Uno dei misteri irrisolti del cosmo riguarda la nascita dei buchi neri supermassicci nell’Universo primordiale. Cosa ha dato origine a questi giganteschi mostri celesti, che troviamo al centro della maggior parte delle galassie? Come possono essersi formati in pochi miliardi di anni, concentrando così tanta materia in una regione piccolissima?
Una nuova risposta arriva da un team internazionale di ricercatori guidato dal National Astronomical Observatory del Giappone e dall’ASIAA (Academia Sinica Institute of Astronomy and Astrophysics) in Taiwan. Gli scienziati hanno predetto una gigantesca supernova originata da una stella supermassiccia che probabilmente sarà progenitrice di un buco nero supermassiccio. I calcoli della simulazione suggeriscono che l’esplosione potrà essere osservata con il James Webb Space Telescope, che sarà lanciato alla fine del 2021.
Le origini oscure dei buchi neri supermassicci
Le difficoltà della formazione dei buchi neri supermassicci risiedono nell’enorme quantità di materia che deve venire condensata in un volume ristretto. La teoria oggigiorno più accreditata suggerisce che si siano formati dall’esplosione violenta di stelle massicce nell’universo primordiale. I resti lasciati dalla morte di queste stelle si sarebbero accumulati assieme al gas nei milioni di anni successivi, formando i buchi neri che osserviamo oggi.
Questa teoria è sfidata dall’evidenza sperimentale che le stelle più massicce che abbiamo osservato finora sono solo cento o duecento volte il nostro Sole. Troppo piccole per formare in pochi miliardi di anni dei buchi neri grossi come quelli che vediamo oggi! Per farlo avrebbero dovuto mantenere un tasso di accrescimento molto alto. Questo significa che il processo di collasso gravitazionale della materia e del gas avrebbe dovuto essere parecchio veloce, cosa tutt’altro che semplice. E se invece le responsabili fossero stelle molto più grandi?
Una risposta nell’esplosione di gigantesche stelle primordiali
Anche se non le abbiamo mai osservate finora, stelle supermassiccie che superano le diecimila masse solari possono essere esistite nell’Universo primordiale. Se le ipotesi dei ricercatori sono corrette, esse sarebbero collassate per instabilità gravitazionale e avrebbero cibato il cosmo del materiale utile a far crescere buchi neri supermassicci. Quelli che oggi osserviamo a miliardi di anni luce da noi.
Alcune di queste enormi stelle potrebbero essere esplose come supernovae “estreme”. Questo avviene quando si genere una forte instabilità dovuta allo scompenso tra la combustione interna dell’elio e la pressione degli strati esterni della gigantesca stella. Se fossero questi rarissimi e catastrofici eventi ad aver originato i buchi neri supermassicci?
Lo studio di una supernova “estrema”
In uno studio del 2014 l’assistente ricercatore Ke-Jung Chen dell’ASIAA aveva proposto questa tipologia di supernova. Secondo lui poteva essere originata da una stella con una massa da diecimila a centomila masse solari. Qualcosa che nell’Universo primordiale non siamo ancora riusciti a vedere, e che forse contiene le risposte alle nostre domande sui buchi neri supermassicci.
“Potrebbero esserci state alcune stelle di decine di migliaia di masse solari, nell’Univero primordiale” ipotizza Chen, che è anche uno degli autori del nuovo studio. “E potrebbero benissimo essere i progenitori dei buchi neri supermassicci che troviamo nelle galassie. Infatti, più materiale si ha a disposizione per la formazione del buco nero, più efficiente sarà il processo di collasso della materia circostante. Quindi il buco nero non necessiterà di mantenere alto il tasso di accrescimento, per poter crescere così velocemente”.
Partendo dallo studio di Chen, il team di ricercatori ha simulato al computer le caratteristiche di una supernova “estrema” generata da una stella primordiale di 55500 masse solari. Stelle di questo tipo appartengono a quella che gli astronomi chiamano Popolazione III, che ancora non siamo riusciti a trovare.
Grazie alla simulazione, i ricercatori sono riusciti a descrivere il comportamento della gigantesca stella primordiale poco prima dell’onda d’urto che ne genera l’esplosione. In questo modo hanno predetto come la radiazione, nella lunghezza d’onda del vicino infrarosso, ci raggiungerà. I risultati suggeriscono che il fenomeno potrebbe essere osservato come una sorgente persistente nelle indagini future, tale da garantire studi approfonditi.
Con il JWT vedremo nascere un buco nero supermassiccio
Come provare che i risultati della simulazione sono veri? Si tratta di una sfida osservativa non da poco, perché oramai le stelle supermassiccie, se presenti nell’Universo primordiale, sono tutte collassate in buchi neri. Tuttavia i ricercatori sono speranzosi: quanto simulato potrà essere cercato sfruttando il James Webb Space Telescope della NASA, il cui lancio avverrà alla fine di quest’anno. Tale missione avrà quindi la possibilità di osservare supernovae “estreme” come quella ipotizzata da Chen. In altre parole, potremo presto vedere la nascita di un buco nero supermassiccio nei primi anni di vita del nostro Universo. Solo il cosmo può rendere affascinante anche una catastrofe!
Lo studio, pubblicato sul Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, può essere trovato qui: Observational properties of a general relativistic instability supernova from a primordial supermassive star.
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