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| On 4 anni ago

Come si fa ad atterrare su Marte?

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Portare una sonda in orbita attorno a Marte rappresenta una sfida tecnologica non indifferente. Riuscire a far atterrare sano e salvo un lander sulla superficie del pianeta rosso è un’impresa ancora più ardua, in passato andata a buon fine solamente otto volte. Finora solo sonde americane hanno avuto successo con l’ammartaggio, ma le cose potrebbero presto cambiare.

Nel 2021 dovrebbero essere due i rover a tentare l’atterraggio su Marte: l’americano Perseverance (missione Mars2020) ed il cinese Tianwen-1 (dall’omonima missione). Nel 2022, invece, l’Agenzia Spaziale Europea e l’agenzia russa Roscosmos hanno in preparazione il lancio della seconda parte della missione ExoMars, che prevede l’arrivo sul pianeta rosso del lander Kazachok assieme al rover Rosalind Franklin.

Ad oggi solamente la NASA è riuscita nell’impresa di portare su Marte e far funzionare ben otto tra lander e rover: le sonde Viking 1 e Viking 2 (1976), i rover Sojourner (1997), Spirit (2004) e Opportunity (2004), il lander Phoenix (2008), il rover Curiosity (2012) ed infine il lander InSight (2018). L’unico fallimento risale al 1999, quando si persero i contatti con il Mars Polar Lander e col Mars Climate Orbiter a seguito del tentativo di atterraggio per il primo e di entrare in orbita per il secondo.

Riassunto delle missioni verso Marte (aggiornato a giugno 2019). Credits: ESA

I numerosi tentativi portati avanti dalla Russia hanno invece visto un solo successo parziale: la sonda Mars 3 (1971) fu infatti la prima ad atterrare sul suolo marziano, ma dopo appena 110 secondi dal touchdown le comunicazioni si interruppero. Una sorte simile toccò al lander europeo Beagle 2 (2003): dopo aver raggiunto la superficie del pianeta, non riuscì a comunicare con la Terra a causa di un malfunzionamento dei pannelli solari che oscurarono l’antenna. Più recente è invece il mancato ammartaggio  della sonda Schiaparelli (2016).

Perciò, considerando le numerose missioni con obbiettivo finale l’atterraggio su Marte svolte fino ad oggi, solamente poche di esse ha avuto successo. Cosa rende dunque così difficile atterrare sani e salvi sulla superficie marziana? Quali sono gli aspetti critici da prendere in considerazione?

Mars Entry Descent and Landing

L’ingresso in atmosfera, la discesa e l’atterraggio sul suolo marziano (in inglese EDL: Entry, Descent and Landing) presenta diverse sfide a livello ingegneristico. Per prima cosa, l’atmosfera di Marte è molto più rarefatta di quella terrestre, al punto che la sola azione di frenamento aerodinamico non permette di ottenere velocità sufficientemente basse per il touchdown sicuro di una sonda. Allo stesso tempo, però, l’atmosfera marziana è abbastanza densa da richiedere la presenza di uno scudo termico che protegga la sonda nelle prime fasi di ingresso in atmosfera.

In secondo luogo, la superficie di Marte è un ambiente complesso a causa della presenza di rocce di varie dimensioni, crateri, sconnessioni, particolari pattern del terreno e polvere. Questo aspetto richiede grande cautela nella scelta del sito e nella gestione della traiettoria di atterraggio. Un’altra criticità risiede nel processo di validazione delle procedure e degli strumenti da impiegare su Marte. In fase di test, infatti, ricreare sulla Terra delle condizioni rappresentative dell’ambiente marziano è molto difficile e costoso. A tutto questo si aggiunge, infine, il fatto che tutte le procedure di ingresso, discesa e atterraggio devono essere operate in modo completamente automatico, dato il ritardo nelle comunicazioni tra Terra e Marte.

Lo scudo termico ed il guscio che racchiudono Perseverance durante la fase di crociera verso Marte. I sensori del MEDLI2 sono sparsi lungo la loro superficie. Credits: NASA/JPL

Un’atmosfera densa di insidie

L’atmosfera di Marte è prevalentemente composta da anidride carbonica (95,3%), azoto (2,6%) e Argon (1,9%). Sulla superficie del pianeta la pressione media è di circa 610 Pa e la densità misura circa 0,020 kg/m^3: sulla Terra si possono generalmente trovare condizioni simili tra i 30 ed i 35 km di quota. La bassa densità atmosferica implica che l’azione frenante dei dispositivi aerodinamici non è così efficace come sulla Terra e rende necessario l’uso di razzi per la frenata finale prima del touchdown. In più, tutta la fase di atterraggio risulta “compressa”: la sonda rallenta più vicina al suolo e c’è quindi meno tempo per eseguire le successive fasi della manovra. Per questo motivo durante le prime missioni si cercò di privilegiare siti di atterraggio situati a basse quote, prevalentemente nell’emisfero nord del pianeta, in corrispondenza di densità atmosferiche più elevate.

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Topografia di Marte elaborata tramite il MOLA (Mars Orbiter Laser Altimeter). Credits: NASA

Le tre fasi della discesa marziana

La procedura di frenamento si può dividere in tre fasi principali: l’ingresso in atmosfera a velocità ipersoniche, la fase di discesa in condizioni supersoniche e l’approccio finale al terreno a velocità subsonica. Nella prima fase il veicolo deve rallentare dalla velocità di ingresso, dell’ordine di 5 km/s, fino ad una velocità dell’ordine di 500 m/s. Ciò si ottiene semplicemente sfruttando la resistenza aerodinamica che si oppone al moto del veicolo stesso nell’atmosfera. In questa fase si raggiungono i massimi valori di decelerazione e di  calore agenti sul veicolo, che deve quindi essere protetto da un adeguato scudo termico. Tutte le soluzioni finora adottate si basano sullo scudo termico conico usato per le sonde Viking 1 e 2, opportunamente scalato a seconda delle dimensioni di ciascun specifico lander.

Una volta che la velocità è stata opportunamente ridotta, viene estratto il paracadute, che permette di ridurre la velocità di discesa fino ad un valore intorno ai 100 m/s. Al momento dell’estrazione, il veicolo è ancora in volo supersonico e ciò rende particolarmente critica la progettazione e l’utilizzo del paracadute stesso, che è del tipo disk-gap-band (DGB). Utilizzato per le sonde Viking 1 e 2, è stato poi adottato anche nelle missioni successive con particolari modifiche ed adattamenti per i vari casi specifici.

Nel corso degli anni si è arrivati ad estrarre i paracadute a velocità e quote sempre maggiori. L’uso del paracadute conferisce inoltre una sufficiente stabilità al veicolo durante la fase di volo transonico (regime particolarmente critico, in cui si la velocità passa da supersonica a subsonica o viceversa) e garantisce un rilascio sicuro dello scudo termico.

La fase finale

La fase di discesa finale si apre con la separazione del lander dal Backshell e dal paracadute. Dopo alcuni istanti in caduta libera, sul lander vengono attivati dei propulsori per ridurre sia la velocità verticale che la velocità orizzontale del veicolo. Per il contatto al suolo sono stati adottati diversi approcci nelle missioni fin qui portate a termine. I lander Viking, Phoenix e Insight sono atterrate posandosi su tre gambe. I rover Sojourner, Spirit e Opportunity sono stati invece lasciati cadere e rimbalzare sul suolo marziano protetti da airbag. Il più recente Curiosity, invece, dato il suo peso significativamente più alto rispetto ai suoi predecessori, è atterrato con l’ausilio dello Sky Crane, una sorta di gru volante.

Questo metodo verrà impiegato anche per Perseverance, il prossimo rover americano. Grazie allo Sky Crane i razzi per la discesa finale rimangono più lontani dal suolo, così da sollevare meno polvere che potrebbe interferire con i sensori atti alla misurazione di posizione e velocità di discesa. La durata totale delle manovre appena descritte è molto breve, nell’ordine di 7 minuti, contro i circa 23 necessari per il rientro sulla Terra di una capsula Soyuz con equipaggio dalla ISS.

Animazione del modulo di discesa intento a calare il rover Curiosity sul suolo marziano. Credits: NASA

Atterrare su un campo minato

Il suolo marziano nasconde molteplici insidie per una sonda. Rocce, sconnessioni del terreno o pendii troppo ripidi possono decretare la prematura fine della missione pochi istanti dopo il contatto con il suolo. Ciascun lander è progettato per affrontare entro certi limiti queste situazioni: ad esempio, le gambe della sonda Viking 1 garantivano un’altezza da terra di 20 cm, giudicata sufficiente per il sito di atterraggio scelto, che appariva dalle immagini satellitari come relativamente piatto e privo di rocce.

La sonda atterrò sì sana e salva, ma a soli otto metri da “Big Joe”, una roccia lunga due metri e alta uno, con non poco stupore tra gli addetti ai lavori. Si può facilmente immaginare come un urto tra la sonda e la roccia avrebbe probabilmente decretato la fine del tentativo di atterraggio. Questo fu anche uno dei motivi che spinsero la NASA ad adottare degli airbag per le tre missioni successive.

Oggi sono disponibili molte più informazioni sulla superficie del pianeta rispetto a 50 anni fa, a partire da immagini a più alta risoluzione che permettono di individuare con più accuratezza possibili ostacoli o trappole per il lander. Inoltre, vengono usati modelli matematici più accurati per predire la distribuzione delle rocce non rilevabili dalle immagini satellitari e per descrivere la distribuzione della forza di gravità del pianeta. Nel momento in cui si sceglie la zona di atterraggio della missione, tutte queste informazioni vengono raccolte per creare una “mappa del rischio” ed identificare, all’interno del sito prescelto, le zone più sicure per il touchdown.

Trovare la zona adeguata

Un aspetto fondamentale per la definizione della zona di atterraggio è la possibilità di guidare il veicolo durante la fase di ingresso ipersonico. Nelle missioni precedenti al rover Curiosity, si è sempre adottato un ingresso balistico in atmosfera: il veicolo cadeva verso Marte senza che la sua traiettoria potesse essere propriamente controllata. Ogni variazione delle condizioni atmosferiche rispetto a quelle nominali aggiungeva un errore su traiettoria e velocità della capsula aumentando l’incertezza sulla zona di atterraggio, che quindi era molto vasta, nell’ordine delle decine di kilometri.

Esempio di Hazard Map per il cratere Jezer, il sito di atterraggio della missione Mars2020. Credits: A. Nelessen et al., “Mars 2020 Entry, Descent, and Landing System Overview,” 2019 IEEE Aerospace Conference, Big Sky, MT, USA, 2019, pp. 1-20, doi: 10.1109/AERO.2019.8742167

A partire dalla missione Mars Science Laboratory/Curiosity, si è adottato un nuovo sistema di guida, navigazione e controllo (GNC system) che ha permesso di sfruttare la portanza generata dalla capsula durante la fase di volo ipersonico per correggere assetto e traiettoria in modo da rimanere più vicino possibile alle condizioni nominali. Ciò ha ristretto la zona di atterraggio prevista per Curiosity ad un’ellisse di 7×20 km contro i 15×60 km di Spirit e Opportunity. Inoltre l’uso della portanza della capsula permette di anticipare l’azionamento del paracadute, atterrare a quote più elevate e aumentare il carico utile trasportabile.

Tuttavia è ancora evidente come sia necessario migliorare ulteriormente il sistema di guida e navigazione della capsula, soprattutto in previsione di missioni atte alla costruzione di avamposti sul pianeta rosso. Ciò richiederà di far atterrare grandi carichi di materiale con assoluta precisione anche in zone rischiose. In questo senso, delle novità saranno già presenti nella missione Mars2020, in particolare con il sistema di navigazione relativa al terreno (TRN system) che permette l’atterraggio su terreni particolarmente difficili.

Un continuo miglioramento

Atterrare su Marte è un’operazione molto complessa, ma non impossibile. Molti dei successi ottenuti finora, esclusivamente americani, si basano sulle scelte vincenti delle missioni Viking 1 e 2, le prime a tentare l’ingresso nell’atmosfera marziana. Tuttavia con il susseguirsi delle missioni sono state introdotte importanti novità in termini di approccio e tecnologie impiegate, in particolare per aumentare il carico utile da portare al suolo. Tali novità dovrebbero aiutarci a migliorare e rendere sempre più preciso e sicuro l’atterraggio su Marte. Questi passi sono fondamentali se si vuole pensare di portare un giorno l’uomo sulla superficie del Pianeta Rosso. Sarà inoltre interessante seguire l’esito della missione Tianwen-1, che per la prima volta vedrà la Cina affrontare in prima linea le sfide di  Marte.

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