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| On 3 anni ago

Fare “benzina” lungo il tragitto sarà il futuro dell’esplorazione spaziale? Intervista a Davide Conte

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Affacciarsi al mondo del lavoro già durante gli anni del proprio percorso universitario è, per molti, un aspetto fondamentale della formazione accademica. Tuttavia, spesso, risulta difficile agli studenti interessati interfacciarsi con aziende e professionisti di un settore specifico.

PoliSpace la prima associazione del Politecnico di Milano completamente dedicata al campo spaziale, ha tra i propri obiettivi proprio l’eliminazione del divario tra il mondo lavorativo e quello accademico, attraverso un’azione su tre fronti: divulgativo (seminari da esperti del settore, con possibilità di ampliare la propria rete di contatti), pratico (proposta e supervisione di progetti spaziali) ed informativo (promozione di opportunità lavorative ed extracurriculari). Mi chiamo Riccardo Rambaldi e durante un webinar dello scorso Febbraio, sono entrato in contatto con il Dr. Davide Conte e, in quanto responsabile di redazione di PoliSpace, l’ho intervistato per Astrospace.

Nato e cresciuto a Genova, il dott. Davide Conte si è trasferito presto in America per intraprendere gli studi universitari. Ad oggi ricopre il ruolo di Assistant Professor alla facoltà di Ingegneria Aerospaziale presso la Embry-Riddle Aeronautical University, in Arizona. I suoi interessi nell’ambito della ricerca sono numerosi e spaziano tra diverse tematiche, dalle operazioni di prossimità (manovre di posizionamento spaziale che avvengono ad una distanza relativa tra gli oggetti minore di 1 km) e trasferimenti di orbita, allo sviluppo e progettazione di missioni spaziali e ottimizzazione di traiettorie.

Il dr. Davide Conte

Al momento, si sta occupando di studiare orbite per connettere delle futuristiche “stazioni di rifornimento” nello spazio, che potrebbero rivoluzionare le missioni spaziali di lunga durata e favorire una più costante presenza umana in orbita.

È evidente quanto potrebbe essere rivoluzionaria la presenza di “gas stations” nello spazio così da permettere rifornimenti durante lunghe missioni spaziali. Spostarsi e attraccare a queste stazioni di servizio nello spazio potrebbe, però, risultare complesso e portare ad un eccessivo utilizzo di carburante stivato. In che modo si può ottimizzare la manovra di attracco?

La creazione di gas stations nello spazio per veicoli spaziali, come è avvenuto sulla Terra per le automobili, dovrebbe essere motivata da molteplici missioni che ne fanno uso. In altre parole, l’investimento iniziale in queste stazioni di rifornimento deve poter essere “ripagato” col tempo. In questo caso, però, non si parla solamente di investimento monetario, ma anche di investimento di altre risorse, come per esempio la quantità di massa di materiali necessari per stabilire queste stazioni di rifornimento.

Una delle ricerche che sto conducendo si sta occupando proprio di questo: data una specifica “gas station” (per esempio nelle vicinanze di Fobos, luna di Marte) quando si arriva al punto di “break-even” rispetto all’investimento iniziale? Ovviamente in tutto questo bisogna anche tener conto delle manovre di attracco e sgancio di un veicolo con tali stazioni, come si possono ottimizzare (ossia eseguire con il meno carburante possibile) tenendo anche in conto altri eventuali parametri di missione.

Un “grafico a prosciutto”, nome che ha dato il dott. Conte alle manovre di prossimità nel problema dei tre corpi. Gli assi x e y rappresentano il tempo di partenza e arrivo rispettivamente e l’asse z rappresenta il delta-v necessario per eseguire manovre di attracco. Questo in particolare e’ per una manovra di rendezvous e docking per una Mars-Phobos Distant Retrograde Orbit (DRO)

Arrivare su Marte sembra essere un obiettivo sempre più vicino, grazie agli impressionanti progressi tecnologici nel settore spaziale di questi ultimi anni. La stessa SpaceX ha mostrato che un refueling successivo al lancio sarà necessario per raggiungere lontane mete. Quanto cambierà, nell’esplorazione spaziale, il rifornimento di carburante “per strada” e “in loco”?

Secondo me, eseguire rifornimenti “per strada” sarà indispensabile e necessario per far sì che l’esplorazione del nostro Sistema Solare e dell’Universo continui. Pensiamo ai pionieri dell’esplorazione del nostro pianeta. Ad esempio, Cristoforo Colombo quando è partito per le Indie (che poi erano in realtà le Americhe!) si è portato dietro molte provviste su tre navi diverse, le famose caravelle. Probabilmente a causa di aver sottostimato la grandezza della Terra e la difficoltà di attraversare un oceano, Colombo e company sono sopravvissuti a mala pena al viaggio. Una volta che la “traiettoria” di Colombo è stata confermata però, i viaggi seguenti hanno fatto notevole utilizzo delle risorse locali in modo che non fosse necessario ricevere continui rifornimenti dall’Europa.

Per quanto riguarda la conquista dello spazio, si deve per forza pensare ad un uso delle risorse “locali”, o, in gergo, di in-situ resource utilization (ISRU). Infatti, pensare di poter mandare tutto il materiale necessario dalla superficie della Terra sarebbe non solo dispendioso, ma estremamente lento. Ci sono moltissimi asteroidi che orbitano il Sole in orbite simili a quelle terrestri (alcuni sono anche troppo vicini!). Perché non estrarre materiale da questi asteroidi per poter rifornire le missioni spaziali di carburante, acqua, ecc. e rendere le missioni spaziali più sostenibili?

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Nell’ambito dell’esplorazione spaziale moderna sembra essersi creato un dubbio amletico: Luna o Marte? A questo proposito, quali crede che siano gli aspetti più importanti ed innovativi di “Lunar Gateway” e quali potrebbero essere invece quelli di “Mars base camp”?

Perché non entrambi? (come la frase di un famoso meme). Scherzi a parte, il Lunar Gateway è anche pensato con l’idea di essere proprio una iniziale stazione spaziale multi-funzione per l’esplorazione inizialmente della Luna e poi di mete più lontane come asteroidi e anche Marte. Mars base camp sarebbe una stazione analoga al Lunar Gateway per fornire supporto e rifornimento nelle vicinanze di Marte. Ad ogni modo, visto che più si va lontano dalla Terra e più diventa dispendioso trasportare materiale, avere una stazione ISRU nelle vicinanze di Marte sarebbe notevolmente più utile sia per l’esplorazione di Marte che di corpi celesti più distanti, come Cerere, Vesta, ecc.

Una analogia che mi piace usare è quando si va a comprare una macchina dal concessionario. Non si acquista un’auto con dei rimorchi carichi di cisterne di benzina che ci devono servire per rifornire l’auto fino alla rottamazione. Invece, ci si affida al fatto che esistono stazioni di rifornimento un po’ ovunque. Infatti, di solito, la prima cosa che si fa usciti dal concessionario è proprio di fare benzina. Ecco, il Lunar Gateway è il primo benzinaio, quello dietro l’angolo del concessionario (la Terra, in questa analogia).

Mars base camp sarebbe invece un benzinaio all’ingresso dell’”autostrada del Sistema Solare”. Se si vuole viaggiare lontano però bisogna fare molte fermate per rifornirsi. Oggigiorno però, le missioni spaziali sono l’equivalente del comprare una macchina con cisterne di benzina enormi. Il tutto poi viene messo in cima ad una “cisterna di benzina” notevolmente più grande, ossia un razzo lanciatore. Sembra un po’ uno spreco. Uno spreco che causa la creazione di moltissima spazzatura spaziale.

Concentrandoci su Marte, sappiamo che ha lavorato ad un progetto volto al design di una piattaforma interplanetaria (con equipaggio) su Fobos, il maggiore satellite del pianeta rosso. Quanto siamo realmente vicini alla realizzazione di un progetto di questo tipo? Quali sono le sfide principali per le quali ancora si fatica a trovare una soluzione?

Le lune di Marte, Fobos e Deimos, sono molto affascinanti per svariati motivi scientifici. Inoltre, sarebbero utili “pit stop” intermedi che future missioni su Marte potrebbero usare per rifornirsi ed eseguire operazioni in “tempo reale”. Infatti, uno dei problemi principali dell’esplorazione di Marte è che i rover marziani come Curiosity e Perseverance avanzano molto lentamente sulla superficie del pianeta rosso. Avendo degli astronauti su Fobos e/o Deimos si potrebbero condurre molte più operazioni e molto più velocemente facendo controllare all’equipaggio i rover e droni presenti su Marte.

Grafico che mostra la manovra Conte-Spencer, ossia una manovra di arrivo dallo spazio interplanetario per entrare in una Mars-Phobos DRO, ossia una delle orbite proposte per le famose “gas stations”

Per quanto riguarda le sfide principali al quale serve ancora soluzione, direi che si tratta principalmente di una questione non legata agli aspetti tecnici. Infatti, basta pensare al continuo cambiamento di direzione della NASA a causa del cambio di amministrazione. Infatti, quest’ultima viene sostituita ogni 4 o 8 anni, in seguito all’elezione di un nuovo presidente USA. Questo continuo cambiamento, porta l’agenzia a trovarsi difficilmente con gli stessi piani e obiettivi a lungo termine. Visto che una campagna di esplorazione di Marte deve per forza richiedere anni di preparazione ed esecuzione, non c’è da sorprendersi se i piani della NASA per l’esplorazione di Marte con equipaggio umano sono continuamente posticipati.

Questo non vuol dire che non esistono problemi tecnici, ma se una compagnia privata come SpaceX sta progettando e costruendo prototipi di navi spaziali destinate ad esplorare Marte senza molti aiuti esterni, allora bisogna chiedersi se non sia la politica che funge da freno a mano tirato nella macchina dell’esplorazione. Guardando più vicino, e mi riferisco all’ESA, ci rendiamo conto che problemi tecnici ne esistono. Infatti, l’ESA contribuisce notevolmente agli equipaggi di astronauti preparatissimi (di cui ne fanno parte anche delle eccellenze italiane), ma non possiede lanciatori o navi spaziali propri in grado di trasportarli nello spazio. Sarebbe come avere dei piloti senza però avere nessuna macchina da fargli guidare (sempre per rimanere nell’analogia delle automobili).

Oltre alla laurea triennale in Ingegneria Aerospaziale, possiede anche un Bachelor in matematica, ottenuto nello stesso periodo. Come è riuscito a conseguire entrambe le lauree parallelamente?

Non so se avete presente il triangolo con ai vertici: studio, vita sociale e dormire. E se ne possono scegliere solo due. Ecco, io ho deciso di lasciare indietro il dormire! Scherzi a parte, sono stato scelto per entrare in un programma avanzato chiamato “integrated undergraduate-graduate (IUG) studies”, ossia un programma che integra più corsi di studio insieme a cui solo gli studenti dello Schreyer Honors College di Penn State (https://www.shc.psu.edu/) potevano farne parte. Burocrazia a parte, ho sempre avuto moltissima passione per la matematica. E infatti, come molti sanno bene, la matematica è indispensabile per qualsiasi corso di ingegneria, specialmente ingegneria aerospaziale.

Mentre è vero che esistono aspetti della matematica che non hanno ancora trovato applicazioni nell’ingegneria, è anche vero che molti aspetti dell’ingegneria sono stati capiti grazie alla creazione di nuove branche della matematica. Per esempio, Isaac Newton ha creato le basi del calcolo infinitesimale e integrale proprio per capire il moto dei pianeti intorno al Sole. Per quanto riguarda applicazioni più recenti, l’ottimizzazione di traiettorie nello spazio richiede moltissima matematica, molta della quale non viene insegnata in corsi “base” di ingegneria. Insomma, conseguire la laurea in ingegneria aerospaziale e matematica insieme è stata una scelta sia di necessità che di passione.

Quali pensa che siano le differenze principali che avrebbe sperimentato se il suo percorso universitario si fosse svolto (in parte o per intero) in Italia? Crede che avrebbe avuto le stesse opportunità e raggiunto gli stessi risultati?

Direi che è difficile pensare all’esplorazione spaziale e non pensare ai “grandi” nomi come NASA, Lockheed Martin, Boeing, SpaceX, ecc. Infatti, nonostante gli USA abbiano una popolazione che è meno della metà di quella dell’Europa, la NASA ha un budget di più di tre volte quello dell’ESA. Oggigiorno infatti, anche se ci sono molte nazioni che stanno lentamente emergendo nell’avventura spaziale, si può dire che gli Stati Uniti rimangono comunque al primo posto. Ed è proprio per questo che ho sempre voluto vedere i principali “autori” dell’esplorazione spaziale un po’ più da vicino.

Ho iniziato a studiare in USA alle superiori quando avevo 17 anni, dopo aver vinto una borsa di studio con l’American Field Service (AFS). Nonostante sia finito per un anno ad Altoona, una cittadina un po’ sperduta nel centro della Pennsylvania (molti dovranno usare Google Maps per scoprire dove si trova!), questo anno all’estero è sicuramente stato un anno decisivo. Infatti, ho imparato molto riguardo a quello che avrei voluto fare in futuro, incluso il sistema universitario americano. Ho anche imparato l’indispensabile uso della lingua inglese durante questo anno (prima di arrivare in America diciamo che il mio inglese era limitato a “the pen is on the table”).

Il dr. Conte a Manarola, Cinque Terre, nel 2017

Anche se mi viene difficile immaginare un percorso di studi diverso a livello universitario, non dubito che avrei potuto ricevere una preparazione accademica altrettanto competitiva da un ateneo italiano. L’aver passato metà della mia vita in USA però mi ha sicuramente aiutato ad ampliare gli orizzonti sia accademicamente sia dal punto di vista lavorativo. Infatti, ho avuto la fortuna di avere professori eccellenti mentre studiavo a Penn State, in particolar modo il mio mentore (e amico) dott. David B. Spencer, che mi ha aiutato moltissimo durante gli studi e continua ad aiutarmi. Come dice lui, siamo i “Davide” con e senza la ‘e’ finale. Come si suol dire, con i “se” non si fa la storia, ma è con i “se” che si può cercare di capirne varie sfaccettature. E penso proprio che se non mi fossi mai avventurato fuori dall’Italia non avrei molto probabilmente avuto le stesse possibilità. Infatti, consiglio a tutti di fare un’esperienza all’estero, anche di pochi mesi: insegna molto su come comportarsi quando si è distanti dal proprio “habitat”, capacità che dovremo per forza sviluppare come genere umano se vogliamo esplorare qualcosa in più che la “roccia bagnata” su cui viviamo.

Ah, voglio precisare che rimango sempre e comunque molto legato alla mia amata Italia, che cerco di visitare quanto più possibile e dove vive la mia famiglia, che mi ha sempre sostenuto moltissimo durante le mie avventure oltreoceano.

Quali sono i prossimi obiettivi che si è prefissato di raggiungere nel suo percorso e su cosa verterà la sua ricerca?

Devo dire che ho molte idee nuove e utili per future missioni spaziali. Il problema non è avere idee, ma avere tempo per tramutare queste idee in progetti di ricerca. Per ogni progetto, infatti, sono sempre alla ricerca di studenti di talento e appassionati che possano aiutarmi a realizzarli. Ho studenti che lavorano a progetti di ricerca indipendentemente, sia in ambito di ottimizzazione di traiettorie che deviazione di asteroidi “pericolosi”, di cui ne fa anche parte uno studente italiano molto intelligente (che sta ora facendo il master al campus di Embry-Riddle a Daytona Beach).

Altri lavorano in gruppo, come ad esempio la squadra del Revolutionary Aerospace Systems Concepts – Academic Linkage (RASC-AL, competizione sponsorizzata dalla NASA), di cui fanno parte 26 studenti dal primo anno a studenti di dottorato di tutti i campus di Embry-Riddle (Prescott in Arizona, Daytona Beach in Florida, Worldwide [online] e perfino Singapore). Quest’anno il team ha creato un progetto concettuale di missione per l’esplorazione del protopianeta Cerere, l’oggetto più grande della fascia degli asteroidi fra Marte e Giove. L’anno prossimo l’idea è di partecipare alla competizione in collaborazione con il Politecnico di Milano. Inutile dire che sono molto entusiasta all’idea di poter lavorare con studenti e docenti del PoliMi (e anche di parlare un po’ di italiano!).

A volte i progetti iniziano al contrario: ossia sono gli studenti dei miei corsi che mi chiedono se posso far loro da mentore per progetti che vogliono realizzare. Uno di questi è Reconnaissance And Documentation (RAD): l’idea di realizzare un veicolo spaziale che sia in grado di osservare, riconoscere e riportare crimini contro l’umanità autonomamente. Sono infatti stati gli studenti che stanno ora lavorando a questo progetto che mi hanno chiesto di aiutarli, ed io ho accettato volentieri.

Oltre alla continuazione dei progetti sopracitati, uno dei miei obiettivi a lungo termine è di continuare a quantificare l’utilizzo di varie “gas stations” nell’”autostrada” del Sistema Solare, dove e come posizionarle, e quali sono gli investimenti necessari per tali stazioni per supportare la continua esplorazione del nostro “vicinato cosmico”.