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| On 3 anni ago

Produrre energia elettrica nello spazio da materiale radioattivo. L’uso degli RTG

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In questa rubrica, Energia Elettrica nello Spazio, si è solamente sfiorato finora il tema del rifornimento energetico in luoghi lontani dal Sole. Nonostante gli ingegneri cerchino sempre di dotare la loro sonda di pannelli solari, in quanto più economici e con tecnologie più affidabili, non sempre è possibile. I motivi per cui bisogna ricorrere ad altre risorse, oltre all’assenza di Sole, possono essere i più disparati. Principalmente si fa però riferimento alle esigenze volumetriche: non tutte le sonde oltre Marte possono permettersi un campo di pannelli solari di 43 metri quadri come Juno… Senza contare che più ci si allontana più le dimensioni devono aumentare! Queste esigenze (produzione energetica senza Sole, nessuna manutenzione e compattezza) si ritrovano anche in problemi terrestri: come l’approvvigionamento elettrico d’isolati fari o per strumentazioni meteo e sismologiche in luoghi ostili come l’Antartide.

Schema delle principali componenti di un RTG.

Fu a partire da questi criteri che nel 1954 alla Mount Laboratories, gli scienziati produssero il primo prototipo di Radioisotope Thermoelectric Generator. Chiariamo, l’RTG, non è un reattore nucleare! Infatti non è ancora possibile costruire un dispositivo analogo a quello delle centrali nucleari terrestri, ma in versione tascabile. I progetti che introducono reattori nucleari in ambito spaziale sono attualmente in fase di studio per le più futuristiche stazioni lunari e marziane; come il progetto Kilopower della NASA. L’RTG, quindi, è formato sostanzialmente da un pellet d’isotopo radioattivo circondato da termocoppie ed elementi raffreddanti, come tubi percorsi da acqua o cooling fins.

Il funzionamento di un RTG

Il funzionamento di questo dispositivo si basa sull’effetto Seebeck, dal nome dello scienziato che lo scoprì nel 1822. Egli notò che in un circuito formato da due differenti metalli (conduttori o semiconduttori), se portati a una diversa temperatura, per esempio scaldandone uno, si instaura fra di loro una differenza di potenziale e quindi si origina una corrente elettrica. In altre parole, a una differenza di temperatura corrisponde una differenza di potenziale. Il tutto è proporzionale a un coefficiente proprio del metallo, che mette in relazione una variazione di microVolt a quella di un grado Kelvin. La termocoppia che produce l’energia elettrica dunque, sarà costituita di due giunti, uno caldo, riscaldato dal  decadimento radioattivo del pellet di radioisotopo e uno freddo a contatto con i circuiti raffreddanti.

Il punto critico della progettazione e scelta di un RTG sta ovviamente nel cuore dello strumento: il pellet di radioisotopo. Esso deve corrispondere a caratteristiche molto precise e ovviamente non può essere pescato a caso tra gli oltre 3000 radioisotopi conosciuti. I criteri selettori sono i seguenti:

  • Abilità di produrre alta energia radioattiva
  • Tendenza a produrre calore con il decadimento radioattivo
  • Tempo di dimezzamento lungo per poter garantire energia in modo continuativo
  • Grande rapporto tra densità e calore generato (power-to-mass elevato)

I primi due criteri sembrerebbero sovrapporsi, tuttavia non è così e meritano una spiegazione più ampia.

L’RTG della sonda Cassini. Credits: NASA

Diversi decadimenti, diversi RTG

Ogni tipologia di decadimento radioattivo (alfa, beta, gamma) può tradursi in calore, ma perché ciò avvenga è necessario che ciò che circonda il pellet basti ad assorbire la radiazione generando movimento atomico e quindi aumento di temperatura.

Per esempio, per un decadimento di tipo gamma, quindi formato solo da onde gamma (frequenza 10^20 Hz) serve 1 cm di piombo per essere completamente assorbito. Questo rende le condizioni di progetto proibitive, dovendo inserire fin troppa massa di piombo in una sonda spaziale. Una vera sfortuna dato che il decadimento gamma è il più energetico. Bisogna ricorrere quindi al decadimento alfa, il meno energetico, ma il più facile da assorbire essendo formato da una particella alfa (nucleo di elio) costituita da due neutroni e due protoni. Basta quindi la semplice superficie delle termocoppie per assorbire la particella.

Il terzo criterio è ancora più importante, in quanto il fenomeno del decadimento è solo teoricamente infinito… di fatto, decadendo, il radioisotopo iniziale si trasforma in un altro elemento(perdendo protoni e neutroni). Questo non sarà per forza radioattivo o comunque senza le caratteristiche del radioisotopo iniziale. Quindi, in un certo momento nel tempo, l’isotopo iniziale si esaurirà e l’RTG non avrà più le prestazioni programmate. È quindi necessario scegliere un isotopo con tempo di dimezzamento elevato. Questa è la quantità che indica quanto tempo l’isotopo impiega per consumarsi della metà. Purtroppo, più alto è il tempo di dimezzamento, più basso è il power to mass del quarto punto.

ANNUNCIO
Un pallet di Plutonio radioattivo.

I migliori isotopi

Per esempio, il Polonio-210 produce 141 Watt/grammo ma ha un tempo di dimezzamento di 4 mesi… Vuol dire che 1 kg di Polonio-210 nel giro di un anno sarà ridotto a 125 grammi. Invece, il Plutonio-238 produce 0.55 Watt/grammo, ma ha un tempo di dimezzamento di 86.8 anni…

Anche qui, la scelta spetta all’ingegnere in base al profilo di missione, ma la stragrande maggioranza delle sonde hanno montato un RTG con un isotopo come il Plutonio-238. Infatti, per andare in luoghi senza Sole ci si mette tanto tempo, non si può arrivare a inizio missione su Saturno con il carburante esponenzialmente ridotto!

Le missioni dotate di RTG

Le missioni più estreme e più anziane hanno tutte montato l’RTG nella sua più primordiale forma: Voyager 1 in particolare, lanciata nel 1977, continua a funzionare da 43 anni e a inviare informazioni da 154.7 UA di distanza (13 ottobre 2021) proprio in virtù dei suoi RTG che producevano fino a 420 Watt al momento del lancio. Si esauriranno del 2025. Pure durante le missioni Apollo (dall’11 al 17), vennero trasportati dei dispositivi RTG per il funzionamento di alcuni esperimenti da attivare sulla superficie lunare (esperimenti ALSEP).

Inoltre, i primi lander marziani, pur potendo benissimo funzionare con pannelli solari, furono dotati anche di RTG come riserva e con la funzione collaterale di scudo termico per resistere alle rigide e allora ignote temperature notturne marziane. Dotati di RTG sono anche i rover Curiosity e Perseverance, che richiedevano una fonte di energia più potente e più affidabile dei pannelli solari. Su Marte infatti, i venti trasportano sulle sonde polvere e detriti che da anni sono la causa della diminuzione delle prestazioni di molte missioni.

Un’altra missione famosa equipaggiata a RTG fu Cassini, lanciata nel 1997 che raggiunse nel 2004 Saturno, facendo atterrare su Titano il lander Huygens. Missione conclusa con la volontaria distruzione della sonda nel 2017. Infine, anche missioni più recenti come New Horizons, lanciata nel 2006 alla volta di Plutone e di cui fu in grado di fornirci le migliori foto possibili. In conclusione, è facile notare come l’RTG sia la soluzione che ci permette di effettuare grandi missioni ai confini del sistema solare per allargare sempre di più il nostro orizzonte.

Energia Elettrica nello spazio è una rubrica in sei articoli dedicata ai metodi di produzione e conversione dell’energia nello spazio, ideata e scritta da Mattia Ghedin. Tutti gli articoli precedenti di questa rubrica possono essere trovati qui.

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