L’hanno chiamata “la foto del secolo” quella del 10 aprile 2019, in cui si distingue l’ombra scura che avvolge i dintorni di un buco nero. Mai nessuno aveva osservato qualcosa di simile e quest’anno, il 7 aprile, è stata pubblicata un’osservazione ancora più sorprendente. Un’immagine della regione in cui un buco nero produce il suo getto. Qual è la tecnica che ha permesso di ottenere queste fotografie? Che cambiamenti hanno introdotto nell’astrofisica? Cosa possiamo aspettarci per il futuro?
Event Horizon Telescope (EHT) è il nome della collaborazione di radiotelescopi che hanno osservato i buchi neri come non era mai stato fatto prima. La tecnica utilizzata è un vecchio trucco che risale addirittura al 1971, si chiama Very Long Baseline Interferometry (VLBI). Consiste nel processare i dati acquisiti contemporaneamente da telescopi molto distanti tra loro. La luce di una singola sorgente impiega tempi leggermente diversi a raggiungere i vari telescopi e ciascuno di essi registra dunque un segnale con un piccolo anticipo o ritardo rispetto agli altri.
Queste variazioni producono fenomeni di interferenza quando si procede all’analisi dei dati acquisiti, considerando i telescopi come le diverse parti di un unico grande strumento. Dall’analisi di queste interferenze si può ricostruire la posizione della sorgente con grandissima precisione. Più i telescopi sono lontani tra loro e più si riesce a distinguere i dettagli della sorgente, riducendo quella che si chiama risoluzione angolare dello strumento, ovvero l’angolo minimo apprezzabile. Nel caso di EHT, la massima distanza tra i telescopi equivale al diametro del pianeta Terra e la risoluzione angolare corrispondente è di 9 miliardesimi di grado, circa la dimensione di una mela posta sulla Luna e osservata da Terra.
La tecnologia VLBI funziona nella banda elettromagnetica delle onde radio, alla lunghezza d’onda di circa un millimetro. Nell’universo vi è una vasta gamma di oggetti che emettono a queste frequenze, tra cui la materia nelle immediate vicinanze di un buco nero super massiccio.
Fin dal 1916 gli astrofisici studiano le proprietà teoriche dei buchi neri, oggi EHT ha finalmente fornito una prova diretta e inconfutabile della loro esistenza. Per decenni gli astronomi avevamo raccolto diverse informazioni sulle loro caratteristiche, soprattutto sulla loro capacità di sprigionare energia proveniente dalla materia in caduta verso di loro. Il disco di accrescimento nei dintorni di un buco nero trasforma in energia fino al 50% della materia di cui è composto (la fissione nucleare, per confronto, arriva appena allo 0,7%). Questo meccanismo giustifica la luminosità di alcune sorgenti incredibilmente brillanti, ma i dettagli dei processi di emissione rimangono avvolti dal mistero.
In particolare, sappiamo che dal buco nero può formarsi un getto di materia e radiazione, perpendicolarmente al disco, che può estendersi per migliaia di anni luce, come nel caso della galassia M87. In questi fasci collimati, le particelle sono milioni di volte più veloci di quelle del CERN e grazie ad EHT siamo riusciti a spiare la regione in cui vengono accelerate. L’immagine pubblicata quest’anno infatti, inquadra la regione in cui il buco nero del quasar 3C 279 produce il suo getto relativistico.
Da questa immagine sensazionale si riconosce che il getto non è visibile fino all’orizzonte del buco, ma solo ad una certa distanza. Sembra inoltre che il fascio sia inizialmente perturbato ed attorcigliato dalla presenza del buco nero, prima di riuscire definitivamente a propagarsi in linea retta. Le velocità che abbiamo registrato, associate a questo getto, superano di circa venti volte quella della luce: un fenomeno fisicamente impossibile! Questa è un’illusione relativistica che prende il nome di “beaming” e ci aspettavamo in effetti di registrarla, era già presente nei nostri calcoli. In un certo senso, ci eravamo portati avanti: avevamo generato delle librerie di scenari possibili, simulati al computer (nella foto di copertina di questo articolo). Ciò che mancava, era un’osservazione diretta, da confrontare con i modelli sviluppati.
La prima campagna osservativa è stata condotta nel 2017 coinvolgendo 8 radiotelescopi, sparsi in tutto il mondo. L’analisi di questi dati ha portato all’immagine del buco nero M87*, al centro della galassia della Vergine.
Negli anni seguenti le osservazioni sono state ripetute. E’ stato fatto sempre nel mese di marzo poiché è l’unico periodo dell’anno in cui si verifica un allineamento favorevole con le sorgenti che sono state selezionate. Quest’anno, a causa dell’epidemia, le osservazioni sono state annullate ed è proseguita l’analisi dei dati archiviati. L’anno prossimo si tornerà però ad acquisire segnali con una schiera di telescopi estesa a ben 11 unità.
Ci sono molte sorgenti ancora da osservare e molte domande a cui cercare risposta. In particolare, riuscire ad immortalare l’evoluzione temporale del getto e del disco sarebbe un successo di inestimabile valore. Date le enormi velocità in gioco, si possono rilevare spostamenti considerevoli già con pochi giorni di distanza tra un’osservazione e la seguente. Questi dati sarebbero fondamentali per comprendere definitivamente la dinamica di questi oggetti estremi, oltre a costituire un vero e proprio video: il video più lontano dalla Terra che sia mai stato girato. In effetti, sarà un video da studiare, ma anche da vedere e rivedere, sarà un video che renderà orgogliosi tutti gli uomini per queste scoperte.
Teniamoci pronti allora, in attesa di avere sui nostri schermi un vero black-hole movie!