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| On 3 anni ago

Il Gran Tour delle Voyager: ai confini del sistema solare

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Se si dovesse scegliere la missione più rappresentativa dell’umano desiderio di esplorare, la scelta non potrebbe che ricadere sul programma Voyager. Mai nessun artefatto umano si è spinto più lontano delle due sonde americane, che ancora oggi viaggiano nel silenzio dello spazio interstellare, dopo aver varcato le colonne d’Ercole del Sistema Solare. Il loro viaggio è però divenuto storico ancor prima che abbandonassero il nostro sistema. Le due sonde sono infatti riuscite a sorvolare tutti i pianeti più esterni, grazie ad una congiunzione favorevole e ad un ricercato studio delle traiettorie, dando luogo ad un incredibile Tour del sistema solare.

Il programma Mariner e il Gran Tour del Sistema Solare

Tutto ebbe inizio nei primi anni 60. Mentre il mondo seguiva con il fiato sospeso la corsa alla luna tra Stati Uniti e Unione Sovietica, nei dipartimenti della Nasa il programma Mariner veniva portato avanti con meno risonanza rispetto all’Apollo ma con altrettanta dedizione. Si trattava di un programma di esplorazione del sistema solare interno (Mercurio, Venere, Marte) che consisteva nel lancio di 10 sonde robotiche che avrebbero fatto grande il nome del Jet Propulsion Laboratory, il dipartimento della Nasa adibito alla ricerca e allo sviluppo di sonde interplanetarie.

Il programma Voyager nacque sulle basi del Mariner ed in risposta alla chiusura di un altro programma: il Grand Tour program. Quest’ultimo, proposto nel 1964 dal giovane ingegnere del JPL Gary Flandro, prevedeva un gruppo di quattro sonde per l’esplorazione del sistema solare esterno (Giove, Saturno, Plutone, Urano, Nettuno). Nel ’64 Flandro si accorse di uno straordinario allineamento di questi pianeti, che si ripete ogni 175 anni. Questa configurazione planetaria si sarebbe verificata negli anni ‘70 e avrebbe reso possibile l’esplorazione in sequenza dei pianeti esterni del sistema solare, sfruttando una serie di Gravity Assit con un ridotto numero di sonde.

A causa dell’elevato costo stimato per il programma (circa un miliardo di dollari) e del conflitto economico con l’allora appena approvato programma Shuttle, il Grand Tour pogram venne cancellato nel 1971. Nonostante ciò, il particolare allineamento dei pianeti in questione era un’occasione troppo ghiotta per non essere colta; per questo motivo due sonde vennero aggiunte come estensione del programma Mariner: la 11 e la 12, inizialmente denominate Mariner Jupiter-Saturn. L’obiettivo era quello di realizzare una versione ridotta del Grand Tour proposto da Flandro. La particolarità del profilo di missione di queste ultime due sonde fu però tale che alla fine esse andarono a costituire un programma a sé stante: il programma Voyager.

Schema della strumentazione delle due sonde Voyager. In basso si può notare la posizione del sistema RTG

Perché le Voyager?

L’eccezionalità dell’allineamento dei pianeti previsto da Flandro risiedeva nel fatto che la peculiare geometria orbitale avrebbe permesso di raggiungere tutti i pianeti esterni con un moderatissimo costo di propellente e quindi di lancio. La velocità richiesta per raggiungere quegli angoli remoti del sistema solare sarebbe stata ottenuta da una sequenza di fionde gravitazionali, o gravity assist. Queste manovre vengono utilizzate per produrre un aumento di velocità semplicemente sfruttando la gravità del corpo celeste attorno al quale vengono effettuate, senza perciò dover ricorrere ad un consumo di propellente.

Nel momento in cui una sonda effettua un passaggio ravvicinato ad un corpo celeste, tra i due corpi si verifica uno scambio di energia. Il corpo più piccolo (la sonda), catturato dalla gravità del pianeta, viene accelerato e al contempo la sua traiettoria viene deflessa. Il risultato è che la velocità della sonda in allontanamento dal pianeta risulta essere maggiore e con diversa direzione rispetto alla velocità che la sonda aveva in avvicinamento, prima della manovra. I gravity assist possono inoltre essere ingegnerizzati per deviare la traiettoria di una sonda in una direzione desiderata.

Combinando il favorevole allineamento dei pianeti con un’analisi ottimale delle traiettorie, gli ingegneri della Nasa studiarono una sequenza di gravity assist che avrebbe portato le due Voyager a visitare i pianeti esterni, per poi essere proiettate verso i confini del sistema solare. Le due sonde sarebbero “saltate” da un pianeta all’altro scattando immagini e raccogliendo dati. I flyby avrebbero quindi avuto la duplice funzione di accelerare le sonde, in modo tale da poter raggiungere il pianeta successivo, e garantire il sorvolo di quei corpi permettendone l’esplorazione da vicino. La seguente immagine illustra la telemetria della velocità delle due Voyager. I picchi presenti nel grafico indicano i repentini aumenti di velocità in corrispondenza delle manovre di gravity assist attorno ai pianeti.

Telemetria della velocità delle Voyager durante il Gran Tour del sistema solare.

Il profilo di missione prevedeva che la prima sonda avrebbe effettuato in sequenza i flyby di Giove, di Saturno, e della sua luna Titano. Quest’ultima in particolare era di grande interesse a causa della sua atmosfera: un sorvolo su Titano sarebbe infatti stato un’occasione unica per raccogliere dati sulla sua composizione. L’intero programma ruotava intorno a questo obiettivo principale. La seconda sonda fu perciò concepita come eventuale backup della prima, ma con la possibilità di eseguire l’originale Gran Tour del Sistema Solare proposto da Flandro nel caso in cui la prima avesse raggiunto i suoi obiettivi eseguendo lo studio sull’atmosfera di Titano.

Il lancio e le traiettorie

La prima delle due sonde ad essere lanciata fu la Voyager 2, il 20 agosto del 1977. Successivamente, il 5 settembre dello stesso anno, venne lanciata la 1. Nonostante questo ordine di lancio invertito, la traiettoria di Voyager 1 era molto più corta e rapida per cui essa arrivò in corrispondenza del sistema di Saturno con nove mesi di anticipo rispetto alla sua controparte. Se la Voyager 1 non fosse stata in grado di raggiungere il suo obiettivo, fallendo la fionda gravitazionale su Titano, allora la seconda sonda avrebbe avuto tutto il tempo di modificare la sua traiettoria per rimpiazzare la prima nello studio dell’atmosfera del satellite di Saturno, rinunciando al Grand Tour del Sistema Solare più esterno.

Una dimostrazione dell’efficienza che caratterizzò il complesso studio delle traiettorie di questa doppia missione è il fatto che, anche se la sonda 1 non fosse stata in grado di soddisfare l’obiettivo del flyby su Titano, essa sarebbe comunque arrivata in corrispondenza di Plutone. Quello delle Voyager è un caso esemplare di come le traiettorie interplanetarie possano essere ingegnerizzate per ottenere il massimo risultato, in termini di obiettivi scientifici, anche in presenza di failures che possono compromettere l’esito di alcune manovre (in questo caso un flyby).

Ad ogni modo tutto andò come previsto e nel 1980 la manovra di gravity assist su Titano venne operata correttamente da Voyager 1 che fu poi proiettata fuori dal piano dell’eclittica e lanciata verso l’esterno del Sistema Solare. Grazie al successo di Voyager 1 la seconda sonda poté continuare con il “piano A”: il Gran Tour. Nell’agosto del 1981 Voyager 2 eseguì un flyby sul sistema di Saturno che la indirizzò prima verso Urano (1986) e poi verso Nettuno (1989) per poi essere proiettata anch’essa fuori dal sistema solare.

Una missione nella missione

La missione delle due Voyager non si esaurì però con l’esplorazione dei pianeti più esterni. Le manovre di gravity assist conferirono alle due sonde velocità impensabili da raggiungere utilizzando un sistema propulsivo. Fu grazie a queste incredibili velocità che le due Voyager poterono essere “scagliate” verso i confini estremi del Sistema Solare. Per anni le due sonde continuarono a viaggiare nello spazio studiando l’Eliosfera e marcando una serie di pietre miliari nella storia dell’esplorazione spaziale.

Schema della posizione approssimativa delle due sonde Voyager.

L’Eliosfera è la regione di spazio che si sviluppa intorno al sole (nella quale è immerso l’intero Sistema Solare), una sorta di bolla “gonfiata” dal plasma originato dal vento solare. Questa bolla protegge la terra e gli altri pianeti dalla radiazione cosmica interstellare, caratterizzata da una densità molto più bassa rispetto a quella del vento solare, ma da particelle molto più cariche energeticamente. Nel 2004 Voyager 1, seguita dalla 2 nel 2007, attraversò il Termination Shock, la regione in cui il vento solare è rallentato fino a velocità subsoniche. Successivamente le due sonde entrarono nella Elioguaina dove il vento solare risulta invece turbolento e compresso a causa della sua interazione con il mezzo interstellare.

Nel 2010 gli strumenti di Voyager 1 riportarono che la velocità del vento solare verso l’esterno era crollata a zero, e gli scienziati dedussero che la sonda fosse entrata nella Eliopausa, dove il vento solare è rallentato dal mezzo interstellare fino ad essere completamente bloccato. Man mano che le sonde si avvicinavano al bordo della Eliosfera gli strumenti di bordo iniziarono a registrare picchi di energia dovuti alla presenza delle particelle altamente energetiche provenienti dall’esterno della bolla. Finalmente, il 25 agosto del 2012, 35 anni dopo il suo lancio, Voyager 1 abbandonava l’Eliopausa per diventare il primo artefatto dell’umanità a penetrare nello spazio interstellare, seguito da Voyager 2 il 5 novembre del 2018.

Ad oggi le due Voyager continuano la loro traversata nello spazio interstellare trasmettendo, di tanto in tanto, alcuni preziosissimi dati per la nostra comprensione dell’universo. Nel momento in cui questo articolo viene scritto le Voyager hanno percorso rispettivamente 26 miliardi di chilometri e 22 miliardi di chilometri. Nel seguente tool è possibile monitorare in tempo reale la posizione della sonde Voyager 1. Usando la barra di ricerca posta in basso a questo strumento, è possibile cercare una qualsiasi sonda della NASA e osservarne la posizione e le velocità.

Un successo incredibile

Dal giorno del loro lancio le due sonde Voyager ci hanno permesso di accedere a una quantità di dati impressionante. La sensazionalità di questa storica missione risiede nella possibilità di visitare tanti mondi completamente diversi l’uno dall’altro. Dai giganti gassosi ai piccoli pianeti congelati della periferia del sistema solare, passando per i vulcani di Io e l’atmosfera di Titano. Il tutto con due sonde soltanto.

ANNUNCIO

Le Voyager costituiscono un vero e proprio capolavoro ingegneristico, in grado di sopravvivere per più di quarant’anni, sottoposte a condizioni estreme e in continuo cambiamento, man mano che si allontanavano dal centro del sistema solare. Hanno attraversato incolumi la fascia principale degli asteroidi, i fortissimi campi magnetici di Giove e gli anelli di Saturno gettando luci su quelle regioni remote e modificando in modo sostanziale la nostra comprensione del sistema solare.

La previsione di vita delle Voyager è di altri quattro anni. Tale stima deriva dal progressivo consumo dell’isotopo di Plutonio, unica fonte di energia e calore per le sonde. Man mano che la fatidica data stimata per l’esaurimento dell’isotopo (2025) si avvicina, le sonde iniziano ad essere aggredite dal gelo dello spazio interstellare. Inoltre, con l’esaurimento del propellente per il controllo di assetto, indispensabile per garantire il puntamento delle antenne verso terra, non sarà più possibile mantenere attive le comunicazioni. Numerosi strumenti e componenti non indispensabili sono stati spenti negli anni per preservare l’energia necessaria ai sistemi vitali. Nonostante questa lenta e costante agonia le antenne del Deep Space Network della Nasa ricevono ancora, di tanto in tanto, il debolissimo segnale delle due Voyager, che continuano a raccontare l’epilogo di un incredibile viaggio all’esterno della culla nello spazio che è il nostro sistema solare.

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