Il 18 maggio 2020, a Tokyo, il Ministro della Difesa giapponese Taro Kono ha inaugurato il primo “Space Operational Squadron” (SOS) giapponese. Si tratta del primo squadrone dedicato esclusivamente alla difesa dello spazio orbitale e rappresenta un punto di inizio per la già rinominata “Japan Space Force”. L’evento è tutt’altro che simbolico e lascia presagire quanto lo spazio orbitale (e il suo controllo) stia tornando di vitale importanza nel panorama geopolitico moderno.
Struttura e Scopo
La nuova unità, di stanza alla base aerea di Fuchu a Tokyo, è per ora parte della Aviazione. E’ composta da 20 membri ma punta ad un organico di minimo un centinaio di persone entro il 2023, anno in cui diventerà ufficialmente operativa. Lo spazio orbitale, come si accennava in apertura, sta velocemente tornando protagonista degli equilibri di potere tra le varie potenze mondiali. Stati Uniti e Cina in primis si stanno organizzando in proposito.
I giapponesi, in quanto stretti alleati degli USA, per il loro grado di sviluppo tecnologico e per la vicinanza con la Cina si trovano in una posizione strategica estremamente delicata. Non possono dunque rimanere spettatori.
Ufficialmente lo scopo dello squadrone è proteggere i satelliti giapponesi da potenziali danni e pericoli diretti e indiretti. Ciò vuol dire monitorare i cosiddetti “space debris” (rifiuti spaziali) così come i movimenti di meteoriti e satelliti stranieri per evitare potenziali collisioni.
L’attività di monitoraggio però si estenderà anche alle cosiddette “Threat against Stable Use of Outer Space“, come indicato a pagina 4 nel documento riassuntivo del ministero della difesa. Stiamo parlando di attività di interferenza e disturbo delle comunicazioni satellitari o addirittura proprio di distruzione, attraverso satelliti e missili “anti-satellite”.
Nell’assolvimento di questo compito è importante notare come la “Space Force” non potrà, almeno per ora, disporre di un armamento ad hoc.
In un video messaggio di congratulazioni il Tenente Generale Kevin Schneider, di stanza presso la base di Yokota, ha rilasciato delle dichiarazioni importanti. Ha parlato di Cina, Nord Corea e Russia come di tre realtà potenzialmente in grado di destabilizzare la Regione. L’esponenziale aumento di satelliti lanciati negli ultimi tempi, sopratutto dalla Cina, può costituire secondo quest’ultimo una minaccia diretta o anche solo un pericolo indiretto.
Durante la cerimonia il Ministro della Difesa ha ribadito:
“In order to adapt to this new security environment as soon as possible, we must quickly prepare space situational awareness,”
“Per adattarci a questi nuovi equilibri dobbiamo agire il più in fretta possibile, dobbiamo preparare una zona di controllo dello spazio orbitale”
E’ prevista quindi una forte collaborazione con l’agenzia spaziale giapponese (JAXA, ovvero Japan Aereospace Exploration Agency) e la neonata Space Force Statunitense. Istituita lo scorso anno quest’ultima conta attualmente già 16.000 addetti tra civili e personale militare e anch’essa è stata creata anche in risposta all’aumento dell’attività cinese nell’area orbitale.
Qualche cenno storico
Storicamente il Giappone ha sempre sviluppato i suoi programmi spaziali con finalità prettamente pacifiche. Fin dall’istituzione della NASDA (National Space Development Agency of Japan), negli anni 60, qualsiasi programma spaziale ha sempre avuto scopi dichiaratamente non militari.
Il cosiddetto principio di “uso pacifico dello spazio” (“Peaceful Use of space”, coniato nella storica risoluzione parlamentare giapponese del 1969) è stato per decenni a fondamento di tutta l’agenda spaziale del sol levante.
Tutto questo è cambiato nel 2008, anno di approvazione della “Basic Space Law”. Quest’ultima ha aperto la strada per lo sviluppo di programmi spaziali “for national security reasons”, di fatto programmi per la militarizzazione dello spazio orbitale.
Nell’aprile del 2015 le “Linee Guida della Cooperazione USA-Giappone”, un documento alla base delle attività congiunte delle due nazioni, vide in quest’ottica l’aggiunta di una sezione riguardante lo Spazio.
Si cominciò a parlare di mutua cooperazione con la cosiddetta SSA (Space Situational Awareness), un’attività di controllo dello spazio orbitale e del suo traffico. Questo ha permesso l’avvio dello sviluppo di nuove tecnologie per la sorveglianza, in particolar modo degli oggetti spaziali (siano essi naturali o creati dall’uomo).
Il neonato Space Operational Squadron si inserisce proprio in quest’ottica. E’ un’unita addetta al monitoraggio e che dovrà essere preparata per l’eventuale difesa dei satelliti giapponesi (e alleati).
Sempre nelle linee guida del 2015 si indicavano poi tutta un’ulteriore serie di attività che saranno oggetto di sviluppo congiunto. Stiamo parlando in particolare di una avanzata tecnologia radar (EWR, acronimo di Early-Warning Radar), di un programma ISR (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance System) così come di tutta una serie di sistemi per la comunicazione e l’osservazione metereologica.
Oltre a queste attività preventive e di monitoraggio, Giappone e Stati Uniti stabilirono poi che in caso di minaccia, la cooperazione si sarebbe estesa anche in campo militare.
Come naturale proseguo di quanto stabilito pochi anni prima, nel 2018 il Ministero della Difesa ha pubblicato nuove disposizioni. Si programmava la costituzione (negli anni 2019-2023) di un “Air Self-Defense Force Space Domain Squadron”. Quest’ultimo era nientemeno che il nome provvisorio dell’odierno Space Operational Squadron, concretizzazione di quel progetto.
Come detto, questo però è solo l’inizio e ad oggi un primo piccolo ma fondamentale passo che si inserisce nel generale piano di rilancio del settore. A questo seguiranno nello specifico l’ampliamento dell’organico, del budget e il lancio, previsto per il 2026, di un primo satellite per il monitoraggio e la sorveglianza della zona orbitale.
Possibili contrasti costituzionali
Arrivando alle considerazioni finali non si può non accennare ad un’aspetto apparentemente secondario e invece fondamentale:
E’ legalmente valido in Giappone, che ha una Costituzione che in linea teorica vieta a quest’ultimo persino di dotarsi di un esercito, la formazione di questo “Space Operational Squadron”?
La domanda è complessa ma possiamo fare qualche breve considerazione.
Prima di tutto va ricordato che ad oggi il SOS, anche se inserito in un corpo militare, ha finalità di mera sorveglianza. In ottica di sviluppo futuro invece la questione si fa più complicata.
Una eccessiva limitazione dei poteri e dei margini di azione renderebbe lo squadrone sostanzialmente inutile, una voce di spesa in più e, in caso di minaccia, mero spettatore degli eventi. Una eccessiva libertà d’azione d’altro canto rischierebbe di aggirare i limiti costituzionalmente previsti. Un’eventuale azione, teoricamente di mero “monitoraggio, protezione e difesa”, potrebbe degenerare in un vero e proprio atto di guerra scatenando un conflitto armato.
I limiti operativi della Space Force dovranno essere quindi attentamente studiati e oggetto di dibattito politico e giuridico, fosse anche solo per evitare che lo spazio diventi in futuro un campo di battaglia.