorna necessariamente alla gestione “manuale” di questo tipo di situazioni. Esemplare è stato il caso dell’incontro Starlink-OneWeb (di cui si è parlato prima) per il quale OneWeb chiese a SpaceX di disattivare il sistema automatico anticollisione per poter operare la manovra evasiva senza preoccuparsi di un possibile spostamento dello Starlink.
L’impegno da parte dei singoli non è quindi sufficiente. Per fare fronte al sovraffollamento delle orbite di interesse è assolutamente necessario che si giunga ad una consapevolezza collettiva, e conseguentemente, ad uno sforzo coordinato da parte di tutti i player che operano nel settore. Solo in questo modo si potrà continuare a garantire l’accesso allo spazio negli anni a venire.
Continua a seguire Astrospace.it sul canale Telegram, sulla pagina Facebook, sul nostro canale Youtube e ovviamente anche su Instagram. Non perderti nessuno dei nostri articoli e aggiornamenti sul settore aerospaziale e dell’esplorazione dello spazio.