Sappiamo che le stelle nascono dal collasso di grosse nubi di gas. Ma quale sia l’innesco resta tutt’ora un mistero. Per andare a fondo della questione, un team di ricercatori ha osservato un campione di galassie, analizzando le regioni coinvolte nella formazione stellare. Per farlo ha sfruttato il Very Large Telescope (VLT) dell’ESO e l’Atacama Large Millimiter/submillimiter Array (ALMA) di cui l’ESO è Partner. I dati combinati hanno permesso di produrre delle immagini molto dettagliate che mostrano in diversi colori le componenti delle galassie. Questo consentirà agli astronomi di individuare le stelle neonate, di studiare il processo che ne ha permesso l’accensione e di osservare i primi stadi della loro evoluzione.
Eric Emsellem, astronomo dell’ESO in Germania e capo delle osservazioni effettuate con il VLT, afferma: “Per la prima volta riusciamo a risolvere le singole unità di formazione stellare su un ampio intervallo di posizioni e ambienti. Con un campione di galassie che ne rappresenta bene la varietà.” Emsellem e gli altri membri del team cooperano nell’ambito del progetto Physics at High Angular resolution in Nearby Galaxies (PHANGS). L’equipe internazionale del progetto è composta da più di 90 scienziati, dagli studenti magistrali ai pensionati, in 30 diversi istituti in 4 continenti.
“Sono molti i misteri che vorremmo svelare” ammette Kathryn Kreckel dell’Università di Heidelberg, membro di PHANGS. “Le stelle nascono più spesso in regioni specifiche delle loro galassie ospiti. Se sì, perché? E dopo la nascita delle stelle, in che modo la loro evoluzione influenza la formazione di nuove generazioni?”
Le nuove immagini di MUSE
La serie di immagini pubblicate sono state scattate con MUSE (Multi-Unit Spectroscopic Explorer), uno spettrografo di ultima generazione installato sul VLT dell’ESO. Con MUSE è stato possibile catturare in maniera dettagliata la luce proveniente dalle galassie e tracciare le stelle appena nate e il gas caldo che le circonda. MUSE infatti è uno spettrografo a campo integrale: raccoglie uno spettro elettromagnetico per ogni singolo punto dello spazio che osserva. Ne risulta un’enorme mole di dati, utilissima per studiare nel dettaglio le caratteristiche delle galassie e di molti altri oggetti astronomici.
Per il progetto PHANGS, MUSE ha osservato 30mila nebulose, raccogliendo circa 15 miliardi di spettri di riverse regioni galattiche.
Come fuochi d’artificio nel cosmo
Le immagini risultanti dai dati di MUSE sono sbalorditive. Ci rivelano un dipinto di esplosioni dai colori vivaci, che ci mostra la spettacolare bellezza delle regioni di formazione stellare. Guardandolo, sembra di osservare fuochi d’artificio scoppiati direttamente nel cosmo.
Ogni singola è una combinazione di osservazioni condotte a diverse lunghezze d’onda della luce: visibile, vicino infrarosso e radio. In tal modo ciascuna banda rivela parti distinte delle regioni galattiche osservate. Inoltre, mappa le popolazioni stellari e il gas caldo:
- i bagliori dorati corrispondono a nubi di idrogeno ionizzato, ossigeno e gas di zolfo, che segnalano la presenza di stelle appena nate;
- le regioni bluastre sullo sfondo rivelano la distribuzione di stelle più vecchie.
Il contributo di ALMA e di Hubble: un atlante di incubatrici stellari
Le immagini di MUSE sono state combinate con i dati di ALMA, che in 750 ore ha permesso di mappare circa 100mila regioni ricche di gas freddo all’interno di 90 galassie vicine. Queste sono le zone in cui possono ricrearsi le condizioni ideali per dare vita alle stelle. Dal lavoro di ALMA è stato possibile ottenere un vero e proprio atlante di incubatrici stellari.
Dalla combinazione dei dati è possibile confrontare le regioni in cui la formazione stellare è già in atto e quelle in cui si suppone possa iniziare. Questo dovrebbe aiutare a comprendere più a fondo cosa sia a innescare, potenziare o frenare la nascita di nuove stelle. Il progetto PHANGS include anche osservazioni del telescopio spaziale Hubble.
A proposito dell’unione di MUSE, ALMA e Hubble Francesco Belfiore, ricercatore dell’INAF-Arcetri di Firenze e membro di PHANGS, dichiara:
La loro combinazione ci consente di sondare le varie fasi della nascita stellare in modo più dettagliato di quanto sia possibile con osservazioni individuali. Dalla formazione delle incubatrici stellari all’inizio della formazione stellare stessa, e alla distruzione finale dei vivai da parte delle stelle appena nate. PHANGS rappresenta la prima volta in cui siamo stati in grado di mettere insieme una veduta così completa, scattando immagini sufficientemente nitide da vedere le singole nubi di gas, stelle e nebulose che contribuiscono alla formazione stellare.
Le immagini di PHANGS e la prossima generazione di telescopi
Senz’altro, la prossima generazione di telescopi e strumenti scientifici saranno di grande importanza per il progetto PHANGS. I metodi di indagine utilizzati potranno essere sfruttati per osservare con il James Webb Telescope della NASA direttamente dallo spazio. Oppure dall’Extremely Large Telescope dell’ESO, che entrerà in funzione verso la fine del decennio corrente e permetterà di spingersi sempre più nel dettaglio nello studio delle strutture cosmiche. Eva Schinner, investigatore principale di PHANGS, sottolinea: “Per quanto sorprendente sia PHANGS, la risoluzione delle mappe che produciamo è appena sufficiente a identificare e separare le singole nubi di formazione stellare. Ma non abbastanza per vedere nel dettaglio cosa sta succedendo al loro interno”.
Ecco quindi che nei prossimi decenni possiamo aspettarci di varcare questi limiti e muoverci oltre, verso una conoscenza sempre maggiore del cosmo che ci circonda. E verso scoperte sempre più entusiasmanti.
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