I brillamenti solari (solar flares in inglese) sono violente eruzioni di materia dalla fotosfera del Sole o di una stella in generale. Quando esplode, un brillamento può sprigionare un’energia pari a decine di milioni di bombe atomiche. Ecco perché è importante studiare i brillamenti della nostra stella, il Sole, in modo da prevederne l’impatto sui sistemi satellitari terrestri e sul campo magnetico del pianeta. Ne è un esempio l’impatto di una tempesta solare, che la scorsa settimana ha provocato indirettamente il deorbito di decine di satelliti starlink.
Nel gennaio del 1999 gli scienziati hanno osservato delle strane strutture nei brillamenti solari. Sembrava che alcuni di essi mostrassero non solo un getto che eruttava verso l’esterno, ma anche un flusso che tornava verso il basso. Come se il materiale ricadesse indietro. Al tempo sono stati definiti downward moving dark voids, letteralmente “vuoti scuri che si muovono verso il basso”. Una spiegazione a queste strutture che sembrano lunghe dita appoggiate sulla fotosfera del sole non è mai stata trovata, fino a oggi.
In un recente studio infatti, gli astronomi del Center for Astrophysics Harvard and Smithsonian (CfA) avanzano una nuova ipotesi sulla natura dei deflussi di materia. Ora noti alla comunità scientifica come downflow sopra-arcade, abbreviati SAD. Da cosa sono generati? Dobbiamo preoccuparci?
Le strutture simili a dita e la riconnessione magnetica
È noto agli scienziati che i brillamenti solari sono causati da improvvisi rilasci di energia, eventi che avvengono in occasione di una riconnessione delle linee di campo magnetico. Questo processo, noto come riconnessione magnetica, è forse direttamente legato ai SAD? Oppure esse si verificano indipendentemente dal meccanismo che attiva i brillamenti?
Guidati dall’astronomo Chengcai Shen del CfA, che descrive le strutture come “simili a dita”, gli scienziati hanno inizialmente ipotizzato che i SAD siano legati alla riconnessione magnetica. Il processo si verifica quando i campi magnetici si rompono, rilasciando radiazione estremamente rapida ed energetica, per poi riformarsi.
Kathy Reeves, coautrice dello studio e astronoma al CfA, spiega la loro ipotesi:
Sul Sole, quello che succede è che ci sono molti campi magnetici che puntano in molte direzioni diverse. Quando vengono sospinti tutti insieme fino al punto in cui si riconfigurano, rilasciano molta energia sotto forma di brillamento solare. È come allungare un elastico e tagliarlo nel mezzo: era allungato, quindi ricadrà indietro.
Deflussi troppo rapidi dopo i brillamenti solari
La loro ipotesi poteva funzionare: i SAD sarebbero stati provocati dall’interruzione e il “ritorno” verso il Sole dei campi magnetici interrotti dopo un brillamento solare. Tuttavia, la maggior parte dei deflussi osservati dagli scienziati sono particolarmente lenti. Bin Chen, astronomo del New Jersey Institute of Technology, spiega: “Questo non è previsto dai modelli di riconnessione magnetica classici, che mostrano che i deflussi dovrebbero essere molto più rapidi. Richiede qualche altra spiegazione”.
Per scoprire cosa stava succedendo, il team ha analizzato i dati sui SAD provenienti dall’Atmospheric Imaging Assembly (AIA) a bordo del Solar Dynamics Observatory della NASA. Progettato e costruito in parte presso il CfA e guidato dal Lockheed Martin Solar Astrophysics Laboratory, l’AIA acquisisce immagini del Sole ogni dodici secondi in sette diverse lunghezze d’onda della luce per misurare le variazioni nell’atmosfera solare.
Le simulazioni 3D confermano la natura delle strutture
Basandosi sui dati di AIA, gli scienziati hanno effettuato simulazioni tridimensionali dei brillamenti solari e li hanno confrontati con le osservazioni. I loro risultati mostravano che la maggior parte dei SAD non sembravano esser generati dal fenomeno di riconnessione magnetica. La spiegazione pareva invece essere che queste strutture simili a dita si formano da sole nell’ambiente turbolento sotto la fotosfera solare. Esse sarebbero il risultato di due fluidi con diverse densità che interagiscono tra loro.
È come quando osserviamo cosa accade se l’acqua e l’olio si mescolano insieme: le due densità molto diverse del fluido sono instabili, e alla fine si separano. “Quei ‘vuoti scuri’ simili a dita sono in realtà un’assenza di plasma. La densità è molto inferiore a quella del plasma circostante” spiega Reeves.
Le future indagini sui brillamenti solari
I ricercatori prevedono di continuare a studiare queste particolari strutture e altri fenomeni solari atipici, sfruttando le simulazioni 3D. In questo modo potranno comprendere più nel dettaglio i meccanismi con i quali entra in gioco la riconnessione magnetica. Di conseguenza sarà possibile caratterizzare con maggiori certezze i brillamenti solari, cosa che aiuterà a sviluppare strumenti che prevedano gli eventi e allertino per mitigarne l’impatto.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, è disponibile qui.
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