Come sono nate le prime galassie nell’Universo di 13 miliardi di anni fa? Come si sono agglomerate le gigantesche strutture cosmiche che oggi osserviamo su vasta scala? In che modo è proseguita l’evoluzione degli ammassi galattici e dei loro singoli componenti? A queste domande non è semplice rispondere, perché è difficile guardare così tanto indietro nel tempo anche con i telescopi più all’avanguardia di cui possiamo disporre oggi. Grandi risultati li ha ottenuti l’Hubble Space Telescope della NASA. Un nuovo telescopio spaziale, il cui lancio è previsto a metà degli anni ’20, riuscirà a dare un grosso contributo alle domande della comunità scientifica.
Si chiama Nancy Grace Roman Space Telescope, un osservatorio spaziale ideato dalla NASA per riuscire a sondare le profondità inesplorate dell’Universo e poter dare risposte sull’energia oscura e la materia oscura. Il telescopio ha uno specchio di 2,4 metri, come il suo predecessore, ma una vista 100 volte maggiore di quella di Hubble.
Il Roman Space Telescope rivoluzionerà completamente gli studi sulle galassie e l’ambiente intergalattico. Avrà infatti la capacità di osservare il cielo fino a migliaia di volte più velocemente di quanto abbia fatto Hubble, pur con una simile risoluzione. Potrebbe quindi rivelare come le prime galassie si sono assemblate e successivamente trasformate nel corso della storia dell’Universo.
Con il Roman una combinazione di tecniche all’avanguardia
“Roman ci darà la capacità di vedere oggetti deboli e di vedere le galassie su lunghi intervalli di tempo cosmico. Ciò ci consentirà di studiare come le galassie si sono assemblate e trasformate” afferma Swara Ravindranath, astronomo dello Space Telescope Science Institute (STScI) a Baltimora. In particolar modo, saranno importanti due tecniche sfruttate dal Roman Space Telescope:
- Imaging ad alta risoluzione e ad ampio campo, che fornisce la posizione delle galassie nel cielo;
- Spettroscopia, che fornisce la loro distanza. Studiando gli spettri elettromagnetici proprio di ogni oggetto all’interno del campo visivo, è possibile comprendere una lunga serie di caratteristiche delle sorgenti di origine e del loro ambiente circostante. Oltre che fare ipotesi sulla loro evoluzione.
Perché alcune galassie producono più stelle di altre?
“Sappiamo che le galassie bloccano la formazione stellare, ma non sappiamo perché. Con l’ampio campo visivo di Roman, abbiamo maggiori possibilità di coglierle in flagrante” afferma Kate Whitaker, astronoma dell’Università del Massachusetts ad Amherst.
Infatti la formazione di stelle nelle galassie non avviene a velocità costante. La produzione accelera o rallenta a causa di diversi fattori, tra cui i venti galattici provenienti da buchi neri supermassicci. Per esempio, alcune galassie hanno prodotto numerose stelle in pochissimo tempo e cessato la formazione all’inizio della storia dell’Universo. Altre le stanno ancora formando. Altre ancora sono quiescenti, ovvero ormai spente.
Lee Armus, astronomo dell’IPAC/Caltech in California, afferma:
Utilizzando Roman possiamo stimare la velocità con cui le galassie producono stelle e trovare le galassie più prolifiche che producono stelle a un ritmo enorme. Ancora più importante, possiamo scoprire non solo cosa sta succedendo in una galassia nel momento in cui la osserviamo, ma qual è stata la sua storia.
Roman campionerà migliaia di galassie vecchie miliardi di anni
Le galassie sono raggruppate in strutture molto complesse e larghe miliardi di anni luce, collegate tramite filamenti di gas e materia oscura. Questa rete è detta ragnatela cosmica. Combinando tecniche spettroscopiche e di imaging, è possibile mapparla e quindi conoscere la struttura su larga scala dell’Universo.
Inoltre, poiché l’Universo si sta espandendo, la luce proveniente dalle galassie più lontane si estende a lunghezze d’onda più lunghe (più rosse), un fenomeno noto come redshift. Più una galassia è lontana, maggiora è il suo redshift. I rivelatori a infrarossi del Roman Space Telescope sono l’ideale per raggiungere alti valori di redshift. Cosa non semplice, perché le galassie particolarmente lontane sono le più deboli e difficili da individuare.
“In questo momento, con telescopi come Hubble possiamo campionare decine di galassie ad alto redshift” spiega Russell Ryan, astronomo presso STScI. “Con Roman, saremo in grado di campionarne migliaia.”
Verso l’infinito e oltre
I ricercatori possono prevedere in anticipo alcune delle scoperte che il Roman Space Telescope riuscirà a fare. Se non altro, conoscendo gli obiettivi della missione possono avanzare delle anticipazioni. Tuttavia il telescopio potrebbe anche riuscire a scovare ciò che nessuno scienziato finora aveva previsto.
L’approccio del Roman, infatti, non mirerà specifici oggetti cosmici: aprirà i nostri orizzonti nel cosmo, immergendosi completamente nell’ignoto. E arriverà oltre ogni confine finora imposto. Un approccio completamente diverso da quello del James Webb Space Telescope.
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