Sono dodici in totale gli uomini che hanno avuto il privilegio di camminare sulla grigia superficie lunare, unici tra tutta l’umanità a posare il piede su un mondo lontano, ostile, inadatto alla vita. Così come i primi europei nel Cinquecento attraversavano l’Atlantico alla ricerca di una nuova terra, anche quei dodici coraggiosi uomini, attraversando lo spazio cislunare, ridefinirono il concetto di frontiera, di lontananza. In questo approfondimento vogliamo raccontare come si svolge questo incredibile viaggio che ha permesso (e permetterà) all’uomo di sfuggire dai vincoli della gravità terrestre per avventurarsi fino al nostro satellite naturale.
Traiettorie Lunari
A differenza del volo atmosferico, quello spaziale è caratterizzato da una libertà di movimento estremamente limitata. Se un aereo può raggiungere la medesima destinazione compiendo centinaia di tragitti diversi, le rotte percorribili per arrivare sulla luna sono molte meno. Il motivo è che il moto dei corpi nello spazio è vincolato ad ubbidire a leggi ben precise dettate dalla gravitazione dei corpi celesti: le leggi della Meccanica Orbitale. Sfruttando queste leggi, gli ingegneri del programma Apollo studiarono negli anni Sessanta, per la prima volta, le traiettorie di trasferimento verso la luna che ancora oggi vengono utilizzate. Vediamo allora nel dettaglio come è possibile raggiungere il nostro satellite.
La Transfer Lunar Injection (TLI) e la Transfer Lunar Orbit (TLO)
Per prima cosa la navicella viene immessa dal lanciatore in una prima orbita di parcheggio (Parking Orbit) intorno alla terra. Questa orbita circolare si trova a bassa quota, tipicamente tra i 180 e i 200 km di altezza. Da questa posizione i motori chimici di un modulo di servizio, o del terzo stadio del lanciatore stesso, vengono accesi. Lo scopo di questa accensione è quello di produrre un aumento di velocità (Delta V) tale da consentire alla navicella di scappare dall’orbita di parcheggio. Tale manovra prende il nome di Transfer Lunar Injection (TLI) e porta la navicella ad immettersi su una traiettoria di trasferimento verso la luna chiamata Transfer Lunar Orbit (TLO).
La TLI è una delle fasi più critiche della missione. Il tempismo nell’accensione dei motori è infatti fondamentale per poter intercettare la luna lungo la sua orbita intorno alla terra. In questo modo la navicella può entrare nella sfera di influenza gravitazionale lunare, una regione di spazio all’interno della quale l’attrazione del nostro satellite è dominante rispetto a quella terrestre. Una volta all’interno di questa regione la navicella viene “catturata” dalla gravità lunare.
Un ritardo (o un anticipo) di qualche minuto nella manovra di TLI può portare ad un errore di traiettoria tale per cui la navicella non entra nella sfera gravitazionale lunare ma si perde alla deriva oltre l’orbita del nostro satellite. L’esatto istante in cui avviare i motori per effettuare la TLI viene per questo motivo calcolato con grande attenzione dagli ingegneri negli anni precedenti la missione, tenendo conto dei moti lunari. Una volta raggiunta la luna, i motori vengono accesi nuovamente per rallentare la navicella e inserirla in orbita circumlunare. Questa manovra prende il nome di Lunar Orbit Insertion (LOI).
La Lunar Orbit Insertion (LOI)
Si possono avere traiettorie leggermente diverse a seconda della missione ma in ogni caso l’approccio utilizzato è quello appena descritto per un semplice motivo: la sicurezza dell’equipaggio. Nel caso in cui un malfunzionamento del sistema propulsivo impedisca alla navicella di entrare in orbita lunare, con questo tipo di traiettoria la navicella è in grado di ritornare a terra spontaneamente, senza la necessità di avere alcuna azione propulsiva ma semplicemente sfruttando la gravità lunare (manovra di Gravity Assist). Si parla in questo caso di free-return trajectory.
Le missioni Apollo dalla 8 alla 11 volarono tutte su questo tipo di traiettorie, mentre le successive sfruttarono delle traiettorie ibride. Il motivo di questo cambiamento fu che le free-return, pur essendo più sicure, consentivano di allunare soltanto in corrispondenza della regione equatoriale della Luna. Poiché i siti di allunaggio delle missioni successive alla 11 si trovavano a latitudini superiori, fu necessario adottare questo tipo di soluzione. In una traiettoria ibrida la navicella vola inizialmente seguendo una comune free-return, ma durate la traversata essa viene abbandonata per immettersi su una traiettoria ottimale che dipende dal sito di allunaggio desiderato. Non appena la free-return viene abbandonata, la navicella perde però il grande vantaggio di poter contare su un ritorno a terra spontaneo.
L’idea alla base di questa strategia, utilizzata nel programma Apollo, era quella di rimanere su una free-return fino a quando tutti i sistemi non fossero stati verificati e ci si fosse quindi assicurati di non avere alcun tipo di malfunzionamento. Se qualche anomalia fosse insorta durante questi controlli, la navicella sarebbe stata ancora in grado di rientrare spontaneamente eseguendo un Fly-by della luna. Dopo aver controllato lo stato di tutti i sistemi, la free-return veniva abbandonata e la navicella si immetteva su una traiettoria diversa che le avrebbe permesso di raggiungere i siti di allunaggio prefissati. Nel caso in cui qualche problema si fosse verificato in questa seconda fase, sarebbe comunque stato possibile riportare la navicella su una free-return sfruttando il sistema propulsivo del LEM come backup del sistema propulsivo del modulo di servizio.
Un esempio dell’efficacia di questa strategia è quello dell’incidente dell’Apollo 13. In quel caso la perdita del modulo di comando avvenne quando la navicella aveva già abbandonato la free-return trajectory, per cui l’equipaggio sfruttò il modulo lunare per ritornarvici. In realtà in quell’occasione i motori del LEM vennero riaccesi anche durante il ritorno spontaneo, per accorciare il rientro di 10 ore e spostare il punto di atterraggio dall’Oceano Indiano al Pacifico, dove la maggior parte dei soccorsi americani erano concentrati.
La Distant Retrograde Orbit (DRO)
Dopo più di Cinquanta anni le cose non sono cambiate più di tanto; la prima missione Artemis in programma per la fine di quest’anno, vedrà la capsula Orion, senza equipaggio, inserirsi su queste stesse traiettorie, salvo entrare in una particolare orbita intorno alla Luna: una Distant Retrograde Orbit (DRO). Questa orbita, mai utilizzata prima d’ora, risulta essere estremamente stabile rispetto alle perturbazioni orbitali poiché interagisce con i punti Lagrangiani L1 e L2 del sistema Terra Luna. Questi due punti sono particolari regioni dello spazio in cui la gravità terrestre e quella lunare sono perfettamente bilanciate (tecnicamente si definiscono come punti di sella del campo gravitazionale generato da Terra e Luna).
La capsula Orion nella sua massima distanza dalla Luna raggiungerà i 70000 km dalla superficie. Questa fase è rappresentata dal punto 13 nella seguente infografica. Essa rappresenta la traiettoria completa che verrà eseguita durante la missione Artemis 1. La parte dell’orbita in grigio rappresenta una parte della DRO che eseguirà la capsula Orion.
Navigare verso la Luna
Una volta inserita sulla TLO, la navicella spegne i motori e continua a viaggiare a velocità costante attraversando lo spazio cislunare. Durante la traversata è comunque necessario operare alcune manovre correttive. Questo perché ci possono essere diverse perturbazioni che spingono la navicella fuori dalla traiettoria ideale, come ad esempio la pressione di radiazione solare o lo scarico dei vapori del sistema di raffreddamento. Questi fattori, seppure minimi, introducono delle perturbazioni che possono deviare in maniera significativa la navicella dal suo percorso. È quindi necessario effettuare manovre di correzione utilizzando il sistema propulsivo secondario. Ma come si fa a verificare se la traiettoria è corretta o meno?
A tal fine è fondamentale poter determinare in ogni istante la posizione e la velocità della navicella, ovvero il suo “vettore di stato”. Posizione e velocità vengono misurate da terra con due diverse tecniche: Il Ranging e l’Effetto Doppler. La prima consiste nell’inviare un segnale di luce alla navicella che a sua volta ritrasmetterà lo stesso segnale a terra.
Conoscendo la velocità della luce e misurando il delay tra trasmissione e ricezione è possibile risalire alla distanza tra la terra e la navicella. L’effetto Doppler invece consiste nel ricavare la velocità a partire dallo shift di frequenze di un segnale radio trasmesso e ricevuto. Le coordinate calcolate a terra in questo modo vengono quindi ritrasmesse alla navicella così da poter correggere la navigazione. All’epoca delle missioni Apollo, temendo un’azione di disturbo delle radiofrequenze da parte dei sovietici, i membri dell’equipaggio erano comunque addestrati a rilevare la loro stessa posizione autonomamente.
Per farlo utilizzavano le stesse tecniche sfruttate dai marinai del passato per calcolare la loro posizione in mezzo al mare: un telescopio e un sestante installati a bordo del Modulo di Comando venivano infatti usati per misurare l’angolo tra l’orizzonte della terra e la posizione di una qualsiasi stella. Tale misurazione veniva inserita nel computer del Modulo di Comando il quale calcolava la loro posizione. Nel prossimo futuro il tracciamento del vettore di stato diventerà ancora più preciso grazie alla possibilità di sfruttare anche i satelliti GPS e le costellazioni satellitari lunari in via di sviluppo, come il sistema LCNS e il LunaNet.
Controllare l’Assetto nel vuoto
Per raggiungere la luna una navicella deve essere in grado di puntare con grande precisione i suoi motori per indirizzare la spinta e ricevere un’accelerazione nella direzione opposta. L’accuratezza nel puntamento dei motori si traduce nella precisione delle traiettorie e nel risparmio di propellente. Un disallineamento anche minimo della spinta può infatti provocare enormi errori nella traiettoria finale la cui correzione risulterebbe estremamente dispendiosa in termini di propellente e metterebbe a rischio la sicurezza dell’equipaggio.
L’orientamento dei motori è connesso all’assetto della navicella la quale deve essere ruotata nella direzione corretta prima dell’accensione dei propulsori. Arriviamo quindi ad una domanda fondamentale: come è possibile conoscere e controllare l’orientamento di un corpo (la navicella) in un contesto (quello dello spazio) in cui per definizione è impossibile definire le direzioni di sopra, sotto, destra e sinistra? La risposta risiede in un importantissimo strumento di navigazione chiamato IMU: Inertial Measurements Unit.
L’Inertial Measurements Unit
Questo genere di strumento, costituito da un insieme di giroscopi e accelerometri è ormai largamente diffuso anche in ambiti diversi da quello spaziale. Si tratta di uno strumento svincolato dalla struttura della navicella. Ciò significa che è in grado di mantenere un orientamento fisso rispetto allo spazio, indipendentemente dalle rotazioni della struttura della navicella. Conoscendo l’orientamento dell’IMU nello spazio (ottenuto rispetto alle stelle) e l’orientamento della navicella rispetto all’IMU stesso, è possibile risalire all’assetto assoluto della navicella. La problematica di questo dispositivo è che necessita di essere ricalibrato dopo un certo periodo.
Nelle missioni Apollo la calibrazione veniva eseguita manualmente dall’astronauta che ricopriva il ruolo di Comandante del Modulo di Servizio, andando a misurare la posizione di due stelle mediante lo stesso telescopio utilizzato per la navigazione. Utilizzando la posizione di queste stelle, l’assetto dell’IMU rispetto allo spazio veniva ricalibrato. Con le tecnologie disponibili al giorno d’oggi i dispositivi IMU utilizzati per la Determinazione di Assetto di una navicella sono estremamente più efficienti.
La Orion che viaggerà verso la Luna nelle missioni Artemis sarà equipaggiata con una unità IMU all’avanguardia che lavorerà congiuntamente con dei particolari tipi di sensori chiamati Star Tracker. Questi sensori svolgono lo stesso ruolo che nelle missioni Apollo veniva svolta manualmente dal Comandante del Modulo di Servizio. Sono infatti composti da un sensore ottico in grado di tracciare la posizione di singole stelle o addirittura intere costellazioni. Sulla base della posizione delle stelle rilevate, il computer di bordo calcolerà con grande precisione l’assetto della Orion.
Un nuovo modo di allunare
Un pezzo fondamentale del programma Artemis sarà il Lunar Gateway. La presenza della stazione lunare permetterà di cambiare completamente l’approccio agli allunaggi rispetto all’era Apollo. In passato, infatti, le navicelle usate dagli astronauti dell’Apollo erano in grado di trasportare un quantitativo di propellente molto maggiore rispetto all’Orion. Questo si traduceva in una spinta maggiore erogata dai motori che permetteva, con la manovra di LOI di cui si è parlato in precedenza, di raggiungere un’orbita lunare molto bassa, dalla quale iniziare direttamente le manovre di allunaggio. La filosofia del programma Artemis sarà quella di effettuare invece un docking della Orion con il Gateway su un’orbita molto più alta e da lì allunare con un veicolo dedicato.
La Near-Rectilinear Halo Orbit (NRHO)
L’orbita della stazione godrà infatti di molteplici vantaggi, primo tra tutti il ridotto costo di propellente per essere raggiunta dall’Orion. Si tratta di una Near-Rectilinear Halo Orbit (NRHO), un’orbita altamente ellittica e stabile, caratterizzata da sorvoli ravvicinati sul polo nord lunare. Tra i benefici di tale geometria orbitale c’è la caratteristica di essere sempre in vista della terra. In questo modo si avrà sempre un canale di comunicazione aperto, e in vista del sole, così da avere sempre potenza sui pannelli solari. Questa soluzione permetterà inoltre un agevole allunaggio sulle regioni del polo nord, mentre sarà possibile raggiungere latitudini inferiori semplicemente modificando l’inclinazione dell’orbita del Gateway con una spesa moderata di propellente.
Un viaggio estremo
Quello verso la Luna è sicuramente il viaggio più estremo che sia mai stato intrapreso da un essere umano. È incredibile pensare come gli astronauti della generazione Apollo siano riusciti ad arrivare fino al nostro satellite a bordo di una navicella il cui computer di bordo aveva la potenza di calcolo di una calcolatrice tascabile. Nonostante le limitazioni tecnologiche dell’epoca, riuscirono a dimostrare la fattibilità di un viaggio fino ad allora ritenuto impossibile. Oggi, a distanza di più di cinquant’anni, ci accingiamo di nuovo a compiere questa incredibile traversata.
Sfrutteremo le stesse traiettorie nate in quell’epoca d’oro dell’esplorazione spaziale, ma avremo il supporto di conoscenze molto più avanzate nel campo dell’astrodinamica che ci permetteranno di sfruttare in maniera estremamente più efficiente le leggi gravitazionali della meccanica orbitale. E nel prossimo futuro un tale viaggio potrebbe diventare sempre meno eccezionale, e sempre più normale.
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