Scoperte da Voyager 1 nel 1979, le aurore pulsanti di Giove sono state oggetto di osservazione e studio per anni. Finalmente è stato svelato il loro meccanismo di formazione, grazie alla collaborazione di Juno, che ha raggiunto il pianeta nel 2016 per studiare il campo magnetico di Giove, e del telescopio europeo XMM-Newton.
Delle aurore insolite
Le aurore terrestri sono prodotte dall’impatto tra le particelle cariche del vento solare e la ionosfera, lo strato atmosferico compreso tra i 100 km e 500 km di altitudine. Quelle gioviane però presentano delle caratteristiche insolite. Note come aurore pulsanti, si manifestano ai poli in maniera indipendente, in bagliori intermittenti visibili alle lunghezze d’onda dei raggi X. Questa intermittenza è tipica di campi magnetici chiusi, in cui le linee di campo si collegano ai poli. Nel caso di Giove, il collegamento potrebbe avvenire dopo che le linee si sono allungate per milioni di chilometri nello spazio.
Anche sulla Terra è possibile osservare le aurore pulsanti, dovute all’interazione del campo magnetico con elettroni a bassa energia. Ma l’energia che caratterizza le aurore di Giove è decisamente più elevata!
Surf tra le onde elettromagnetiche
Dopo aver osservato un’aurora a raggi X per 26 ore con il telescopio XMM-Newton, i ricercatori hanno sfruttato i dati raccolti di Juno per ottenere informazioni sulle sue pulsazioni, avvenute ogni 27 minuti. Il risultato dell’analisi ha svelato che queste sono causate dalle fluttuazioni del campo magnetico.
Gli ioni del vento solare, colpendo e comprimendo il campo magnetico di Giove, scaldano le particelle che vi sono intrappolate, innescando la formazione delle cosiddette onde di ciclotrone ionico elettromagnetico (ElectronMagnetic Ion Cyclotron Waves). Le particelle cariche “surfano” in queste onde per milioni di chilometri nello spazio, sbattendo infine contro l’atmosfera gioviana e dando vita ai bagliori delle aurore pulsanti.
Quello che vediamo dai dati di Juno è questa bellissima catena di eventi. Vediamo avvenire la compressione, la formazione delle onde EMIC, gli ioni e la loro pulsazione viaggiare lungo le linee del campo. E dopo alcuni minuti, XMM vede un’esplosione di raggi X.
Così ha commentato William Dunn, co-direttore della ricerca e ricercatore presso il Mullard Space Science Laboratory.
Questo processo, molto simile a quello che determina la formazione delle aurore sulla Terra, potrebbe essere applicato anche alla spiegazione di fenomeni simili negli altri pianeti, come ad esempio Saturno. Nel campo magnetico di Giove sono rimasti intrappolati ioni di zolfo e ossigeno eruttati dai vulcani del satellite Io. Questi innescano un processo molto più energetico rispetto a quello terrestre, spiegando la rilevazione dei raggi-X durante un’aurora nei poli di Giove.
Il ruolo di XMM-Newton e Juno
Il lavoro di squadra di questi due strumenti è stato prezioso per aggiungere un nuovo tassello nella comprensione dei fenomeni del nostro sistema solare. Il telescopio dell’ESA XMM-Newton, in orbita attorno alla Terra nel 1999, ha osservato Giove alle lunghezze d’onda dei raggi X, fornendo informazioni sulla durata delle pulsazioni delle sue aurore. La sonda spaziale delle NASA Juno, invece, ha raccolto dati in situ, orbitando attorno ad entrambi i poli del pianeta gigante.
Questa collaborazione ha permesso di svelare un mistero irrisolto da 40 anni, aprendo le porte a studi successivi con l’obbiettivo di rendere meno misteriosi i processi magnetici che si sviluppano nell’Universo.
L’articolo completo: Revealing the source of Jupiter’s x-ray auroral flares.
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