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La guida completa al James Webb Space Telescope

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Il James Webb Space Telescope è uno dei progetti spaziali più complessi mai sviluppati dalla NASA. Sicuramente lo è fra i telescopi spaziali. Il suo lancio è previsto per la fine del 2021, approssimativamente fra ottobre e novembre. Sarà una data leggermente variabile in funzione della disponibilità del razzo che dovrà portarlo nello spazio, l’Ariane V, e di eventuali ritardi nella sua preparazione. Una volta lanciato il James Webb Space Telescope raggiungerà un punto lagrangiano L2, a 1.5 milioni di kilometri dalla Terra.

In questo approfondimento, scritto da Chiara De Piccoli, Mariasole Maglione, Mila Racca, Nicolò Bagno, Simone Locatelli e Stefano Piccin, vedremo le principali caratteristiche tecniche del telescopio, dagli specchi alla sua propulsione. Approfondiremo inoltre il sistema di lancio e le attività scientifiche che impegneranno questo telescopio. Di seguito è possibile trovare l’indice dei capitoli di questa Guida completa al James Webb Space Telescope.

Introduzione

Il James Webb Space Telescope è il telescopio spaziale successore dell’Hubble Space Telescope. Additare il James Webb come successore di Hubble viene fatto spesso, ed è storicamente corretto. I due telescopi sono infatti parzialmente diversi per quanto riguarda le attività scientifiche e le frequenze osservative, aspetti che saranno analizzati più avanti. Nel 1989, poco prima del lancio di Hubble, venne però già iniziato lo studio di un nuovo grande telescopio spaziale, denominato Next Generation Space Telescope in riferimento al suo essere successivo ad Hubble. Solo nel 2002 il nome del progetto venne cambiato in James Webb Space Telescope, in onore di James Webb, amministratore della NASA dal 1961 al 1968 e uno dei principali responsabili del successo del programma Apollo.

Il telescopio spaziale James Webb può essere diviso in tre grandi sezioni:

  • L’Integrated Science Instrument Module (ISIM) che contiene gli strumenti scientifici e la maggior parte dei sottosistemi elettrici.
  • L’Optical Telescope Element (OTE) che comprende gli specchi (primario, secondario e terziario), la struttura del telescopio e sottosistemi di controllo termico.
  • Il Spacecraft Element che comprende il Bus (la scocca contenente l’elettronica, i serbatoi e i sistemi di propulsione) e il Sunshield, lo scudo termico che protegge gli specchi dalle radiazioni solari.

Nei prossimi tre capitoli saranno analizzati più nel dettaglio questi tre sistemi.

Optical Telescope Element – gli specchi

Per guardare indietro nel tempo fino all’epoca in cui le galassie erano giovani, il James Webb Telescope dovrà spingersi a oltre 13 miliardi di anni luce di distanza da noi. Per poter osservare così lontano necessita di uno specchio grande, che gli consenta di raccogliere più luce possibile. Ecco perché il James Webb sarà dotato dello specchio primario più grande mai costruito per un telescopio spaziale. Con i suoi 6.5 metri di diametro, supera di quasi tre volte lo specchio primario di Hubble. Quest’area molto ampia permetterà al James Webb di raccogliere la debole luce emessa da oggetti molto lontani, nella lunghezza d’onda dell’infrarosso.

A causa della sua ampiezza, lo specchio primario del James Webb Telescope è diviso in 18 segmenti montati su una struttura che si ripiega in 3 sezioni. Una volta in orbita esse si dispiegheranno e si bloccheranno nelle loro posizioni permanenti. Lo specchio secondario è sostenuto da una struttura di supporto a treppiede dispiegabile, che a sua volta si bloccherà in posizione entro le prime settimane dopo il lancio.

Il James Webb Telescope è stato ideato come un telescopio anastigmatico a tre specchi ricurvi. Essi consentono di ridurre al minimo le tre aberrazioni ottiche principali: l’aberrazione sferica, cromatica e l’astigmatismo. Per rendere tutto ciò possibile, lo specchio primario è concavo, il secondario è convesso e funziona leggermente fuori asse, mentre il terziario rimuove l’astigmatismo risultante e appiattisce il piano focale. Inoltre, è presente un ulteriore specchio piatto (fine steering mirror) che può regolare la sua posizione molte volte al secondo per fornire la stabilizzazione dell’immagine. Il rapporto focale effettivo è f / 20 e la lunghezza focale effettiva è 131.4 metri. Tutti gli specchi sono realizzati in berillio.

Lo specchio primario: i segmenti esagonali

Ciascuno dei 18 segmenti dello specchio primario ha un diametro di 1.32 metri; se opportunamente messi in fase, agiscono come un unico specchio di 6.5 metri. Senza tener conto della zona oscurata dai montanti di supporto dello specchio secondario, l’area di raccolta è di 25.4 metri quadri. Ogni segmento dello specchio primario ha attuatori sul retro (minuscoli motori meccanici) per la correzione di lievi variazioni di resa durante le osservazioni. Questo garantisce che le lunghezze focali di tutti i segmenti siano molto simili.

La forma esagonale dei segmenti rende lo specchio segmentato approssimativamente circolare. Si desidera avere una forma complessiva circolare perché focalizza più facilmente la luce in direzione dei rivelatori (mentre uno specchio ovale produrrebbe immagini allungate, per esempio). Inoltre, i segmenti esagonali si adattano insieme senza spazi vuoti; se invece fossero circolari, rimarrebbero zone non riempite nell’area di raccolta.

I quattro tipi di specchio del sistema ottico del James Webb Telescope. Credits: NASA/Ball Aerospace/Tinsley. Traduzione: Astrospace.it

Lo specchio secondario, terziario e il fine steering mirror

Lo specchio secondario è uno specchio circolare convesso di 0.74 metri di diametro. Un set di attuatori consente anche in questo caso il controllo di posizione e orientamento dello specchio. Il primario e il secondario focalizzano la luce in un punto molto vicino all’apertura del resto del sistema ottico, dove un deflettore fisso aiuta a bloccare la luce diffusa. Lo specchio terziario è uno specchio asferico concavo di forma allungata, di circa 0.73×0.52 metri. Esso rimane fermo e non è dotato di attuatori. Ricrea sul fine steering mirror l’immagine dell’apertura primaria, annullando le aberrazioni per fornire una qualità eccellente all’immagine sull’intero campo visivo.

Il fine steering mirror, infine, è uno specchio piatto di alta qualità utilizzato per stabilizzare l’immagine. Durante le osservazioni del James Webb Telescope, verrà regolato continuamente in base a misurazioni effettuate dal sistema di controllo dell’assetto. Lo specchio terziario e il fine steering mirror fanno parte del cosiddetto sottosistema ottico AFT.

Per vedere le prime stelle e galassie nell’Universo primordiale, gli astronomi devono osservare la luce infrarossa da loro emessa e utilizzare un telescopio e strumenti ottimizzati per questa luce. Poiché gli oggetti caldi emettono luce infrarossa, se lo specchio del James Webb avesse la stessa temperatura di quello di Hubble, la debole luce infrarossa proveniente da galassie lontane si perderebbe nel bagliore infrarosso dello specchio. Per questo motivo il James Webb deve essere molto freddo, con gli specchi a circa -220°C. In gergo, “criogenico”. Lo specchio nel suo insieme deve essere in grado di resistere a temperature molto rigide, oltre che a mantenere la sua forma. Questo è uno dei motivi per cui il James Webb Telescope verrà inviato nello spazio profondo, lontano dalla Terra. Le schermature solari proteggono gli specchi e gli strumenti dal calore del Sole, oltre a tenerli separati dal caldo bus della navicella.

Il sistema ottico del James Webb (Optical Telescope Element, OTE). La luce che esce dall’OTE converge sulla superficie focale dell’ISIM (Integrated Science Instrument Module), dove è indirizzata verso gli strumenti scientifici. Credits: Gardner et al. (2016). Traduzione: Astrospace.it

Perché specchi in berillio?

Sulla base degli studi del programma Advanced Mirror System Demonstrator, sono stati costruiti e completamente testati due specchi di prova. Uno è stato realizzato in berillio da Ball Aerospace; l’altro è stato costruito da Kodak (ora Harris Corporation) con un tipo speciale di vetro. È stato scelto un team di esperti per testare entrambi questi specchi, per determinarne il costo, l’efficienza e la possibilità di costruire uno specchio a grandezza naturale da 6,5 metri. Gli esperti hanno raccomandato di selezionare lo specchio in berillio per il James Webb Telescope per diversi motivi, uno dei quali è che il berillio mantiene la sua forma a temperature criogeniche. Inoltre è un buon conduttore di elettricità e calore, e non è magnetico.

Poiché è leggero e resistente, il berillio viene spesso utilizzato per costruire parti di aeroplani supersonici e dello Space Shuttle. Sulla base della raccomandazione degli esperti, Northrop Grumman (la società alla guida della costruzione del James Webb) ha selezionato uno specchio di berillio e la direzione del progetto della NASA Goddard ha approvato questa decisione.

Prestazioni previste

L’ottica del James Webb Telescope è limitata dalla diffrazione per lunghezze d’onda maggiori di 2 micrometri, ma dovrebbe fornire prestazioni eccellenti su tutto il suo intervallo di lunghezze d’onda da 28 micrometri fino a 0,6 micrometri. Il James Webb, quindi, lavorerà nel campo dell’infrarosso e medio infrarosso e avrà qualche capacità di osservazione anche nel campo della luce visibile (in particolare dalla parte rossa a quella gialla dello spettro visibile).
Riuscendo a rilevare la radiazione a lunghezze d’onda così piccole, il James Webb Telescope sarà in grado di andare indietro nel tempo e osservare galassie, ammassi stellari, quasar e buchi neri supermassicci appartenuti all’infanzia del nostro Universo.

ANNUNCIO

La realizzazione

I 18 specchi in berillio leggero del James Webb Telescope si sono fermati 14 volte in 11 diversi luoghi negli Stati Uniti per completare la loro produzione. Il berillio per lo specchio del James Webb è stato estratto nello Utah, si chiama O-30 ed è una polvere fine. La polvere è stata posta in un contenitore di acciaio inossidabile e pressata in una forma piatta. Una volta rimosso il contenitore di acciaio, il pezzo di berillio risultante è stato tagliato per produrre i pezzi grezzi che avrebbero costituito i segmenti dello specchio.

Sei dei 18 segmenti dello specchio primario del James Webb Space Telescope in fase di preparazione per essere trasferiti presso il Marshall Space Flight Center della NASA per i test criogenici. La camera di prova impiega circa cinque giorni per raffreddare un segmento dello specchio a temperature criogeniche. La struttura a raggi X e criogenica di Marshall è la più grande struttura di test per telescopi a raggi X al mondo. Credits: NASA/MSFC/Emmett Givens

Una volta superata l’ispezione, i pezzi sono stati inviati ad Axsys Technologies in Alabama. I primi due sono stati completati nel marzo 2004. Axsys Technologies ha eseguito il processo di modellatura dello specchio, che inizia con la rimozione della maggior parte del metallo sul lato posteriore del pezzo grezzo, lasciando solo una sottile struttura a “nervatura”. Sebbene la maggior parte del metallo sia sparita, le nervature sono sufficienti per mantenere stabile la forma del segmento. Questo rende ogni segmento di specchio molto leggero: la massa è di circa 20 chilogrammi. Un gruppo completo del segmento dello specchio primario, compreso il suo attuatore, pesa circa 40 kg.

Il processo di levigatura e lucidatura che ha seguito la modellazione è stato ripetuto fino a quando ogni segmento dello specchio era quasi perfetto. Poi i segmenti si sono recati al Marshall Space Flight Center della NASA per i test criogenici. Poiché molti materiali cambiano forma quando cambiano la temperatura, i segmenti dello specchio sono stati raffreddati fino alla temperatura che il James Webb sperimenterà nello spazio profondo. La lucidatura finale degli specchi è poi stata completata nel giugno del 2011.

Una volta che la forma finale di un segmento di specchio è stata corretta per eventuali effetti di imaging dovuti alle basse temperature e la lucidatura è stata completa, viene applicato un sottile rivestimento d’oro. L’oro migliora la riflessione dello specchio della luce infrarossa. Per fare ciò, gli specchi vengono posti all’interno di una camera a vuoto, dove una piccola quantità di oro viene vaporizzata e si deposita sullo specchio. Le aree che non vanno rivestite (parte posteriore, meccanismi) sono mascherate. In seguito, un sottile strato di vetro (SiO2 amorfo) viene depositato sulla parte superiore dell’oro per proteggerlo dai graffi in caso di manipolazione. Dopo che il rivestimento in oro è stato applicato, gli specchi sono tornati nuovamente al Marshall Space Flight Center per una verifica finale della forma della superficie dello specchio a temperature criogeniche. I segmenti dello specchio erano ora completi.

Tutti gli specchi in berillio del James Webb Telescope, con un sottile rivestimento d’oro. Credits: NASA. Traduzione: Astrospace.it

L’assemblaggio

Entro la fine del 2013, tutti i 18 segmenti dello specchio primario, lo specchio secondario e il terziario si trovavano al Goddard Space Flight Center della NASA nel Maryland. Gli specchi sono stati riposti in appositi contenitori protettivi nella camera bianca, in attesa dell’arrivo della struttura di volo del telescopio. Tale struttura è arrivata alla NASA Goddard nell’agosto 2015. È stata spostata allo stand di assemblaggio nel novembre 2015, quando è stato assemblato lo specchio primario. L’ultimo specchio è stato installato nel febbraio 2016. Per essere protetti durante l’assemblaggio, gli specchi sono stati dotati di coperture nere leggere, che sono state rimosse una volta che il sistema ottico è stato completamente assemblato.

Successivamente, gli strumenti scientifici sono stati integrati nel telescopio. Durante la permanenza a Goddard, il telescopio è stato anche sottoposto a test ambientali, sia acustici che di vibrazione, per garantire che sarà in grado di resistere ai rigori del lancio. Completato con successo, il telescopio è stato inviato alla NASA Johnson a Houston, in Texas, per i test delle ottiche e degli strumenti a temperature criogeniche. La Camera A di Johnson della NASA è l’unica camera a vuoto termico che la NASA ha abbastanza grande per Webb! Nel paragrafo Perché ci hanno messo così tanto a costruirlo? verranno trattati nel dettaglio tutti i test eseguiti sul James Webb Space Telescope.

Integrated Science Instrument Module – gli strumenti scientifici

Integrated Science Instrument Module (ISIM) è il cuore del telescopio. In questa struttura sono contenuti i quattro strumenti del Webb, ed è posta sul retro dello specchio primario. Gli strumenti scientifici a bordo sono quattro:

  • Mid-Infrared Instrument (MIRI)
  • Near-Infrared Camera (NIRCam)
  • Near-Infrared Spectrograph (NIRSpec)
  • Fine Guidance Sensor/ Near InfraRed Imager and Slitless Spectrograph (FGS/NIRISS)
Uno schema dei quattro strumenti a bordo. Per ognuno, dall’alto, le componenti, la lunghezza d’onda nella quale osserveranno, il campo visivo, le modalità di immagine e le modalità spettroscopiche. Credits: Space Telescope Science Institute.

L’ISIM è stato diviso in tre sezioni, per facilitare l’inserimento e la gestione degli strumenti scientifici. Il primo segmento è chiamato cryogenic instrument module e serve per contenere i quattro strumenti e raffreddarli a 39 gradi Kelvin (-234 C°). Questo raffreddamento è richiesto soprattutto nella prima fase di operazioni del telescopio, per evitare che il calore del Webb interferisca con le osservazioni. Successivamente la temperatura è mantenuta anche dalle protezioni termiche (il sunshield).

La seconda parte del ISIM è un compartimento contenente l’elettronica. Anche questa sezione è a temperatura controllata, per permettere il funzionamento delle apparecchiature. Infine, la terza regione è contenuta all’interno del Bus del Webb e al suo interno si trovano il sottosistema di comando e di gestione dei dati. E’ inoltre presente il software di bordo, e il MIRI cryocooler compressor, un sistema che raffredda in modo indipendente lo strumento MIRI.

Mid-Infrared Instrument (MIRI)

MIRI fornirà immagini nel medio infrarosso, in una frequenza fra i 4.9 μm fino ai 28.8 μm. I suoi obbiettivi scientifici sono le galassie lontane, le stelle di nuova formazione e le comete appena visibili, nonché gli oggetti nella fascia di Kuiper. Sarà lo strumento che permetterà foto ad ampio campo e a banda larga più simili a quelle che hanno reso famoso Hubble. MIRI contiene anche un coronografo Lyot e tre coronografi a maschera di fase a 4 quadranti ottimizzati per la regione spettrale del medio infrarosso. Il modulo spettrografo fornisce invece spettroscopia a media risoluzione su un campo visivo più piccolo rispetto all’imager.

MIRI funzionerà ad una temperatura di 7 gradi Kelvin (-266 C°) una temperatura che non può essere raggiunta tramite il raffreddamento passivo del Webb. Per questo nella terza regione dell’ISIM è montato un criorefrigerante dedicato. Funziona tramite un processo a due fasi: un preraffreddamento con un tubo a impulsi riduce lo strumento a 18K; uno scambiatore di calore Joule-Thomson Loop lo abbatte infine fino a 7 K. Lo strumento Mid-Infrared Instrument è stato sviluppato dal MIRI Consortium, un gruppo di scienziati ed enti europei in collaborazione con il JPL e altri enti americani. Maggiori informazioni sullo strumento MIRI si possono trovare della tecnical page dello strumento.

Near-Infrared Camera (NIRCam)

La NIRCam osserva lo spazio in una lunghezza d’onda dai 0.6 µm ai 5 µm (Cioè dal rosso al vicino infrarosso). E’ la camera principale del James Webb e l’unico strumento che osserverà nel vicino infrarosso. Sarà utile per una grandissima varietà di investigazioni, in particolare per lo studio degli esopianeti, data la presenza di coronografi in grado di bloccare la luce proveniente da una stella. La NIRCam è dotata di un campo visivo di 2.2 x 2.2 minuti d’arco, con una risoluzione di 0.07 arcsec a 2 micron. E’ stata progettata dall’Università dell’Arizona e dal Lockheed Martin’s Advanced Technology Center. Maggiori informazioni sullo strumento NIRCam si possono trovare della tecnical page dello strumento.

In alto a sinistra il MIRI; In alto a destra la NIRCam; in basso a destra il NIRISS; in basso a sinistra il NIRSpec

Near-Infrared Spectrograph (NIRSpec)

Il NIRSpec è uno spettrometro che osserverà nelle lunghezze d’onda fra i 0.6 µm e i 5 µm. Come spettrometro, disperderà le radiazioni in arrivo nelle varie lunghezze d’onda, per formare uno spettro. In questo modo sarà possibile ricavare informazioni sulla composizione, massa e temperatura dell’oggetto da cui proviene quella radiazione. Molti degli obbiettivi del Webb sono però stelle e galassie molto lontane, e dovranno quindi essere osservate per centinaia di ore prima di raccoglierne abbastanza luce per un’analisi spettroscopica precisa. Per facilitare questo lavoro, il NIRSpec riuscirà ad osservare centinaia di obbiettivi scientifici contemporaneamente, ed è il primo spettrometro spaziale al mondo a poterlo fare.

Per permettere questa capacità multioggetto NIRSpec è dotato di un microshutter array, un sistema di celle, ciascuna grande come un capello umano e che può essere aperta o chiusa in modo indipendente. Coprendone una, si riesce a mascherare (o osservare) una determinata parte del cielo. NIRSpec è stato costruito da Airbus per l’Agenzia Spaziale Europea, mentre la NASA ha fornito il Micro-Shutter Array (MSA) e il sub-systems detector. Maggiori informazioni sullo strumento NIRSpec si possono trovare della tecnical page dello strumento.

Fine Guidance Sensor/ Near InfraRed Imager and Slitless Spectrograph (FGS/NIRISS)

Il NIRISS osserverà lo spazio nelle lunghezze d’onda fra i 0.6 μm e i 5 μm completando le osservazioni nel vicino infrarosso di NIRSpec e NIRCam. Il suo design completamente riflettente consente la spettroscopia grism a bassa risoluzione e ad ampio campo oltre a spettroscopia grism a media risoluzione, ottimizzata per applicazioni che richiedono estrema stabilità spettrofotometrica. Infine, permetterà interferometria di mascheramento dell’apertura e imaging parallelo tramite filtri abbinati a quelli disponibili con NIRCam. Il Il Fine Guidance Sensor (FGS) è invece un puntatore, usato per mantenere il telescopio nella giusta posizione e puntarlo sugli obbiettivi scientifici giusti.

Il FGS/NIRISS è un contributo dell’Agenzia Spaziale Canadese. Maggiori informazioni sullo strumento NIRISS si possono trovare della tecnical page dello strumento.

Spacecraft Element – il Bus e il Sunshield

Con una massa di circa 350 kg, il “bus” del James Webb è il vero centro nevralgico di tutto il telescopio da 6.5 tonnellate. Nell’industria aerospaziale si è soliti definire un “bus” come quella struttura deputata alla gestione di navigazione, energia, propulsione, elettronica e comunicazione. Quando si osserva un normale satellite di telecomunicazioni, possiamo definire il bus con la quasi interezza di tutto il satellite, ossia la “scatola” da cui si diramano pannelli solari ed antenne.

Alcuni tecnici di Northrop Grumman lavorano ad un mockup del bus del JWST nel 2014. Credit: Northrop Grumman.

Queste ultime sono invece una sorta di carico specifico, ovviamente diverso per ogni esigenza dei clienti. In parole povere, il bus, è il telaio su cui vengono inseriti degli strumenti. Nel caso del James Webb, il telaio è molto più piccolo rispetto allo specchio, che è praticamente il principale strumento, ed è per questo che risulta spesso difficile anche solo individuare il bus da una foto. In totale il bus gestisce sei diversi sottosistemi principali del telescopio. Il primo riguarda l’energia elettrica. La produzione dell’energia elettrica avviene tramite diversi pannelli solari. Tra questi ne è presente uno principale (in verde nella immagine poco sotto) dispiegabile a 6m, attaccato direttamente al bus. Nonostante le dimensioni mastodontiche del telescopio, il James Webb utilizza solo 1kW, all’incirca la potenza di un forno elettrico.

Ci sono poi i sottosistemi per il controllo dell’assetto e delle comunicazioni. Il primo si avvale di due giroscopi principali e altri quattro di riserva. I giroscopi in questione non sono dei normali strumenti meccanici ma degli HRG (Hemispherical resonator gyroscope). Tali strumenti utilizzano una semisfera di quarzo che è stata modellata precisamente, in modo che risuoni in modo molto prevedibile. L’emisfero è circondato da elettrodi che guidano la risonanza, ma rilevano anche piccoli cambiamenti nel suo orientamento, permettendo di ottenere l’informazione della posizione del telescopio. Per mantenere un aspetto stabile, il James Webb possiede anche sei ruote di reazione. Ossia degli strumenti che permettono di modificare la posizione del telescopio grazie alla conservazione di momento angolare.

Viste progettuali del BUS del James Webb Space Telescope. In verde il pannello solare principale. Credits: Northrop Grumman

Le comunicazioni e la propulsione

La comunicazione del James Webb con la terra avviene tramite due antenne: una ad alto guadagno, in banda Ka, di 0.6 m e la seconda a medio guadagno in banda C, con diametro 0.2 m. Entrambe le antenne sono montante su un unico supporto noto come HGA, e possono operare in contemporanea. La velocità massima di trasmissione (di default) e di 3.5 Mb/s, molto bassa per gli standard terrestri ma ottimale per l’utilizzo del telescopio. Il sistema di Command and Data Handling Subsystem (C&DH), è il vero e proprio cervello che si occupa di gestire il bus in tutte le sue funzioni e riceve le istruzioni dal sistema di comunicazione. Il sottosistema in questione modera anche l’interazione tra i dati degli strumenti scientifici e la comunicazione.

Il sottosistema di propulsione è sicuramente uno degli elementi più critici di tutto il telescopio e probabilmente quello che più di tutti determinerà la durata operativa dell’intera missione che è stabilita in 10.5 anni. L’apparato di propulsione del James Webb utilizza due tipologie di motori: SCAT e MRE-1. I primi sono detti a bipropellente in quanto impiegano idrazina e tetraossido di diazoto. In totale ci sono quattro SCAT, messi in coppia per ridondanza.

Il ruolo degli SCAT è effettuare le manovre più importanti in termini di DeltaV. Il primo paio di SCAT, al di sotto del bus, verrà utilizzato solo nella fase iniziali della vita del telescopio e prima del dispiegamento del sunshield. La seconda coppia è posta sempre nel bus, nel lato opposto a quello dei panelli solari e sarà utilizzata per aggiustare l’orbita una volta che il Webb sarà nel punto L2. Al fine di pressurizzare il propellente, ci sono anche due serbatoi di Elio, una soluzione tipica in ambito aerospaziale. I motori MRE-1, in totale otto, sono utilizzati per il controllo momento torcente della ruote di reazione. A differenza degli SCAT, questi motori sono a monopropellente, ossia idrazina.

Ultimo ma non meno importante è il sistema di controllo termico, il quale serve a mantenere costante la temperatura nel telescopio. Questa temperatura presenta una netta differenza tra le due “facce”: quella rivolta verso il sole del bus, e la più fredda, quella dello specchio. Il sistema si compone di due radiatori dispiegabili noti come Deployable Radiator Shade Assemblies DRSA, uno verticale ed uno orizzontale.

Lo scudo termico

Insieme al sistema di controllo termico, è presente un enorme schermo, che divide il telescopio nelle sue parti fredda e calda. Il Sunshield si compone di cinque diversi strati, distanziati e costruiti in un materiale poliammide chiamato Kapton. Questo materiale è rivestito da alluminio e da un silicio sottoposto a drogaggio, che permette di aumentare al massimo la riflessione della radiazione solare.

Il Kapton è un materiale sviluppato negli anni sessanta da DuPont, ed oltre a essere molto resistente alle alte temperature ha la peculiarità di rimanere molto stabile in un ampio range, tra -269 e 400 gradi Celsius. Il Kapton è ampiamente utilizzato in diversi ambiti spaziali e non. Uno dei più famosi esempi è il suo uso come rivestimento dei cavi dello Space Shuttle. Per quanto riguarda il silicio, esso è sottoposto ad un processo di drogaggio che lo rende elettricamente conduttivo. Tale rivestimento deve avere tale caratteristica in modo che le membrane possano essere messe a terra elettricamente rispetto al resto del JWST e non creino una carica elettrica statica sulla loro superficie. Il silicio ha un’elevata emissività, il che significa che emette calore e luce, agendo per impedire al calore del sole di raggiungere gli strumenti a infrarossi che si trovano al di sotto di esso.

Le veli solari del James Webb Space Telescope. A sinistra, durante le prime operazioni di dispiegamento. Credit: Northrop Grumman.

Il compito del susnhield è fornire un ambiente freddo e stabile per i sensibili specchi di Berillio. Per garantire tale condizione sono presenti i cinque strati, disposti a forma di aquilone e precisamente distanziati. Il design a strati nasce dalla necessità di poter avere una dissipazione del calore ottimale. Nel caso specifico, questo avviene non solo nella parte opposta allo specchio ma anche ai lati del sunshield. L’idea è che ogni strato abbia una temperatura sempre più bassa fino ad arrivare al più freddo rivolto verso lo specchio. Ogni strato presenta un diverso spessore e geometria. Il primo, rivolto verso il sole, ha uno spessore di 0.05 millimetri ed i restanti quattro di 0.025 mm. I vari rivestimenti sono invece nell’ordine dei nanometri: 50 nm per il silicio e 100 nm per l’alluminio. Ogni strato è progressivamente più curvo, a partire dal più piatto che rimane quello rivolto verso il sole.

I progettisti del James Webb considerano quattro strati più che sufficienti per le operazioni del telescopio. Il quinto stato è stato aggiunto come misura precauzionale nei confronti di minore efficienza degli altri altri, e soprattutto come protezione nel caso di micrometeoriti.

Cosa osserverà e cosa studierà?

Lo scopo di James Webb non è quello di sostituire Hubble, come pensano alcuni. HST, nonostante la sua età, ci fornisce immagini ancora ottime nello spettro visibile e le manovre di manutenzione effettuate nel 2009 gli permetteranno di godersi l’orbita ancora per qualche anno. JWST osserverà a lunghezze d’onda maggiori di Hubble: il range osservativo del James Webb andrà da 0.6 a 28 micrometri, quindi dalla luce visibile dorata fino a quella invisibile infrarossa. Il limite inferiore è dato dal rivestimento d’oro sullo specchio primario, mentre il cut-off finale è dato dalla sensitività del detector nelle strumento per il medio-infrarosso. Qui di seguito sono elencati gli obiettivi osservativi che gli astronomi si sono prefissati.

1. Studiare la formazione delle prime stelle e galassie

Uno dei principali obiettivi del Webb sarà quello di studiare la formazione delle prime stelle nell’Universo primordiale. Questo evento sappiamo essersi verificato a un redshift compreso tra 15 e 30, che corrisponde a circa 100-200 milioni di anni dopo il Big Bang. La luce che ci arriva da questo Universo remoto ha dunque viaggiato 13,6 miliardi di anni per arrivare fino ai nostri telescopi, e la sua lunghezza d’onda è stata spinta verso il vicino infrarosso e l’infrarosso.
In altre parole, per stelle e galassie formate nell’universo primordiale, è necessario osservare indietro nel tempo ad oggetti che si allontanano da noi sempre più velocemente. Questo implica un redshift sempre maggiore che spinge le lunghezze d’onda a valori sempre più alti.

2. Indagare la formazione di stelle e pianeti

La formazione di stelle e pianeti è un evento che, nell’universo locale, trova sede in dense nubi di polvere. Le particelle di polvere tendono ad oscurare la luce visibile, mentre non ostacolano la radiazione infrarossa. Ciò permetterà al JWST di studiare i processi che conducono alla formazione dei pianeti.

Illustrazione artistica dell’esopianeta K2-18b, la sua stella ospite e un altro pianeta del sistema. E’ l’unica super-Terra finora conosciuta ad avere sia l’acqua che una temperatura adeguata a sostenere la vita. E’ tra i potenziali target del James Webb Telescope. Credits: ESA/Hubble, M. Kornmesser
3. Andare a caccia di esopianeti

Il nuovo telescopio sarà dotato di un coronografo per bloccare la luce della stella madre di un sistema planetario. Questo gli permetterà di rilevare la presenza di esopianeti e, in particolare, di pianeti giovani caldi in formazione, grazie al metodo dell’imaging diretto. Qui un approfondimento sui metodi di rilevazione degli esopianeti. Webb sfrutterà anche il metodo del transito per la rivelazione di pianeti extrasolari, osservando il calo del flusso di una stella al passaggio di un pianeta davanti ad essa. Infine, analizzando la luce di una stella attraverso l’atmosfera di un pianeta, JWST sarà in grado di studiare le proprietà chimiche e fisiche dei sistemi planetari, fornendo informazioni sulla presenza di acqua e carbonio, motivo di indagine sulla presenza o meno di vita.

4. Studiare gli oggetti rocciosi e ghiacciati che popolano le zone più esterne del nostro sistema solare

James Webb si occuperà anche di verificare i modelli di formazione del Sistema Solare, attraverso lo studio dei suoi corpi. Tra i diversi oggetti di studio sono inclusi il pianeta nano Plutone, le lune dei pianeti giganti gassosi, comete, asteroidi e, in generale, altri corpi presenti nella Kuiper Belt.
Non da meno il telescopio ci sarà utile per osservare i pianeti Marte, Giove, Saturno, Urano e Nettuno.

5. Contribuire all’indagine sull’energia oscura

James Webb, grazie all’osservazione di Supernovae ad alto redshift, nell’infrarosso, sarà in grado di fornire informazioni complementari a quelle che ci saranno fornite dal Wide-Field Infrared Survey Telescope (WFIRST), un futuro telescopio spaziale ideato per rivelare le proprietà dell’energia oscura.

Cosa potrebbe scoprire?

Sono molteplici gli obiettivi scientifici del James Webb Telescope. Ma se tutto andasse per il meglio e le sue altissime prestazioni ci consentissero di indagare a fondo sui segreti del nostro Universo come mai abbiamo fatto prima, cosa riusciremmo a scoprire?

1. La verità sulla nascita e la struttura del nostro Universo.

Diverse sono le teorie riguardanti l’infanzia del nostro Universo; le più accreditate partono con il Big Bang, ma successivamente c’è ancora ben poco che conosciamo. Per esempio, non sappiamo molto sul periodo dell’universo in cui l’idrogeno neutro si è reionizzato, o su come la struttura a larga scala si sia formata e abbia portato all’evoluzione in cui oggi siamo coinvolti. Il James Webb ci consentirà di arrivare così indietro nel tempo da conoscere come si sono formate le prime strutture stellari, aiutandoci a comprendere quali delle nostre teorie sono veritiere e quali vanno completamente riviste.

2. L’accensione delle prime stelle e la nascita delle galassie.

Quando sono iniziate le prime reazioni di fusione nucleare all’interno delle stelle? E cosa è accaduto a partire da allora? Il James Webb potrebbe scoprire che abbiamo ragione a credere che le prime galassie nane ricche di gas si siano formate in seguito alle esplosioni di supernova delle stelle primordiali e che siano le progenitrici delle galassie attuali. Oppure potrebbe stravolgere tutte le ipotesi da noi finora avanzate.

3. Segni di vita fuori dal nostro Sistema Solare.

Una ricerca recente di un team della Ohio State University mostra che il James Webb potrebbe rivelare una potenziale firma di vita su pianeti extraterrestri in appena 60 ore di osservazione. I pianeti nani gassosi, infatti, hanno il potenziale per favorire la vita, ma poiché non ce ne sono nel nostro Sistema Solare, è difficile determinare se le loro atmosfere contengano ammoniaca o altri potenziali segni di presenza di vita. I ricercatori, guidati da Caprice Phillips, hanno modellato il modo in cui gli strumenti scientifici del James Webb avrebbero risposto a condizione atmosferiche variabili. Questa ricerca ha permesso solo di produrre un elenco classificato di dove il telescopio dovrebbe cercare la vita, e suggerisce che, se essa è davvero presente lì fuori, stavolta abbiamo le conoscenze scientifiche e le capacità tecnologiche per scoprirlo.

Perché ci hanno messo così tanto a costruirlo?

Prima di affrontare lo spazio, è necessario che il telescopio spaziale venga testato con estrema cura. Questa esigenza deriva dalla peculiarità del suo posizionamento, operando a circa 1.5 milioni di km dalla Terra. A tale distanza sarà impossibile effettuare operazioni di manutenzione, e per questo è fondamentale l’esecuzione e il superamento di così tanti test durante la costruzione. Ecco i principali test che ha dovuto superare il James Webb Space Telescope.

Test ambientali

La prima sfida che il James Webb dovrà superare è l’uscita dall’atmosfera terrestre. Nel viaggio burrascoso a bordo del vettore Ariane V, è estremamente importante che tutte le componenti sopravvivono alle vibrazioni e al rumore assordante del liftoff. Per questo motivo, sono stati eseguiti i cosiddetti test ambientali sulle singole componenti del James Webb e, una volta assemblato, sull’intera struttura. Questo tipo di test consiste nel sottoporre ogni elemento del telescopio a vibrazioni e rumori simili a quelli sperimentati durante il lancio.

Di particolare importanza, sono stati i test eseguiti sullo specchio primario: per verificare che le sollecitazioni del decollo non indebolissero la struttura, è stato necessario misurare la variazione della forma dei segmenti, il cui limite massimo è di 25 nm. Estremamente piccolo, se confrontato con lo spessore di un capello, che raggiunge circa i 70 000 nm.

L’ultimo test ambientale risale ad ottobre 2020. James Webb è stato sottoposto ad un livello di pressione sonora oltre i 140 decibel. L’enorme mole di dati raccolti durante l’esperimento è stata analizzata fornendo un primo esito positivo. Successivamente, con il secondo test è stata testata la resistenza alle vibrazioni del lancio, coprendo così l’intero range di sollecitazioni che sperimenterà il telescopio durante il decollo.

In questa foto, i tecnici e gli ingegneri della NASA stanno eseguendo i test acustici e vibrazionali sul telescopio spaziale James Webb. Credits: NASA/Chris Gunn

Test criogenici

Una volta nello spazio, a danneggiare il James Webb saranno anche le basse temperature a cui dovrà operare. E’ stato quindi fondamentale testare la resistenza al gelo spaziale di ogni singola componente del telescopio, dai segmenti dello specchio agli strumenti scientifici del ISIM (Integrated Science Instrument Module). Questi ultimi sono stati testati nella camera nota col nome di Space Environment Simulator. In questo ambiente viene creato il vuoto e la temperatura cala fino a 40 Kelvin (-233,15 °C), grazie alla presenza di azoto liquido ed elio gassoso. Con la stessa logica sono state testate anche le altre componenti.

Mantenere il telescopio alla giusta temperatura è estremamente importante: si tratta infatti di un requisito indispensabile per il rilevamento della debole luce infrarossa. Per questo motivo è stato dotato di un Sunshield (“parasole”), uno scudo termico in grado di proteggere l’osservatorio dalle temperature più calde del lato rivolto verso il sole. Un’altra camera a vuoto utilizzata frequentemente per testare la resistenza criogenica del telescopio è la Chamber A, situata presso il Johnson Space Center della Nasa, a Houston. E’ l’unica camera sufficientemente grande da contenere l’enorme struttura del James Webb.

Un’immagine della Chamber A nella cleanroom del Johnson Space Center della NASA. Credits: NASA/Chris Gunn

I test sull’elettronica e sulle comunicazioni

Una volta assemblato definitivamente, nel telescopio sono stati ripetuti alcuni esperimenti per testare il funzionamento dell’elettronica e dei software che guideranno James Webb, oltre che le sue comunicazioni con i team di ricerca a Terra.

Prima di essere del tutto assemblato nell’agosto del 2019, le due componenti, l’ottica e lo spacecraft, sono state testate separatamente sfruttando dei simulatori di massa per la rispettiva parte mancante. Questi test però non forniscono dei risultati precisi e accurati come quelli eseguiti una volta completato il montaggio del telescopio spaziale. Superati tutti i check ambientali e criogenici, è necessario testare il lavoro della struttura nel suo complesso.

A luglio del 2020 è stata completata per la prima volta l’analisi elettronica e dei software dell’intero osservatorio. Noto col nome di Comprehensive System Test, questo test è stato eseguito senza l’utilizzo di simulatori per integrare le funzionalità dei pezzi non ancora assemblati. L’obiettivo di questo esperimento è verificare che tutte le componenti siano in grado di comunicare all’unisono, testando individualmente e successivamente nell’insieme, le varie unità di codice dei software. Qualora si riscontrasse un bug, l’intera sequenza di codici deve essere ripetuta al fine di evitare comportamenti inaspettati del sistema una volta nello spazio. Per completare questo test sono serviti 15 giorni in cui i team di tecnici hanno lavorato 24 ore su 24.

James Webb non dovrà comunicare solamente tra tutte le sue componenti ma anche con la Terra, in attesa dei suoi preziosissimi dati. Per testare questo tipo di comunicazioni viene eseguito il Ground Segment Test. La complessa rete che si occupa dell’invio dei comandi e dello scaricamento dei dati scientifici è stata verificata simulando delle comunicazioni tra il MOC (Mission Operations Center) e i quattro strumenti scientifici del JW. Ognuno di loro è stato movimentato e messo in funzione, simulando una vera e propria raccolta dati. Per rendere il tutto più reale possibile, il telescopio è stato collegato al Deep Space Network (DSN), un array internazionale di antenne radio giganti usate dalla NASA per comunicare con diverse missioni spaziali.

Una volta completato il test ambientale dell’ottobre 2020, le ultime due verifiche descritte sono state nuovamente eseguite. I risultati ottenuti a seguito degli ultimi test acustici-vibrazionali e meccanici devono essere compatibili con quelli iniziali, confermando che il James Webb è sempre più pronto a lasciare la Terra.

Per testare la preparazione del James Webb al suo viaggio nello spazio, è stato eseguito il test di dispiegamento della Deployable Tower Assembly di circa 1.2 metri nel corso di diverse ore per verificare che l’osservatorio è in grado di eseguire lo stesso comando nello spazio. Il funzionamento di questa componente è fondamentale per le missioni che deve compiere JW. Credits: Northrop Grumman

Test di dispiegamento

A causa delle sue maestose dimensioni, è stato necessario predisporre alcuni dei suoi elementi al ripiegamento. Non esiste infatti un vettore in grado di trasportare James Webb nello spazio nella sua forma finale. Così, una volta immerso nell’oscurità stellata saranno necessarie alcune manovre per aprirsi in tutta la sua bellezza. Eseguire questo tipo di manovre sulla Terra rappresenta un’ulteriore sicurezza del corretto funzionamento del telescopio e del superamento di tutti i test precedenti.

Tra i più importanti è sicuramente il test sul dispiegamento dello specchio primario. Eseguito a Marzo del 2020, lo specchio è stato svelato nella stessa configurazione che assumerà nello spazio. Per simulare l’assenza di gravità è stato utilizzato un equipaggiamento apposito, essendo estremamente importante testare l’apertura dei sei segmenti ripiegati in un ambiente praticamente simile a quello spaziale. “Questa è una grande conquista e un’immagine di ispirazione per l’intero team” afferma Lee Feinberg, optical telescope element manager del Webb al Goddard Space Flight Center della NASA, riferendosi al successo del test.

A maggio 2021, è stato ammirato per l’ultima volta sulla Terra lo specchio primario del telescopio. A questo, infatti, è stato ordinato di aprirsi e fissarsi, con la stessa sequenza di comandi che riceverà una volta arrivato nello spazio. Un checkpoint nella lunga serie di test sviluppati nella preparazione dei 18 specchi esagonali che lo compongono.

Un altro elemento fondamentale del James Webb è il Deployable Tower Assembly. Questa componente connette e supporta le strutture dell’ottica e dello spacecraft. Gioca inoltre un ruolo importante nel mantenimento stabile della temperatura del JW e nell’adattamento all’interno del vettore che lo porterà nello spazio. Durante il test, è stato simulato l’ambiente di zero gravità per rendere l’esperimento il più realistico possibile. La torre è stata estesa molto lentamente di 1.2 metri nel corso di diverse ore, simulando le manovre da eseguire nello spazio. Condotto a giugno e novembre del 2020, verrà nuovamente testato almeno altre due volte prima del lancio, previsto per la fine del 2021.

In attesa di una data di lancio più precisa di quella nota da mesi del 31 ottobre 2021, a seguito di un problema riscontrato sull’Ariane V, i team incaricati si sono preparati per eseguire gli ultimi test. Questi coinvolgono il sistema di radiatori, che permette all’osservatorio di raffreddarsi, e la Deployable Tower Assembly, che verrà ancora una volta dispiegata per controllare il suo corretto funzionamento. E’ stata cruciale l’attesa del semaforo verde di queste ultime verifiche, per poter salutare finalmente James Webb e spedirlo alla Guyana Francese per il lancio.

L’orbita di destinazione, il lancio

Il James Webb Space Telescope andrà posizionato a 1.5 milioni di km dalla Terra, in una posizione nota come Punto Lagrangiano L2. I punti di Lagrange prendono il nome dal matematico risolutore del “problema dei tre corpi”, il quale risolse questo problema nell’ipotesi che la massa di un corpo sia trascurabile rispetto a quella degli altri due. Stante a queste condizioni, l’equazione del moto per il corpo meno massivo presenta soluzioni analitiche perfette, le quali non differiscono dalla realtà fisica nonostante l’approssimazione. In questo caso il James Webb è il corpo meno massivo, rispetto al Sole e alla Terra. Nel seguente video è presente un’animazione dell’orbita del James Webb a partire dalla Terra.

I punti di Lagrange sono quindi precise posizioni presenti nello spazio dove le forze agenti sul corpo minore si bilanciano, creando condizioni di equilibrio.
Nel sistema Sole-Terra i punti in questione sono 5 e si identificano in “L1, L2, L3, L4, L5”. I primi tre sono situati sulla congiungente dei due corpi dalla massa maggiore, mentre gli ultimi due ruotano assieme al secondo corpo meno massivo con rispettivamente un anticipo ed un ritardo di fase di 60°. Le condizioni di equilibrio permettono al terzo corpo di mantenere una posizione fissa rispetto ai due corpi massivi, questo implica che se il James Webb fosse fisso in L2, allora rivoluzionerebbe attorno al Sole con il medesimo periodo della Terra nonostante si trovi ad una distanza maggiore.

Per il James Webb è stata scelta l’orbita attorno al punto L2 principalmente per l’illuminazione, in questa posizione infatti la luce ed i riflessi solari risultano stabili, il che comporta escursioni termiche gestibili per le strumentazioni volte all’osservazione dello spazio profondo. Inoltre, il James Webb non rimarrà stazionario in L2, ma orbiterà attorno a tale punto con periodo di circa 6 mesi. Seguendo questo sistema di orbite (12 mesi attorno al sole e 6 attorno a L2) il telescopio sarà relativamente vicino alla Terra per le trasmissioni delle informazioni, mantenendo Sole, Terra e Luna dietro di esso, capaci di alimentare il telescopio mediante i pannelli solari posti sul retro e permettendo comunque osservazioni 24/7.

Infografica delle principali fasi pre e post lancio. Credits: ESA. Traduzione: Astrospace.it

Un altro motivo è rappresentato dalla posizione opposta al Sole. Trovandosi in L2 il telescopio sarà parzialmente protetto dalla Terra e dal suo campo magnetico da tutte le radiazioni e particelle provenienti dal Sole.

L’arrivo allo spazioporto di Kourou

Uno spaccato dell’Ariane V con a bordo il James Webb ripiegato. Credits: ESA-Ariane Space

Per trasportare il James Weeb sino in Guyana è stato necessario costruire un apposito container, denominato “STTARS” (Space Telescope Transporter for Air, Road, and Sea). Come indicato nell’acronimo, tale container proteggerà il telescopio su ogni mezzo di trasporto utilizzato. Le ottiche ed i sensori del JW sono stati inseriti in questo container al Goddard Space Flight Center in Maryland, anche quando hanno raggiunto per via aerea il Johnson Space Center di Houston per gli ultimi test.

Sempre mediante un aereo cargo, STTARS ha raggiunto la struttura principale del telescopio al Northrop Grumman Aerospace Systems, in California, dove il telescopio è stato interamente assemblato ed inserito in uno SSTARS maggiorato, chiamato “Super STTARS”. A bordo di quest’ultimo raggiungerà lo spazioporto dell’ESA in Guyana Francese. Il secondo container utilizzato pesa all’incirca 75000 Kg, circa 12 volte il peso del James Webb (6350 kg). Tale massa è necessaria per evitare movimenti indesiderati che potrebbero compromettere il funzionamento del telescopio durante il trasporto. Una volta

L’Ariane V è stato scelto dalla NASA innanzitutto come parte del contributo europeo al programma del telescopio James Webb Space Telescope. Il lancio, anche per un progetto costoso come il Webb, è infatti una percentuale non indifferente del budget totale. Questa però non è l’unica ragione. Il vettore di lancio è stato scelto dalla NASA nel 2005. Questo è dovuto al fatto che molte delle fasi di costruzione e delle scelte progettuali del Webb andavano fatte sulla base della geometria e delle caratteristiche del vettore di lancio. Nel 2005, il vettore Ariane V, ancora attivo ora, aveva già un altissimo livello di affidabilità. Dato il progetto, la NASA non bada infatti a spese pur di correre meno rischi possibile durante il lancio.

Il lancio

La spinta del vettore europeo avrà durata poco superiore agli 8 minuti, passata mezz’ora dal lancio, il telescopio si sgancerà anche dall’ultimo stadio ed inizierà a dispiegare i pannelli solari. Solo un’ora e mezza più tardi verrà distesa l’antenna. I propulsori presenti sul Webb permetteranno le indispensabili correzioni di traiettoria: la prima avrà luogo a 12 ore dal lancio, mentre la seconda avverrà nelle 48 ore successive.

Solo dopo la seconda correzione potranno iniziare le manovre per la messa in posizione degli strumenti. I primi a posizionarsi saranno il parasole di prua e di poppa, seguiti dal telescopio, manovra per la quale i due moduli del Webb dovranno distaccarsi di circa 2 metri. Una volta posizionato il telescopio, le membrane parasole potranno essere distese e accuratamente messe in tensione. Lo specchio secondario e quelli laterali saranno posizionati dopo 6 giorni dal lancio.

Le prime operazioni scientifiche

Nel corso del primo mese, il telescopio inizierà a raffreddarsi per azione delle membrane parasole. Verranno quindi attivati dei riscaldatori che manterranno stabili le temperature ed eviteranno fenomeni di condensa dovuti a possibili residui di acqua presenti nei materiali. Inoltre, sarà ulteriormente corretta la traiettoria di volo. Le operazioni volte all’allineamento dei segmenti riflettenti che compongono gli specchi avverranno tra il 33° ed il 90° giorno dal lancio. In questo arco di tempo, gli ingegneri sulla Terra dovranno apportare correzioni al posizionamento dei segmenti di specchio primari per portarli in allineamento e assicurarsi che producano immagini nitide e focalizzate.

Queste correzioni vengono effettuate tramite un processo chiamato rilevamento e controllo del fronte d’onda, che allinea gli specchi entro decine di nanometri. Durante questo processo, un sensore del fronte d’onda misura imperfezioni nell’allineamento dei segmenti, che impediscono loro di agire come un singolo specchio di 6.5 metri. Il sensore acquisirà 18 immagini sfocate di una stella, una per ogni segmento dello specchio. Questo aiuterà gli ingegneri a determinare come devono essere spostati per allineare le diverse immagini.

Questo processo di allineamento è stato testato nell’ambiente criogenico sotto vuoto al Johnson Space Center della NASA, durante circa 100 giorni di test. L’ambiente della camera simula il gelido ambiente spaziale in cui il James Webb opererà. All’interno della camera, una luce laser agiva come una stella artificiale. Il test ha verificato che l’intero telescopio, comprese le sue ottiche e strumenti, funzionasse correttamente in questo ambiente freddo e ha assicurato che il telescopio funzionasse correttamente anche nello spazio. Si stima che la prima immagine utile scattatata dalla NIRCam arriverà verso la fine del terzo mese, ma è una data molto indicativa. Thomas Zurbuchen, durante una conferenza stampa svoltasi a maggio ha così risposto alla domanda su quanto tempo ci vorrà per attivare il James Webb:

Fondamentalmente quello che faremo al momento del lancio è aprire i pannelli solari, le antenne, il resto della strumentazione e ci vorranno diverse settimane per farlo. Nel frattempo raffreddiamo lentamente il telescopio. Quando tutto sarà pronto, avremo le prime immagini ad alta risoluzione mesi dopo. Quattro o cinque mesi, o anche sei mesi, a seconda di come va tutto.

Nel corso dei mesi necessari per raggiungere l’orbita L2, verranno poi ottimizzate le immagini provenienti dagli altri strumenti a bordo. Essi saranno accuratamente calibrati e testati, osservando specifici target scientifici. A sei mesi dal lancio, il James Webb Space Telescope sarà finalmente in grado di osservare 24/7 lo spazio profondo.

James Webb e gli altri telescopi

Come accennato in precedenza, tra le missioni di James Webb non manca di certo la ricerca e lo studio di esopianeti. Negli ultimi anni numerose missioni e osservazioni, condotte da altri telescopi e satelliti, hanno rilevato più di 5000 pianeti in orbita attorno ad altre stelle. L’enorme varietà di mondi, continua a generare nuove domande sulle fasi di formazione ed evoluzione di un sistema planetario. Anche grazie a JW sarà possibile trovare delle risposte e aggiornare il modello teorico sviluppato. Cosa ha di speciale James Webb che lo rende adatto a questa indagine?

Nessuno dei telescopi spaziali impegnati nella ricerca di pianeti extrasolari raggiunge un range osservativo ampio come quello di James Webb, nemmeno PLATO, il telescopio spaziale dell’ESA il cui lancio è programmato per il 2026. Le lunghezze d’onda raggiunte da Webb gli permetteranno di indagare anche la formazione dei pianeti, nella speranza di svelare alcuni meccanismi ancora ignoti e confusi che avvengono in questo processo. Sarà in grado di osservare all’interno delle nubi di polvere e gas dei dischi circumstellari, luogo di origine e formazione dei corpi massivi che resteranno in orbita attorno alla stella centrale una volta che il disco verrà dissolto.

Il metodo di rilevazione degli esopianeti più comune è il metodo dei transiti, che si basa sull’osservazione di cali di luminosità della stella dovuti alla presenza di un corpo in orbita attorno ad essa. Anche James Webb, come i suoi predecessori, sfrutterà questo metodo di indagine. Ma non solo! Grazie al coronografo di cui è dotato, potrà osservare nuovi mondi in maniera diretta. Nota col nome di imaging diretto, questa tecnica viene sfruttata dagli strumenti di alcuni telescopi a terra, come il Very Large Telescope e il Telescopio Gemini.

Confronto fra il James Webb Space Telescope e alcuni fra i principali telescopi spaziali dedicati allo studio e alla scoperta degli esopianeti. Credits: Astrospace.it

Oltre alla scoperta di nuovi esopianeti e delle loro meccaniche di formazione, compito di Webb, sarà anche scoprire le proprietà e la composizione chimica dell’atmosfera di questi pianeti grazie alla spettroscopia infrarosso. Ad esempio, La missione Kepler ha avuto il compito di determinare la frazione di stelle che possiede pianeti terrestri entro la cosiddetta zona abitabile. Si tratta di una regione attorno a una stella, entro la quale l’acqua può esistere su un pianeta in forma liquida. In questo senso, Kepler si è occupato di una regione dello spazio dove sono contenute più di 100,000 stelle, e studiava i sistemi planetari con il metodo del transito. Webb non solo sarà in grado di ampliare questo catalogo ma anche di arricchirlo con le proprietà e le caratteristiche fisiche di questi pianeti.

Infine, il suo scopo sarà anche complementare a quello di TESS, che effettua le sue osservazioni nella luce visibile, alla ricerca di esopianeti transitanti attorno a stelle simili al Sole o nane rosse. Protagonisti successivi al lancio di James Webb in questo campo di ricerca saranno PLATO e ARIEL. Il primo si occuperà dell’individuazione di pianeti nella cosiddetta zona abitabile, collocata ad una distanza tale dalla stella da garantire la presenza di acqua allo stato liquido. Il secondo invece, eseguirà la prima indagine su larga scala della composizione chimica di una grande varietà di esopianeti, cercando di rispondere ad alcune domande sui processi che portano alla loro formazione.

James Webb e la cosmologia

I vari obbiettivi scientifici che cercherà di raggiungere James Webb permettono di metterlo a confronto anche con gli altri grandi protagonisti della storia osservativa nello spazio. Primo tra tutti, Hubble. I suoi risultati ci hanno spinto a guardare oltre, a lunghezze d’onda maggiori rispetto a quelle da lui stesso osservate. James Webb ci aiuterà proprio in questo, esaminando l’universo nell’infrarosso mentre Hubble continuerà a studiarlo principalmente alle lunghezze d’onda ottiche e ultraviolette. Dal punto di vista tecnico, sicuramente è da evidenziare la differenza nella dimensione dello specchio: 6,5 ​​metri rispetto ai 2,4 metri di diametro di Hubble. La maggiore ampiezza dello specchio di Webb conferisce un’area di raccolta significativamente più ampia rispetto agli specchi disponibili nell’attuale generazione di telescopi spaziali. Questa permette a Webb di scrutare più indietro nel tempo di quanto Hubble, con un’area di raccolta 15 volte minore, sia in grado di fare. Un’ ulteriore differenza tra i due sta nell’orbita: quella di Hubble è molto ravvicinata attorno alla Terra, mentre quella di Webb sarà a 1,5 milioni di chilometri di distanza.

Confronto fra il James Webb Space Telescope e alcuni dei principali telescopi spaziali impegnati nella ricerca cosmologica. Credits: Astrospace.it

È arrivato il turno del Nancy Grace Roman Space Telescope della Nasa. Il suo lancio è programmato per il 2025 e la sua missione principale sarà quella di creare straordinari panorama cosmici. Grazie ad essi, gli astronomi saranno in grado di esplorare l’intero universo osservabile a partire dal nostro Sistema Solare, procedendo verso pianeti esterni alla nostra galassia fino all’indagine dell’energia oscura. Se Hubble ci fornisce spettacolari immagini dell’universo da ormai 31 anni, Roman aprirà le sue porte al cosmo, fornendo aree di osservazione molto più ampie di HST, nel visibile e infrarosso. Il range osservativo, seppur non ampio come quello del Webb, include le sue stesse lunghezze d’onda, ma il suo compito sarà principalmente quello di indagare la causa dell’espansione accelerata dell’universo.

Da poco in pensione è invece il telescopio spaziale Spitzer, che si è occupato dell’osservazione nell’infrarosso. La conclusione della sua missione lascia ora spazio a James Webb, che studierà l’Universo in un range di lunghezze d’onda simile a quelle di Spitzer. Tuttavia, essendo lo specchio di JWST molto più grande di quello di Spitzer, Webb riuscirà a rivelare anche la luce più debole delle prime stelle.

Infine il complementare di Webb, Herschel. Webb sarà un telescopio di 6.5 metri con range di lunghezze d’onda 0.6-28.5 micrometri. Herschel era un telescopio di diametro 3.5 m specifico del lontano infrarosso, da 55 a 670 micrometri. Questo range visivo gli permetteva di osservare oggetti e processi freddi, come la formazione stellare in nubi scure o l’emissione legata alla presenza di molecole d’acqua. Al contrario, Webb osserverà fenomeni molto più energetici, tra cui la formazione di protostelle e galassie molto lontane. Effettuando osservazioni con Webb su oggetti già studiati da Herschel, sarà possibile avere una visione più completa di questi processi.

James Webb e i telescopi cinesi

Xuntian, il telescopio cinese il cui lancio è programmato per il 2024, ha caratteristiche molto simili a quelle di Hubble. Le frequenze dello spettro da esso osservate coprono quasi l’intero range osservato da HST, e le dimensioni della sua ottica, con 2 m di diametro, sfiorano quelle di Hubble. Xuntian si occuperà dello studio di gruppi di galassie, singole galassie attive e anche quelle in formazione. Studierà anche lla Via Lattea, osservando la sua struttura, la formazione delle stelle e anche il comportamento di quelle nane. Infine, potrà anche studiare il nostro sistema solare, dagli asteroidi vicini alla Terra fino ai transnettuniani, passando ovviamente per l’osservazione di tutti i pianeti.

In alto un render del telescopio spaziale cinese. In basso a sinistra la posizione dove attraccherà il telescopio, a destra il modulo attraccato con il braccio robotico. Credits: Issibern.ch

Anche se gli obiettivi osservativi di Xuntian non aggiungono nulla di nuovo agli studi svolti da telescopi occidentali precedenti, ma per la Cina sono essenziali ai fini di una presa di posizione nel panorama spaziale. Sviluppare autonomamente tecnologie e ricerche scientifiche è una strategia inconfutabile per chi combatte la guerra fredda del ventunesimo secolo. E la Cina non vuol certo apparire più debole dei suoi rivali Usa e Russia. L’unica grande novità tecnologica di questo telescopio è rappresentata dal fatto che potrà attraccare alla nuova Stazione Spaziale Cinese, diventando a tutti gli effetti un nuovo modulo. In questo modo potrà essere riparato e aggiornato.

Allo stesso modo, la Cina sta sviluppando il progetto di un altro telescopio spaziale: HABITATS ( HABItable Terrestrial planetary ATmospheric Surveyor). Questo sarà interamente dedicato alla caratterizzazione di pianeti rocciosi attorno a stelle vicine, focalizzandosi sulla loro possibilità di ospitare la vita.

Il James Webb Space Telescope è uno dei progetti spaziali scientifici più complessi e avanzati mai creati dall’uomo. Come abbiamo osservato in questo approfondimento, i suoi obbiettivi scientifici sono vari e ampi e quasi tutte le attività osservative in cui sarà impegnato produrranno ricerche rivoluzionarie. Questo approfondimento non vuole avere obbiettivi di estrema completezza, seppur l’intenzione è stata quella di renderlo più completo possibile. Per qualsiasi segnalazione rispetto ad errori, che data la mole del lavoro potrebbero sicuramente esserci, è possibile scrivere una mail a info@astrospace.it

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